Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 16 febbraio 2016, n. 2998
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10388/2013 proposto da:
(OMISSIS) ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio professionale dell’avvocato (OMISSIS), presentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE AL (gia’ Azienda sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Casale Monferrato, in persona del suo legale rappresentante Direttore Generale (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), con studio in (OMISSIS), giusta procura in calce alla memoria;
– resistente –
avverso la sentenza n. 2100/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 27/12/2012, R.G.N. 633/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/2015 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. – (OMISSIS) convenne in giudizio l’ASL n. (OMISSIS) di Casale Monferrato ed (OMISSIS) per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni patiti a seguito dell’intervento chirurgico di “uncinectomia, meatomie medie e setto plastica” eseguito il (OMISSIS) presso l’Ospedale (OMISSIS) dal (OMISSIS), il quale, nel corso di detto intervento, aveva causato la frattura orbitaria con ematoma all’occhio sinistro, con conseguenti immediati gravi malesseri (quali “diplopia nello sguardo in tutte le direzioni e continua cefalea”) ed esiti di “deficit di movimento nell’occhio sinistro con paresi del 3 nervo cranico”.
Nel contraddittorio con i convenuti, l’adito Tribunale di Casale Monferrato, disposta ed espletata c.t.u. medicolegale, rigetto’ la domanda attorea con sentenza del dicembre 2009.
2. – Avverso tale decisione proponeva impugnazione (OMISSIS), che la Corte di appello di Torino – respinta l’istanza di rinnovazione della c.t.u. ed assunti chiarimenti da parte dei consulenti d’ufficio nominati in primo grado – rigettava con sentenza resa pubblica il 27 dicembre 2012.
2.1. – La Corte territoriale – premesso di aver assunto a chiarimenti i consulenti di primo grado in ragione delle “doglianze della difesa dell’appellante e relativi all’individuazione dei concreti elementi che avevano portato nel caso di specie ad escludere la responsabilita’” del (OMISSIS) – osservava che, all'”esito del supplemento di consulenza”, risultava chiarito “che la complicanza intraoperatoria occorsa allo (OMISSIS)” (“frattura orbitaria” provocante “ematoma OS”) non era “imputabile ad una condotta colposa del chirurgo”, in capo al quale era da escludere, in concreto, “qualsiasi profilo di negligenza, imperizia o imprudenza”.
2.1.1. – A tal riguardo il giudice di secondo grado evidenziava, ai fini della “valutazione dell’effettiva difficolta’ chirurgica affrontata in sede operatoria e dell’esclusione di una responsabilita’ colposa del chirurgo”, che, nel corso dell’operazione chirurgica, era emersa “una situazione talmente degenerata e compromessa dell’area di intervento” (presenza di formazioni polipoidi, di mucosa cicatriziale, di tenaci cicatrici e di abbondante sanguinamento a fronte della particolare fragilita’ della la mina papiracea), “da rendere del tutto indipendente dall’operato del medico l’insorgenza della complicanza poi verificatasi”, la’ dove “l’intervento eseguito era quello effettivamente indicato per la patologia diagnosticata (sinusite mascellare cronica e deviazione del setto)” e la “tecnica operatoria piu’ indicata” era proprio quella “prevista in sede di chirurgia endoscopica e denominata uncinectomia e settoplastica”.
2.1.2. – La Corte territoriale osservava, quindi, che le critiche mosse dal c.t. dell’appellante sulla natura della complicanza non ponevano, comunque, “in dubbio la coerenza ed affidabilita’ della valutazione espressa dal CTU circa la non imputabilita’ della stessa al chirurgo e cio’ proprio in ragione della descrizione dell’effettivo stato dell’area interessata dall’intervento (in modo ben piu’ grave di quanto descritto dalle TAC dei seni paranasali eseguite in precedenza …), delle sue conseguenze circa la predisposizione dell’appellante stesso all’insorgenza della complicanza in oggetto e della descritta ininfluenza su di essa dell’abilita’ del chirurgo”.
