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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

 sentenza 16 settembre 2013, n. 37815

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza 28.11.2012 la Corte d’Appello di Catanzaro – riformando totalmente la pronunzia del Tribunale – ha assolto l’imputato T.P. dai reati di cui ai capi B (prostituzione minorile ai danni di C.A. e L.M. ) e C (tentata prostituzione minorile in danno di L.M. ) con la formula perché il fatto non sussiste. Ha dichiarato non doversi procedere per difetto di querela in ordine a reato di cui al capo A (come riqualificato dal Tribunale: art. 609 quater, atti sessuali con i minori R.M. , R.A. , S.F. e C.G. ).
La Corte di merito, per escludere la sussistenza dei reati di prostituzione minorile (capi B e C), ha svolto le seguenti argomentazioni: quanto al reato sub B in danno del C. , ha rilevato che mancava il rapporto sinallagmatico tra la condotta e le regalie elargite al ragazzo; quanto al reato sub B in danno del L. , e a quello sub C in danno del medesimo, ha considerato inattendibili le dichiarazioni della parte offesa.
Infine, ha dichiarato l’improcedibilità per mancanza di querela in ordine al reato di cui all’art. 609 quater (capo A), perché, essendo venuti meno i reati sub B e C, veniva a mancare la connessione con reati perseguibili di ufficio.
2. Contro la decisione ricorrono per cassazione sia il Procuratore Generale di Catanzaro che, tramite i difensori, le parti civili R.M. , R.A. e S.F. (con tre separati, ma identici ricorsi), nonché C.G. e C.A. , con separati (e parzialmente identici) ricorsi.
2.1 Con un unico motivo, il Procuratore Generale di Catanzaro denunziando l’inosservanza dell’art. 600 bis comma 2 c.p. e mancanza e contraddittorietà della motivazione, rileva che la Corte d’Appello non ha considerato l’articolata opera di convincimento posta in essere dall’imputato attraverso i regali per vincere la resistenza dei minori. Inoltre non avrebbe considerato le spiegazioni date dal teste L. per giustificare le originarie reticenze (vergogna verso i propri genitori). Quanto alla rilevata incongruenza delle telefonate, il PG ha rilevato che il L. aveva detto di “non ricordare” di avere fatto telefonate all’imputato, il che non significa “escludere”.
Conclude il PG ricorrente osservando che la sussistenza del reato di cui all’art. 600 bis comma 2 cp (prostituzione minorile) estende la procedibilità di ufficio in ordine al reato di atti sessuali con minorenni di cui all’art. 609 quater (reato contestato al capo A).
2.2 I ricorrenti R.M. , R.A. e S. , aderendo sostanzialmente al ricorso del PG, denunziano la violazione dell’art. 600 bis comma 2 cp nonché l’illogicità e contraddittorietà della motivazione svolgendo considerazioni analoghe.
2.3 C.G. , a sua volta, propone due motivi di ricorso.
Con una prima censura denunzia anch’egli l’inosservanza dell’art. 600 bis comma 2 cp e il vizio di motivazione rilevando che la Corte d’Appello ha escluso la sinallagmaticità tra le condotte ma non ha spiegato quale sarebbe stata la condotta alternativa, cioè il fine perseguito in concreto dal T. che elargiva danaro ai fanciulli che incontrava e che in occasione dei rapporti sessuali “dava più soldi”.
Con un secondo motivo di ricorso il C. denunzia l’inosservanza dell’art. 192 cpp sulla ritenuta inattendibilità del L. e richiama le giustificazioni date al ragazzo in dibattimento circa le diverse affermazioni rese alla PG quando aveva quindici anni.
2.4 C.A. denunzia anch’egli l’inosservanza dell’art. 600 bis comma 2 cp e il vizio di motivazione sulla base delle stesse argomentazioni utilizzate dal C.G. a sostegno del primo motivo del suo ricorso.
3. L’imputato in data 3.6.2013 ha depositato una memoria difensiva.

