Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 19 dicembre 2014, n. 26909
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15112-2008 proposto da:
CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI (OMISSIS) in persona del Presidente in carica Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio in PALERMO il 4/2/2014, rep. n. (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DELLA SICILIA, PROCURATORE GENERALE presso la CORTE D’APPELLO DI PALERMO;
– intimati –
sul ricorso 18610-2008 proposto da:
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DI SICILIA in persona del suo legale rappresentante pro tempore Presidente Dr. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO NAZIONALE ORDINE DEI GIORNALISTI, (OMISSIS), PROCURATORE GENERALE presso la CORTE D’APPELLO DI PALERMO;
– intimati –
avverso la sentenza n. 16/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 31/03/2008, R.G.N. 585/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/10/2014 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per l’accoglimento di entrambi i ricorsi.
Sia il direttore della testata, sia il consiglio regionale dell’ordine dei giornalisti, sia quello nazionale, rigettarono in successione l’istanza del sig. (OMISSIS), negando che l’attivita’ da questi svolta potesse assimilarsi a quella giornalistica.
2. Nel 2006 il sig. (OMISSIS) impugno’ dinanzi al Tribunale di Palermo La deliberazione del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, chiedendone l’annullamento e il riconoscimento della compiuta pratica.
Nel giudizio intervennero il Consiglio Regionale dell’ordine dei giornalisti e la Procura della Repubblica, ambedue chiedendo il rigetto della domanda.
Con sentenza 15.5.2007 n. 12 il Tribunale di Palermo accolse la domanda, annullo’ la delibera consiliare impugnata e dichiaro’ che (OMISSIS) aveva compiuto la pratica giornalistica ai fini della partecipazione all’esame per l’abilitazione professionale.
3. La sentenza di primo grado venne impugnata in via principale dal Consiglio Nazionale ed in via incidentale da quello incidentale, ciascuno dei quali chiese il rigetto della domanda attorea.
La Corte d’appello di Palermo, con sentenza 31.3.2008 n. 5794, confermo’ la decisione di primo grado.
4. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione in via principale dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti, con tre motivi illustrati da memoria, ed in via incidentale dal Consiglio Regionale dell’ordine dei giornalisti, anch’esso con tre motivi illustrati da memoria.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
1.1. Il controricorrente, sia con la memoria depositata il 4.2.2014 che nella discussione orale, ha chiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere.
Cio’ per due ragioni:
(a) sia perche’ nelle more del giudizio e’ stato ammesso dal consiglio dell’ordine, senza riserve, a sostenere l’esame per l’abilitazione professionale; tale esame e’ stato da lui superato ed ha quindi conseguito l’iscrizione all’ordine dei giornalisti;
(b) sia per effetto del Decreto Legge 30 giugno 2005, n. 115, articolo 4, comma 2 bis, (convertito nella Legge 17 agosto 2005, n. 168), a norma del quale “conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale (…) i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela”.
1.2. Ciascuna delle due ragioni poste dal ricorrente a fondamento della richiesta di dichiarazione di cessazione della materia del contendere e’ infondata.
1.3. Che (OMISSIS) sia stato iscritto senza riserve nel registro dei praticanti giornalisti, e quindi – superato l’esame di abilitazione professionale – sia stato iscritto senza riserve nell’ordine dei giornalisti e’ circostanza negata dal Consiglio Regionale (si veda il controricorso, pp. 22-23), il quale ha anzi allegato al proprio fascicolo di parte le due deliberazioni con le quali le suddette iscrizioni sono state decise con riserva.
1.4. Nemmeno la materia oggetto del contendere nel presente giudizio puo’ dirsi cessata per effetto del Decreto Legge n. 150 del 2005, articolo 4, comma 2 bis.
Tale norma fa salvi gli effetti del superamento dell’esame di abilitazione professionale, quand’anche l’ammissione ad esso sia avvenuta jussu iudicis, a condizione che il candidato fosse “in possesso dei titoli per partecipare” alla prova selettiva.
L’articolo 4 Decreto Legge cit. non ha affatto il senso e lo scopo che vorrebbe attribuirgli il ricorrente: e cioe’ sanare, una volta avvenuto il superamento dell’esame, qualsiasi vizio attinente la domanda di partecipazione proposta dal candidato.