2.1.3. – Il giudice del gravame, a fronte delle critiche dello (OMISSIS) circa la necessita’ di cambiare tecnica operatoria dinanzi al riscontrato quadro dell’area di intervento, rilevava, sulla scorta della c.t.u., che “il rischio di lesione vi sarebbe stato con qualsiasi tipo di approccio chirurgico”, la’ dove, poi, lo stesso appellante taceva sul fatto che veniva eseguita la “settoplastica”, venendo in rilievo, altresi’, la circostanza che la stessa letteratura medica riconduceva le “alterazioni permanenti di motilita’ oculare” (occorrenti nello 0,1-0,3% dei casi) “ad una complicanza prevista (ma non prevenibile), piuttosto che ad un errore dell’operatore”, in ragione proprio della “peculiare situazione anatomo-patologica locale”. Sicche’, la scelta “di non cambiare tecnica operatoria nel corso dell’intervento” non integrava “una condotta gravemente colposa, tenuto conto della particolare difficolta’ occorsa in sede operatoria, ne’ in via prognostica” assumeva “una sufficiente consistenza causale, rispetto all’insorgenza della complicanza in esame”.
2.1.4. – La Corte territoriale – rispetto alla critica di parte appellante per cui “il sanitario non si sarebbe neppure accorto di avere procurato la frattura orbitaria” giacche’ in atti vi erano due lettere di dimissioni di esso (OMISSIS), “entrambe datate 23.1.2004, ma in cui solo in una di esse viene segnalata la complicanza della frattura orbitaria che ha provocato ematoma OS” – osservava che la presenza di due lettere di dimissioni non assumeva rilievo alcuno, non solo perche’ non era stata “formalmente prospettata la falsita’ di una delle due”, ma, soprattutto, in quanto “solo la seconda (che contiene la segnalazione della complicanza)” era “sottoscritta dal Dr. (OMISSIS)”. Peraltro, soggiungeva il giudice di appello, la complicanza era gia’ segnalata, nella cartella clinica, “fin dalla descrizione dell’intervento”, risultando “prescritta ed effettuata nell’immediato una visita oculistica”, del cui esito veniva dato conto nella anzidetta lettera di dimissioni.
2.1.5. – Infine, sulla doglianza dello (OMISSIS) circa la “mancata specifica informativa in sede di prestazione del consenso all’intervento della possibilita’ di frattura orbitaria, quale complicanza dello stesso”, il giudice di secondo grado, precisato che l’obbligo informativo si estende “ai rischi prevedibili e non anche agli esiti anomali”, rilevava che i moduli prodotti dal (OMISSIS) al fine di provare l’acquisizione del consenso dello (OMISSIS) erano due, sebbene uno soltanto “sottoscritto e inserito in cartella clinica”, non essendo pero’ “contestata la circostanza allegata che allo (OMISSIS) fossero stati sottoposti entrambi”. Sicche’, la Corte distrettuale evidenziava che in detti moduli – e in ogni caso in quello sottoscritto – erano riportate, con informazione “sufficientemente precisa”, ipotesi di complicazioni “ben piu’ gravi di quella occorsa”, per cui non poteva reputarsi “presumibile che lo (OMISSIS) se compiutamente informato della specifica complicanza in esame, avrebbe rifiutato l’intervento”.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre (OMISSIS) sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso, illustrato da memoria, l’Azienda Sanitaria Locale AL (gia’ Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Casale Monferrato).
(OMISSIS) ha depositato “richiesta di partecipare alla discussione orale ex articolo 378 c.p.c.”, con allegata documentazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Preliminarmente, va dichiarata inammissibile la costituzione in questa sede di (OMISSIS) (destinatario del ricorso notificatogli il 15 aprile 2013) in quanto effettuata non gia’ con controricorso, bensi’ con atto denominato “richiesta di partecipare alla discussione orale ex articolo 378 c.p.c.”, pervenuto a questa Corte il 22 ottobre 2013 e non notificato alle controparti, il quale presenta una procura in calce in favore dell’avv. (OMISSIS), senza che (come risulta dalla stessa nota di accompagno, ove sono indicati i documenti prodotti) vi sia stato deposito di separata procura speciale per atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Si tratta, dunque, di procura invalida, che non consente neppure la utile partecipazione del difensore alla discussione orale, giacche’ non rilasciata nelle forme di cui all’articolo 83 c.p.c., commi 2 e 3, nella sua formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, articolo 45 (in quanto dette modifiche – che avrebbero consentito un conferimento di procura come quella anzidetta – non possono trovare applicazione nella presente controversia, instaurata nel 2005, in quanto operanti soltanto per i giudizi introdotti dopo l’entrata in vigore delle legge stessa, alla stregua di quanto disposto dalla medesima Legge n. 69, articolo 58).