Considerato in diritto

1. Innanzitutto, va rilevata l’inammissibilità della memoria difensiva depositata dall’imputato solo il 3.6.2003, quindi appena tre giorni prima dell’udienza pubblica.
Infatti, come più volte affermato da questa Corte, il termine di quindici giorni per il deposito di memorie difensive; previsto dall’art. 611 cod. proc. pen., è da ritenersi applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica e la sua inosservanza esime la Corte di cassazione dall’obbligo di prenderle in esame (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 18453 del 28/02/2012 Ud. dep. 15/05/2012 Rv. 252711; Sez. 2, Sentenza n. 1417 del 11/10/2012 Ud. dep. 11/01/2013 Rv. 254303; Sez. 1, Sentenza n. 17308 del 11/03/2004 Ud. dep. 14/04/2004 Rv. 228646). Il principio va oggi senz’altro ribadito non avendo l’imputato addotto alcuna ragione per indurre la Corte ad opinare diversamente.
2. Venendo all’esame dei ricorsi – che, evidenziando sostanzialmente anche vizi motivazionali, ben possono formare oggetto di trattazione unitaria – la Corte ne rileva la fondatezza sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte – a cui va data senz’altro continuità – la disposizione di cui all’art. 600 bis cp., comma 2, sanziona penalmente chi compie atti sessuali a pagamento o con un corrispettivo, con persona minore. È stato in particolare affermato (Sez. 3, Sentenza n. 16759 del 07/02/2013 Ud. dep. 12/04/2013 Rv. 255453; cfr. cass. Sez. 3, Sentenza n. 4235 del 11/01/2011 Cc. dep. 04/02/2011 Rv. 249316) che la fattispecie dell’art. 600 bis, comma 2 ha carattere marcatamente residuale come risulta all’evidenza dall’inciso “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, che si qualifica come clausola di sussidiarietà mirata a rendere residuale, appunto, l’applicazione della fattispecie rispetto ad altri reati che sanzionano più gravemente il fatto di chi compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica; laddove il comma 1 della medesima disposizione sanziona, con una pena più grave, il fatto di chi “induce” alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero -prosegue la stessa disposizione – il fatto di chi ne favorisce o ne sfrutta la prostituzione. In comune le due fattispecie hanno la nozione di atti sessuali con un minore di anni diciotto in cambio di denaro o di altra utilità che può qualificarsi come “prostituzione minorile”; formulazione, questa, che costituisce infatti la rubrica che accomuna le due ipotesi di reato e che è centrata sulla sinallagmaticità tra atto sessuale e corrispettivo economico; cfr. Cass., sez. 3, 4 luglio 2006 – 5 ottobre 2006, n. 33470, secondo cui anche un isolato atto sessuale retribuito è considerato atto di prostituzione per il fruitore della prestazione e, di conseguenza, per il minore, essendo questa definizione incentrata sull’elemento “retribuivo” – la controprestazione dell’atto sessuale – senza che siano richiesti l’abitualità della condotta o la pluralità di fruitori della stessa: cfr. altresì Cass., sez. 3, 15 aprile 2010 – 4 giugno 2010, n. 21335, che ha ritenuto che anche il singolo episodio di percezione del denaro o di altra utilità è idoneo ad integrarne gli estremi del reato di prostituzione minorile.
Sempre secondo la giurisprudenza, nella fattispecie dell’art. 600 bis, comma 2 l’agente tiene un comportamento che è sì abusivo del minore, ma che è assolutamente neutro rispetto alla determinazione della volontà, pur immatura, di quest’ultimo di assentire al compimento di atti sessuali con controprestazione; il minore non è benché minimamente sollecitato, o incoraggiato, o blandito perché si determini al compimento dell’atto sessuale con controprestazione (cfr. cass. Sez. 3, Sentenza n. 16759 del 07/02/2013 cit.). Si è sottolineato inoltre che, con l’art. 600 bis, comma 2, il legislatore (sia quello della L. n. 268 del 1998 che, a maggior ragione, quello della L. n. 38 del 2006), per cercare di eliminare ogni forma di prostituzione minorile, ha introdotto una inedita fattispecie di reato sottoponendo a sanzione penale anche la mera condotta del “cliente” (Cass., sez. 3, 4 luglio 2006 – 5 ottobre 2006, n. 33470, cit.).
3. Nella fattispecie in esame, la Corte di merito ha motivato l’assoluzione dell’imputato dal reato di prostituzione minorile in danno del C. perché dalle dichiarazioni della parte offesa era emerso che il T. dava sempre danaro o altri regali quando si incontrava col ragazzi, anche quando non avevano rapporti sessuali: e da tale circostanza ha dedotto che mancava l’indispensabile rapporto di sinallagmaticità tra la condotta dell’imputato e l’elargizione di tali regali.
Così argomentando, però, il giudice di merito si è discostato non solo dal citato principio di diritto, che – come si è visto – ritiene punibile anche un anche il singolo episodio di percezione del denaro o di altra utilità, ma ha dato una motivazione illogica perché pur dando per provata l’esistenza di una pluralità di rapporti fisici e con contestuale elargizione di doni, non ha però spiegato a quale titolo venivano date al ragazzo le regalie o le somme di danaro che, in occasione o in previsione dei rapporti sessuali, diventavano addirittura più consistenti, come pure è stato accertato.
Ed ancora, quanto alle condotte nei confronti di L. , pur avendo la parte offesa dato in dibattimento una giustificazione alla rilevata divergenza tra le dichiarazioni (negative) inizialmente rese in sede di indagini preliminari e quelle di tutt’altro tenore rese in dibattimento (facendo richiamo al senso di vergogna provato la prima volta quando aveva quindici anni, che lo aveva indotto a negare i fatti, poi confermati in dibattimento), la Corte d’Appello ha trascurato ogni analisi in ordine a tale giustificazione, limitandosi a rilevare il contrasto tra le due versioni. Parimenti, ha dato rilievo decisivo anche alla questione delle telefonate, evidenziando il contrasto tra i tabulati telefonici (che ne registravano 19) e le affermazioni del teste, senza esaminare criticamente il significato delle dichiarazioni rese in proposito dal L. , in termini di incertezza.
Si impone pertanto l’annullamento della sentenza e il giudice di rinvio riesaminerà il caso tenendo conto dei principi e dai rilievi di cui sopra, fornendo congrua e logica motivazione; resta logicamente assorbito l’esame della procedibilità del reato di cui all’art. 600 quater c.p..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro.

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