La disposizione di cui si discorre non e’ una norma ad efficacia sanante, ma previsione dettata al piu’ limitato scopo di evitare che il superamento delle prove di un esame di abilitazione venga reso inutile dalle vicende processuali successive al provvedimento col quale il giudice (o la stessa amministrazione, in via di autotutela) ordini l’ammissione alle prove di esame o la ripetizione della valutazione. La norma dunque dispone per il futuro, disciplinando in via generale gli effetti di adempimenti amministrativi, e non intende sanare vizi o irregolarita’ gia’ verificatisi (cosi’, testualmente, Corte cost., 09-04-2009, n. 108).
Da cio’ discendono due conseguenze. La prima e’ che la norma in esame, in quanto avente natura eccezionale, e’ insuscettibile di applicazione analogica od estensiva, come gia’ ripetutamente affermato dal giudice amministrativo (C. Stato, sez. 6, 11-01-2012, n. 106; C. Stato, sez. 6, 15-02-2012, n. 770).
La seconda e’ che l’articolo 4 Decreto Legge cit. puo’ trovare applicazione quando, a seguito di un provvedimento giurisdizionale o di iniziativa della stessa amministrazione, vi sia stato un nuovo accertamento dell’idoneita’ del candidato agli esami di idoneita’ all’esercizio della professione, con la ripetizione delle prove sia scritte che orali o con una nuova valutazione di esse. La norma in esame, invece, non trova applicazione quando a venire in discussione sia non gia’ l’idoneita’ del candidato, ma il possesso da parte sua dei titoli richiesti dalla legge per la candidatura all’esame (cosi’ C. Stato, sez. 4, 14-01-2011, n. 186). Dunque l’articolo 4 cit. produce i propri effetti quando la partecipazione jussu iudicis al concorso sia avvenuta dopo una esclusione dovuta a ragioni inerenti l’idoneita’ del candidato, e non quando sia avvenuta per il deficit, in capo al candidato, dei titoli richiesti dalla legge per parteciparvi.
Tale conclusione del resto e’ l’unica consentita dal testo della norma, nel quale si afferma che il conseguimento dell’abilitazione professionale per effetto del superamento dell’esame cui si sia stati ammessi con riserva e’ comunque subordinato al “possesso dei titoli per partecipare al concorso”. Nel caso di specie, per contro, e’ proprio il possesso di uno dei titoli per la partecipazione all’esame di abilitazione professionale ad essere in contestazione, e cioe’ l’avvenuto svolgimento, da parte di (OMISSIS), del periodo di praticantato prescritto dalla legge.
Pertanto, non trovando applicazione nel presente giudizio il Decreto Legge cit., articolo 4 il superamento da parte di (OMISSIS) dell’esame di abilitazione non ha fatto cessare la materia del contendere.
2. Il primo motivo del ricorso principale.
2.1. Col primo motivo di ricorso il consiglio Nazionale sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5).
Nella illustrazione del motivo, il consiglio Nazionale ascrive alla motivazione della sentenza impugnata due diversi vizi logici.
Il primo sarebbe consistito nel richiamare i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’ con riferimento all’attivita’ svolta dal telecineoperatore (secondo i quali anche la ripresa di immagini costituisce attivita’ giornalistica, la’ dove attraverso di essa si crei e diffonda una notizia), ed estenderli alla ben diversa attivita’ del montatore, il quale non crea immagini, ma si limita a selezionare quelle riprese da altri, senza alcuna autonomia decisionale ed operativa.
Il secondo vizio logico della sentenza e’ ravvisato dal Consiglio Nazionale nel passaggio in cui la Corte d’appello ha ritenuto che l’attivita’ svolta da (OMISSIS) fosse assimilabile a quella giornalistica per il solo fatto che questi agisse in autonomia nel selezionare le immagini da montare. Tale affermazione sarebbe illogica, in quanto la scelta autonoma delle immagini da montare, da parte del montatore, costituisce esercizio di una mera autonomia tecnica, ma cio’ non basta a creare una originale elaborazione della notizia.
2.2. Il motivo e’ fondato.
La sentenza impugnata presenta infatti un doppio vizio logico: il primo e’ la violazione del principio di identita’ e non contraddizione; il secondo e’ la violazione della proprieta’ transitiva della logica deduttiva.
2.2.1. Alle pp. 4-5 della sentenza impugnata, infatti, correttamente si afferma che l’attivita’ giornalistica puo’ consistere anche nella realizzazione di immagini che “completano o sostituiscono l’informazione scritta”, o comunque tali che, in loro mancanza, “verrebbe meno (…) il valore informativo del servizio” giornalistico.
