Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 17 maggio 2014, n. 10842
Svolgimento del processo
L’INPDAI (locatore) convenne in giudizio il G. (conduttore di un immobile adibito a rimessa di proprietà dell’attore) perché fosse dichiarato risolto il contratto di locazione per inadempimento del conduttore, che aveva adibito l’immobile locato a dormitorio di cittadini extracomunitari e vi aveva realizzato lavori non autorizzati. Il Tribunale di Roma accolse la domanda con sentenza poi confermata dalla Corte d’appello. Contro la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione il G. attraverso sei motivi. Risponde con controricorso l’INPS.
Motivi della decisione
1° motivo: lamenta la violazione dell’art. 447 bis sostenendo che il primo giudice non avrebbe potuto disporre d’ufficio la testimonianza di soggetti non indicati dal ricorrente.
Il motivo deve essere respinto.
Occorre innanzitutto rilevare che il ricorrente avrebbe dovuto spiegare la doglianza sotto il profilo della previsione del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. (nullità del procedimento) e non del n. 3 dello stesso articolo (violazione di legge). Ad ogni buon conto, la sentenza spiega che il primo giudice, dopo avere escusso il testimone indicato dall’ente ricorrente, si rese conto che costui era l’ispettore di polizia che s’era limitato a redigere il rapporto; sicché, risultò indispensabile disporre l’assunzione diretta degli agenti di polizia che avevano proceduto all’ispezione ed avevano constatato che il locale era stato adibito a dormitorio degli extracomunitari. Deve essere, dunque, escluso qualsiasi vizio del procedimento, posto che, a norma dell’art. 447 bis c.p.c., “il giudice può disporre d’ufficio, in qualsiasi momento, l’ispezione della cosa e l’ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio”.
2° 3° 4° motivo: violazione di legge e vizio della motivazione. Le doglianze sono le seguenti: a) dalla testimonianza dei poliziotti può desumersi soltanto che il giorno dell’ispezione furono trovate nel locale alcune persone, ma dalla stessa non può trarsi la prova dell’esistenza di un contratto di sublocazione/cessione a titolo gratuito; b) il giudice d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi in ordine al capo d’impugnazione con il quale l’appellante G. denunziava l’inversione dell’onere probatorio commessa in primo grado; c) il giudice di primo grado avrebbe invertito l’onere della prova e non avrebbe motivato in ordine alla ritenuta prova circa l’esistenza di un contratto di sublocazione; il giudice d’appello avrebbe “avallato” tale condotta del primo giudice; d) le opere realizzate nell’immobile dal conduttore erano necessarie.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
In primo luogo, impropriamente il ricorrente sposta il piano del dibattito sull’esistenza di un contratto di sublocazione o di cessione gratuita del locale e sulla predicata inesistenza della prova a riguardo. Bisogna, infatti, tener conto che l’originario petitum dell’azione e la sua causa petendi consistevano nella domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, individuato dal locatore nel fatto che quest’ultimo aveva adibito l’immobile ad uso diverso (dormitorio per extracomunitari) rispetto alla sua natura ed allo scopo per il quale era stato concesso in locazione (autorimessa) ed aveva, altresì, eseguito sullo stesso opere non autorizzate. Prova che risulta essere stata fornita dall’ente relativamente ai due profili di lamentato inadempimento. Per il resto, i motivi affrontano questioni di merito inammissibili in cassazione.
5° 6° motivo: violazione di legge e vizio della motivazione. In estrema sintesi, il ricorrente sostiene che il giudice avrebbe omesso di valutare la prova documentale dalla quale poteva dedursi la dimostrazione che effettivamente il locale in questione era stato adibito ad autorimessa e che le opere eseguite erano corrispondenti ai diritti dei lavoratori inerenti agli ambienti nei quali si svolge la loro opera.
I motivi, che possono essere congiuntamente motivati, sono inammissibili per difetto di autosufficienza, siccome il ricorrente fa un confuso e generico riferimento alla prova documentale che egli avrebbe conferito in atti, senza specificarne la natura ed il contenuto, rendendo, così, non delibabile la censura.
7° motivo: lamenta la mancata pronunzia in merito alla domanda riconvenzionale di condanna dell’ente alla restituzione delle somme spese per riparare il locale, ribadendosene la necessità al fine di destinarlo all’uso pattuito.
Il motivo deve essere respinto. Il giudice ha fornito compiuta risposta sul punto, spiegando: che l’autorizzazione scritta alle opere non era stata preventivamente concessa dal locatore, così come imposto dalla specifica pattuizione contrattuale; che il conduttore aveva effettivamente comunicato al locatore l’esecuzione di alcune opere sull’immobile, ma queste erano diverse da quelle effettivamente realizzate (soppalco, angolo cottura, WC, finestre, ecc.); i lavori, infine, non erano neppure necessari per rendere i locali idonei all’uso di autorimessa.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 4200,00, di cui € 4000,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.
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