Sicche’, nella fattispecie, e’ ancora pienamente efficace la seguente regula iuris: “Nel giudizio di cassazione diversamente rispetto a quanto avviene con riguardo ai giudizi di merito – la procura speciale non puo’ essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poiche’ l’articolo 83, comma 3, nell’elencare gli atti a margine o in calce ai quali puo’ essere apposta la procura speciale, individua, con riferimento al giudizio di cassazione, soltanto quelli suindicati. Pertanto, se la procura non viene rilasciata su detti atti, e’ necessario che il suo conferimento si realizzi nella forma prevista del citato articolo 83, comma 2, cioe’ con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata” (tra le tante, Cass., 5 giugno 2007, n. 13086; cfr. anche Cass., 13 febbraio 2013, n. 3554).
2. – Con i primi due mezzi, congiuntamente sviluppati, e’ dedotto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al “Capo 2 della sentenza impugnata”, “omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti”, nonche’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2700 c.c., articoli 167 e 112 c.p.c..
Il ricorrente, preliminarmente, deduce l’insussistenza di “una duplice valutazione conforme dei fatti di causa” tra la sentenza di primo e quella di secondo grado, rilevante ai fini del quinto comma dell’articolo 348-ter c.p.c., introdotto dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 134 del 2012.
Tanto premesso, con una prima articolata censura sub n. 3 e n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., dopo ampie argomentazioni (pp. 8/19 del ricorso) sui contenuti delle c.t.u. espletate in entrambi i gradi di merito e sugli errori che avrebbero commesso i consulenti d’ufficio, posti in risalto dalle stesse difese di parte attrice/appellante, si addebita alla Corte territoriale di aver omesso “ogni valutazione” su “alcuni fatti e deduzioni difensive decisive per il giudizio”, avuto riguardo alla portata della complicanza derivata dall’intervento chirurgico, anche alla luce di quanto risultante dalla letteratura medica in riferimento alla sua rarita’, tanto da doversi essa “ricondurre nell’alveo dell’errore professionale”.
Con ulteriore articolata doglianza, sempre sub n. 3 e n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., in riferimento al “fatto”, del tutto incontestato, della esistenza di due lettere di dimissioni in data 23 gennaio 2004 con “contenuto diametralmente opposto”, si assume che la Corte di appello, nell’addurre l’irrilevanza della mancata proposizione della querela di falso o, comunque, di una formale contestazione della falsita’, non avrebbe operato “una valutazione di merito contraria a quella prospettata dalla parte appellante”, bensi’ avrebbe finito “con non valutare un dato a causa di un presunto vizio formale in realta’ inesistente”, con cio’ omettendo l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonche’ violando l’articolo 2700 c.c., giacche’ la formale contestazione della falsita’ di uno dei documenti non era necessaria, anche in ragione del principio di “non contestazione”, altresi’ incidendo “sulla correttezza logica ed argomentativa” della motivazione.
Del resto, la censura di esso appellante si “fondava proprio sulla veridicita’ ideologica dei due documenti nel distinto momento in cui erano stati redatti”, non essendosi mai sostenuto che la lettera in cui non si menzionavano le complicanze fosse falsa; analogamente era da reputarsi quanto alla lettera che segnalava le complicanze, giacche’ redatta – come era da evincersi anche in base ad “una piu’ attenta lettura della cartella clinica” – “dopo che lo (OMISSIS) aveva denunciato i malesseri ed il Dott. (OMISSIS), dopo apposita visita oculistica (effettuata il giorno dopo l’intervento e non tempestivamente), aveva avuto contezza della complicanza”.
1.1. – I primi due motivi, da scrutinare congiuntamente in quanto connessi, non possono trovare accoglimento.
1.1.1. – Preliminarmente, occorre precisare che la disposizione – richiamata dallo stesso ricorrente e in parte evocata anche nel controricorso della Azienda Sanitaria Locale AL (ove si fa riferimento alla “esistenza del doppio giudizio conforme”) – di cui dell’articolo 348-ter c.p.c., comma 5, introdotto dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera a), convertito, con modificazione, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 134, la quale esclude che possa essere impugnata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, non trova applicazione nella presente impugnazione di legittimita’, giacche’, agli effetti del citato Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 2, essa e’ operante per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dall’11 settembre 2012 (trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione di detto Decreto Legge), mentre, nella specie, l’appello risale all’anno 2010.
1.1.2. – Trova, invece, applicazione nel presente giudizio la disposizione di cui dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, siccome novellato del Decreto Legge n. 83 del 2012, citato articolo 54, comma 1, lettera b), che, come previsto dello stesso articolo 54, comma 3, si applica alle sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012 (trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione di detto Decreto Legge), essendo la sentenza di appello impugnata in questa sede stata pubblicata il 27 dicembre 2012.