Dopo avere stabilito tale corretta regola astratta, la sentenza conclude “non esservi dubbio” che l’attivita’ svolta da (OMISSIS) dovesse definirsi “giornalistica”, perche’ questi non si limitava al semplice montaggio delle immagini, ma le selezionava egli stesso “quasi sempre in autonomia”. Da cio’ la Corte d’appello si e’ ritenuta autorizzata a concludere che (OMISSIS), nell’esercizio della propria attivita’, avesse “contribuito con le immagini a creare la notizia” (cosi’ la sentenza impugnata, p. 8, capoverso).
2.2.2. Cosi’ argomentando, tuttavia, la sentenza impugnata ha delineato in astratto una regola generale (realizzare immagini puo’ costituire attivita’ giornalistica), e fatto applicazione di essa alla fattispecie concreta (lo svolgimento dell’attivita’ di montaggio) senza indicare perche’ mai questa rientrasse in quella.
Non vi e’ dubbio, infatti, che qualsiasi informazione possa essere data per mezzo di immagini, cosi’ come non vi e’ dubbio che una sola immagine puo’ avere una efficacia descrittiva piu’ immediata di molte parole. Tuttavia il proprium dell’attivita’ giornalistica non risiede ne’ nella mera attivita’ scrittoria, ne’ nella mera attivita’ – per cosi’ dire – pittografica: giornalista certamente non e’ chi correda una fotografia della didascalia, cosi’ come certamente non fa giornalismo chi aggiunge ad una notizia riguardante un noto personaggio un fotoritratto di questi, a tutti noto e da tempo diffuso.
Tanto se compiuta con lo scritto, quanto se compiuta con le immagini, l’attivita’ giornalistica consiste essenzialmente nel trasferimento di conoscenze od opinioni riguardanti un fatto concreto. La notizia dunque ne e’ l’oggetto, mentre lo scritto o l’immagine non ne costituiscono che il mezzo. La ripresa o la diffusione di immagini, quindi, in tanto possono costituire un’attivita’ giornalistica, in quanto abbiano l’effetto o lo scopo di trasmettere informazioni che lo scritto non ha potuto o voluto dare. Sicche’, quando l’informazione testuale e quella per immagini vengano diffuse contemporaneamente e congiuntamente, come nel caso del giornalismo televisivo, la seconda puo’ assumere di per se’ il rilievo di attivita’ giornalistica solo quando abbia una informazione da trasmettere, e non quando assolva un ruolo meramente servente rispetto al testo. Cosi’, ad esempio, la ripresa di una catastrofe naturale o di un evento sportivo e’ di per se’ una informazione su quanto e’ accaduto; per contro l’immagine di repertorio di un uomo politico che esca od entri da una sede istituzionale, diffusa a corredo di una dichiarazione da quegli rilasciata, non ha alcun valore informativo aggiuntivo rispetto all’informazione testuale.
2.2.3. Pertanto, per trarre le debite conclusioni logiche dalle proprie premesse, la Corte d’appello avrebbe dovuto cosi’ argomentare:
(a) la diffusione di immagini puo’ costituire attivita’ giornalistica quando esse abbiano di per se’ una valenza informativa;
(b) (OMISSIS) ha sempre montato immagini senza le quali i servizi giornalistici da esse corredati non avrebbero avuto alcuna valenza informativa;
(c) ergo, (OMISSIS) ha svolto attivita’ giornalistica. La Corte d’appello, invece, ha del tutto omesso di accertare in concreto la premessa minore lettera (b) del sillogismo che precede, limitandosi ad affermare che (OMISSIS) ha svolto attivita’ giornalistica perche’ “selezionava le immagini da diffondere quasi sempre in autonomia”.
In tal modo la sentenza ha violato il noto principio di identita’ e non contraddizione della logica formale, perche’ ha ritenuto che la fattispecie concreta “A” fosse ricompresa nella regola astratta “B”, nonostante la prima fosse chiaramente diversa dalla seconda, e senza indicare le ragioni della suddetta sussunzione.
2.3. Come accennato, la motivazione adottata dalla Corte d’appello e’ altresi’ illogica sotto un diverso profilo: ovvero la violazione della proprieta’ transitiva della logica.
La Corte d’appello, come accennato, ha ritenuto in astratto che la diffusione di immagini costituisce attivita’ giornalistica quando queste completano la notizia, ovvero costituiscano di per se’ una notizia.
Ha, quindi, accertato in concreto che (OMISSIS) svolgeva la propria attivita’ di montatore in autonomia, per giungere alla conclusione che questi “contribuisse con le proprie immagini a creare la notizia”. La Corte d’appello, in questo modo, ha finito per applicare una regola (il)logica, per cui se “A” e’ uguale a “B”, e “B” e’ diverso da “C”, allora “A” e’ uguale a “C”.
Ed infatti, se per “giornalismo” deve intendersi la diffusione di notizia anche attraverso immagini, per affermare che (OMISSIS) avesse svolto attivita’ giornalistica sarebbe stato necessario accertare che le immagini da lui reperite e montate costituivano esse stesse la notizia, ovvero che senza di esse la notizia teletrasmessa sarebbe stata diversa ed incompleta. La Corte d’appello tuttavia non ha affatto accertato tali circostanze, limitando la propria indagine al riscontro della “autonomia” con la quale (OMISSIS) svolgeva il proprio lavoro di montatore. In questo modo il giudice d’appello e’ pervenuto di fatto alla conclusione che non gia’ creare e diffondere immagini “informative” costituisca attivita’ giornalistica, ma anche soltanto montare immagini in autonomia: il che costituisce una evidente incongruenza rispetto alla premessa secondo cui e’ il quid pluris rappresentato dall’immagine rispetto al testo che rende la prima un’espressione di giornalismo, e non certo la maggiore o minore autonomia con la quale l’immagine venne ripresa o montata.
3. Il secondo motivo del ricorso principale.
3.1. Anche col secondo motivo di ricorso il Consiglio Nazionale sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5).
Espone, al riguardo, che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una viziosa motivazione, nella parte in cui ha ritenuto sussistente la prova che (OMISSIS) avesse svolto attivita’ giornalistica.
Secondo il ricorrente, per contro, le prove raccolte nelle fasi di merito non dimostravano affatto l’esercizio continuativo dell’attivita’ in tesi “giornalistica”. In particolare:
(a) la teste (OMISSIS) aveva dichiarato solo che il montaggio di (OMISSIS) rendeva il servizio “piu’ incisivo” (il che non significa che, senza quel montaggio, l’informazione sarebbe stata diversa o incompleta);
(b) il teste (OMISSIS) aveva riferito che adattava il proprio testo alle immagini montate da (OMISSIS), ma anche tale circostanza di per se’ non era sufficiente a ritenere provato lo svolgimento di attivita’ giornalistica;
(c) il teste (OMISSIS), infine, aveva riferito che il montatore sceglieva da solo le immagini: ma tale scelta autonoma non vale di per se’ a distinguere l’attivita’ del montatore da quella del giornalista.
3.2. Il motivo e’ fondato.
Per giungere alla conclusione che (OMISSIS) abbia svolto di fatto la pratica giornalistica, la Corte d’appello ha preso in esame quattro deposizioni testimoniali (pp. 6-7 della sentenza impugnata). Da queste deposizioni testimoniali sono emersi i seguenti dati oggettivi:
(a) (OMISSIS) effettuava il montaggio in autonomia (concordano sui questo punto tutti i testimoni);
(b) (OMISSIS) scambiava idee ed opinioni coi giornalisti autori dei testi cui erano destinate le immagini (testi (OMISSIS), (OMISSIS));
(c) (OMISSIS) non si limitava a selezionare le immagini, ma sceglieva anche il titolo e “talora” forniva un prodotto messo in onda senza la supervisione del giornalista.
Sulla base di queste dichiarazioni la Corte d’appello ha ritenuto “non esservi dubbio che (OMISSIS) contribuisse con le immagini a creare la notizia”.
3.3. Ora, e’ sin troppo noto come costituisca un tipico vizio di motivazione il travisamento delle prove raccolte, ovvero l’attribuzione ad esse di un significato del quale erano del tutto prive.
Nel caso di specie la Corte d’appello, chiamata a stabilire se nell’attivita’ svolta da (OMISSIS) fosse ravvisabile rispetto al testo scritto quel quid pluris che, solo, potrebbe consentire di ritenere “giornalistica” l’attivita’ del montatore di immagini, ha ritento di dare risposta affermativa al quesito, sulla base di quattro deposizioni le quali – per come riassunte nella motivazione della sentenza impugnata – non si sono occupate affatto di tale problema.