1.2. – Le censure si appuntano sia sulla asserita omessa valutazione di fatti e deduzioni attinenti alla portata della complicanza insorta nel corso dell’intervento chirurgico eseguito dal (OMISSIS) sulla persona dello (OMISSIS)o, essendosi la Corte di appello asseritamente adagiata su erronei e deficitari accertamenti medico-legali; sia sulla mancata, o comunque erronea, valutazione del “fatto” relativo all’esistenza di due lettere di dimissioni dello (OMISSIS) all’esito dell’intervento chirurgico, dal contenuto differente, con correlata violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto inerenti alla disciplina, sostanziale e processuale, nella specie rilevante, dello stesso anzidetto “fatto”.
Invero, la sostanza delle doglianze, sebbene si evochi anche il vizio riconducibile dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e’ tutta incentrata sulla motivazione della Corte territoriale, non assumendo effettivo rilievo le censure di error in iudicando, gravitando lo sviluppo argomentativo dei motivi sempre intorno all’apprezzamento della quaestio facti da parte del giudice del merito.
Del resto, l’evocata violazione dell’articolo 2700 c.c., si coniuga proprio alla dedotta omessa valutazione del “fatto” delle divergenti lettere di dimissioni (invero, ritenuto incontestato anche dalla Corte territoriale), la’ dove, peraltro, neppure coglie appieno la portata della ratio decidendo della sentenza impugnata, che non solo attribuisce rilevanza unicamente alla lettera di dimissioni sottoscritta dal (OMISSIS), ma, in ogni caso, prescinde sostanzialmente dal dato – seppur indagato e oggetto di specifica motivazione – della presenza delle richiamate due lettere di dimissioni, giacche’ la consapevolezza del chirurgo in ordine alla complicanza viene correlata, in definitiva, alla segnalazione della stessa complicanza nella descrizione dell’intervento in cartella clinica e nella prescrizione ed effettuazione di visita oculistica nell’immediato. Cio’ venendo ad integrare proprio la trascrizione nella cartella clinica – redatta da un’azienda ospedaliera pubblica – di attivita’ espletate nel corso di una terapia o di un intervento che (diversamente dalle valutazioni, dalle diagnosi o, comunque, dalle manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse) rappresentano quelle attestazioni che assumono natura di certificazione amministrativa, cui e’ applicabile lo speciale regime di cui agli articoli 2699 c.c. e segg. (tra le altre, Cass., 30 novembre 2011, n. 25568).
1.3. – Posto, dunque, che il complesso delle censure (e, comunque, di quelle ancora da scrutinare) denuncia un vizio di cui al novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, occorre rammentare, alla luce della giurisprudenza di questa Corte (anzitutto Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053), che il vizio veicolabile in base alla predetta norma processuale e’ “relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”. Con l’ulteriore puntualizzazione per cui “la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito e’ sindacabile in sede di legittimita’ soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili” (tra le altre, Cass., 9 giugno 2014, n. 12928), esclusa, invece, qualunque rilevanza rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione o di contraddittorieta’ della stessa (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257; Cass., sez. un., 23 gennaio 2015, n. 1241; Cass., 6 luglio 2015, n. 13928).
1.4. – Nella specie, come risulta chiaramente dalla sentenza impugnata (pp. 6/10 e dalla sintesi di cui al “Ritenuto in fatto” che precede), i fatti storici che vengono indicati a fondamento dei motivi di ricorso (lamentandosene – in rubrica – l’omesso esame) sono stati, invece, apprezzati dal giudice di appello, il quale si e’ ampiamente soffermato sulla portata dell’intervento chirurgico al quale si e’ sottoposto lo (OMISSIS), sull’atteggiarsi della complicanza emersa nel corso di detto intervento, sulla condotta del chirurgo, sui contenuti della cartella clinica (e delle lettere di dimissioni ivi presenti), argomentando in base al tenore degli elaborati tecnici d’ufficio acquisiti nel corso dell’intero giudizio di merito, tenendo specificamente conto delle critiche ad essi mosse dall’attore/appellante.
Sicche’, alla luce del predetto paradigma legale in forza del quale sono scrutinabili, non sono affatto ravvisabili nella motivazione – presente e pienamente intelligibile – della sentenza impugnata i vizi motivazionali denunciati.
2. – Con il terzo e quarto mezzo, congiuntamente sviluppati, e’ prospettata, “in relazione al Capo 1 della sentenza impugnata”, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 2236, 1218, 2043 e 2049 c.c., nonche’ dedotto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti”.