Per accogliere la domanda attorea la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare se i servizi giornalistici corredati dalle immagini di (OMISSIS) avrebbero avuto significato diverso senza le immagini da questi montate; ovvero se le immagini montate dall’attore fossero di per se’ idonee a trasmettere notizie non esternabili con la parola; e cio’ avrebbe dovuto fare con riferimento a fatti e date specifici, tale accertamento, tuttavia, e’ mancato: sicche’, pur potendosi ammettere in astratto che anche un montatore possa dar vita a creazioni cosi’ originali da costituire di per se’ attivita’ giornalistica, nel caso di specie non e’ dato sapere donde la Corte d’appello abbia tratto la prova che cio’ sia avvenuto.
Vale la pena aggiungere, per completezza, che prova in tal senso non e’ la generica affermazione, riferita dalla testimone (OMISSIS), secondo cui i servizi corredati dalle immagini montate da (OMISSIS) erano “piu’ incisivi”, e cio’ per due ragioni.
La prima ragione e’ che trattasi di affermazione del tutto generica, ed inidonea a giustificare l’assimilazione dell’attivita’ di montatore a quella di giornalista.
La seconda ragione e’ che nemmeno la piu’ lata concezione di “attivita’ giornalistica” puo’ arrivare a ricomprendere in essa l’enfasi, ovvero l’esaltazione della capacita’ attrattiva d’un testo.
Cosi’, ad esempio, no v’e’ dubbio che una veste grafica con caratteri maggiorati, grassetti e sottolineature possa attrarre l’attenzione del lettore, e risultare cosi’ “piu’ incisiva”: ma assurdo sarebbe ritenere che il curatore della grafica di un testo svolga attivita’ giornalistica.
Allo stesso modo, nel presente giudizio per potere qualificare come giornalistica l’attivita’ d’un montatore non era sufficiente che le sue immagini “enfatizzassero” il testo parlato, ma sarebbe stato necessario accertare se quelle immagini avevano di per se’ un contenuto informativo diverso ed ulteriore rispetto alla parte testuale.
4. Il terzo motivo del ricorso principale.
4.1. Col terzo motivo di ricorso il Consiglio Nazionale sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’articolo 360 c.p.c., n. 3 (si assumono violati la Legge 3 febbraio 1963, n. 69, articolo 29 e ss. nonche’ il Decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1965, n. 115, articoli 34 e 41); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
4.2. Sotto il profilo della violazione di legge, il ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere illegittimo, da parte del Consiglio dell’Ordine, il diniego dell’attestazione di compiuta pratica giornalistica. Quest’ultima, infatti:
(a) deve svolgersi nell’ambio dei servizi redazionali, Decreto del Presidente della Repubblica 115 del 1965, ex articolo 34 e cio’ non era nella specie avvenuto;
(b) deve essere continuativa, e nella specie era stata fornita al massimo la prova della continuita’ dell’attivita’ di montaggio, ma non di quella formativa;
(c) esige che il praticante sia soggetto al tutoraggio di un giornalista (Legge n. 69 del 1963, articolo 29 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 1965, articolo 41), nella specie ritenuto dalla Corte d’appello surrogabile da una generica supervisione;
(d) richiede l’inserimento del praticante nei quadri organici dei servizi redazionali (Decreto del Presidente della Repubblica 115 del 1965, articoli 41 – 43), nella specie mancata.
4.3. Sotto il profilo del vizio di motivazione, il ricorrente deduce col quarto motivo di ricorso che erroneamente la sentenza avrebbe ritenuto dimostrato lo svolgimento della pratica giornalistica per 18 mesi da parte di (OMISSIS), sebbene questi avesse dimostrato in giudizio di avere svolto per tale periodo l’attivita’ di montatore, non quella di praticante.
4.4. Il motivo e’ fondato in ambedue i profili in cui si articola.
4.4.1. Sotto il primo profilo (violazione di legge), v’e’ da rilevare che anche la pratica giornalistica, come qualsiasi attivita’, puo’ essere svolta “di fatto”, e cioe’ senza l’adempimento delle prescrizioni formali di legge cui e’ subordinata l’assunzione della qualita’ di “praticante”.
Lo svolgimento di fatto della pratica giornalistica costituisce titolo per la partecipazione all’esame di abilitazione professionale se esso sia stato rispettoso di tutte le prescrizioni legali concernenti la pratica, fuor d’una: la formale iscrizione del praticante nel relativo registro. E’ ovvio infatti che, se cosi’ non fosse, lo svolgimento della pratica di fatto finirebbe per divenire un commodus discessus per l’aggiramento delle norme di legge che disciplinano l’accesso all’attivita’ giornalistica.
Dunque il praticante giornalista di fatto potra’ essere ritenuto tale a condizione che abbia svolto una attivita’ coincidente in facto con la pratica giornalistica cosi’ come descritta dalla legge: e dunque se sia stato di fatto inserito nei quadri redazionali, se sia stato di fatto soggetto alla vigilanza del direttore, se il tirocinio sia durato di fatto per 18 mesi; se sia stato svolto di fatto in modo continuativo.
4.4.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto in sostanza irrilevante il mancato rispetto, da parte di (OMISSIS), degli obblighi di legge inerenti la sorveglianza della pratica da parte del direttore responsabile, e l’inserimento del praticante nei quadri della redazione. E cio’ sul presupposto che, avendo l’attore svolto una pratica di fatto, sarebbero in tal caso inapplicabili le norme di legge disciplinanti lo svolgimento della pratica giornalistica.
Tale affermazione e’ erronea in ture, perche’ chi svolga attivita’ giornalistica senza essere inserito nei quadri redazionali, senza carattere di continuita’ e senza supervisione d’un giornalista non e’ un praticante di fatto. Se cosi’ non fosse, si smarrirebbe la distinzione tra pratica giornalistica di fatto ed altre attivita’ che pratica giornalistica non sono.
La pratica giornalistica di fatto non e’ una attivita’ legibus soluta, ma e’ semplicemente una pratica svolta senza iscrizione nel registro dei praticanti. Tale pratica, pero’, per essere definita “di fatto” deve essere conforme al modello legale della pratica giornalista, altrimenti nemmeno di pratica di fatto si potrebbe parlare, ma solo di una attivita’ giuridicamente irrilevante.
4.5. Sussiste, infine, il vizio di motivazione denunciato col terzo motivo di ricorso.
La Corte d’appello, infatti, pur in assenza d’una formale dichiarazione di inizio di svolgimento della pratica, ovvero d’una prova equivalente, ha ritenuto compiuto in modo continuativo il prescritto periodo di 18 mesi di pratica.
Per giungere a tale conclusione, la Corte d’appello si e’ limitata ad affermare che nella specie risultava “inequivocamente accertato” lo svolgimento delle mansioni di giornalista praticante per un periodo superiore a 18 mesi.
Questa ermetica motivazione tuttavia nulla consente di inferiore circa l’iter logico seguito dalla Corte d’appello per pervenire a tale conclusione: non e’ dato saper,e in particolar modo, ne’ da quali fonti di prova abbia tratto tale convincimento; ne’ da quali fonti di prova abbia desunto il carattere continuativo dello svolgimento della pratica, che ovviamente e’ altra e diversa attivita’ rispetto allo svolgimento continuativo dell’attivita’ di montatore.
5. Tutte le conclusioni che precedono sono state gia’ affermate da questa Corte in una vicenda quasi identica, decisa dalla sentenza 31.3.2014 n. 5794.
6. Il ricorso incidentale.
6.1. Il ricorso incidentale proposto dal Consiglio Regionale dell’ordine dei giornalisti resta assorbito dall’accoglimento del ricorso principale.
7. La sentenza impugnata deve in definitiva essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in differente composizione, la quale nel riesaminare la causa si atterra’ al seguente principio di diritto:
Lo svolgimento della pratica giornalistica “di fatto” puo’ consentire la partecipazione all’esame di abilitazione professionale solo se sia stato in tutto conforme al modello di pratica professionale descritto dalla legge, salvo che per il requisito formale dell’iscrizione nel registro dei praticanti: e dunque se il praticante sia stato inserito di fatto nella redazione, se sia stato soggetto di fatto alla supervisione d’un giornalista, e se di fatto abbia svolto la pratica in modo continuativo.
8. Il giudice del rinvio, inoltre, nell’esaminare la domanda proposta da (OMISSIS) provvedera’ a sanare le mende motivazionali sopra rilevate, e quindi:
(a) spieghera’ compiutamente se sussista la prova che le immagini montate dall’attore avessero di per se’ valenza informativa, indicando da quali fonti di prova abbia tratto tale convincimento;
(b) evitera’ di ritenere dimostrato il carattere giornalistico dell’attivita’ svolta dall’attore sulla base della mera circostanza che quell’attivita’ venisse svolta in autonomia;
(c) precisera’ da quali fonti di prova abbia tratto il convincimento dell’esistenza dello svolgimento, da parte dell’attore, della pratica giornalistica in modo continuativo per 18 mesi.
8. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimita’ e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 3.
-) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’ e di quelle dei gradi di merito.
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