La Corte territoriale – sebbene, nel convocare a chiarimenti i consulenti d’ufficio, avesse preso atto delle critiche dell’appellante in ordine all’assenza di prova, gravante sul sanitario, di un fatto imprevedibile “capace di giustificare lo scostamento della regolarita’ causale, ossia la soluzione, senza complicanze, della patologia per la quale l’attore aveva deciso di sottoporsi all’intervento chirurgico” – non avrebbe, poi chiarito, nell’aderire alle conclusioni del supplemento di c.t.u. (criticate da esso appellante), “il perche’ dell’assunta inefficienza causale degli accorgimenti e tecniche alternative indicate dal consulente” di parte, limitandosi ad una apodittica affermazione circa la difficolta’ di “qualsiasi tipo approccio chirurgico” a fronte della “presenza di importanti segni di flogosi”.
Il giudice di appello avrebbe poi mal governato le norme di cui agli articoli 1176, 2236, 1218, 2043 e 2049 c.c., per aver ritenuto assente la colpa in capo ai convenuti, “nonostante la mancanza della prova positiva dalle stesse offerte circa l’esatta esecuzione dell’intervento chirurgico per cui e’ causa; e cio’ in evidente contrasto con l’ordinanza istruttoria emessa dalla stessa Corte il 26.10.2010”.
2.1. – I motivi terzo e quarto, da esaminarsi congiuntamente, non possono trovare accoglimento.
Anche le censure con essi veicolate gravitano essenzialmente intorno al vizio di cui dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacche’ tramite le dedotte violazioni di legge si aggredisce piuttosto il presupposto accertamento in fatto che ricostruisce la fattispecie materiale ancor prima dell’opera ermeneutica di sussunzione nella corrispondente fattispecie legale.
Peraltro, pure in questo caso le doglianze che evocano una violazione di legge non colgono l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, non essendo in essa in discussione la portata del riparto dell’onere probatorio in materia di responsabilita’ professionale medica, ne’ l’accertamento del nesso causale alla luce della regola di funzione del “piu’ probabile che non” (in entrambi casi armonizzandosi le affermazioni della Corte territoriale con gli enunciati di principio di questa Corte), bensi’ incentrandosi la motivazione del giudice del merito sul concreto atteggiarsi della condotta del chirurgo, valutandone la portata ai fini del giudizio sulla esistenza, o meno, della colpa. E, del resto, anche sotto tale specifico aspetto la sentenza di appello si conforma in iure ai principi della materia, evidenziando come l’apprezzamento, in quanto correlato ad una prestazione medica in concreto divenuta di particolare difficolta’, fosse guidato (per tale peculiare profilo di comportamento richiesto al sanitario) dal criterio della colpa grave di cui all’articolo 2236 c.c..
Nel resto, la motivazione adottata dalla Corte distrettuale si sottrae alle censure ai sensi del novellato n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., in quanto essa si sviluppa, peraltro ampiamente, in modo del tutto intelligibile su tutti i profili fattuali di cui il ricorrente lamenta l’omesso esame (segnatamente, rilievo della complicanza e condotta tenuta ed esigibile dal chirurgo).
3. – Con il quinto mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 1218 c.c., articoli 13 e 32 Cost. e del “principio di non contestazione”.
Nella specie il dovere di informazione doveva ritenersi violato, anzitutto, sotto il profilo del diritto del paziente, ex articoli 2 e 32 Cost., di “formulare un consenso informato all’intervento” pienamente consapevole, non essendo indicata tra i rischi dell’intervento cui si era sottoposto esso (OMISSIS) la “frattura orbitaria con ematoma all’occhio”, da cui il conseguente deficit di motilita’ oculare.
Inoltre, la mancata indicazione di detta complicanza “nell’informativa sottoposta al paziente” avrebbe dovuto rilevare sotto il profilo “della prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento dannoso”, per cui solo da un intervento non corretto di uncinectomia, meatomia media e settoplastica sarebbe derivata una frattura orbitaria.
Tanto premesso, la Corte territoriale avrebbe errato nel valutare il consenso prestato da esso (OMISSIS) rispetto ad un modulo da esso non sottoscritto, cio’ che neppure il (OMISSIS) aveva sostenuto in giudizio.
Inoltre, quanto al modulo di consenso sottoscritto, in esso si faceva riferimento, tra le “complicazioni serie e/o eccezionali”, solo alla “fistola bucco-nasale” nel caso – non ricorrente nella specie – di “deformazione complessa o di origine mal formativa” – e non gia’ alla “frattura orbitaria”; ne’ di quest’ultima si faceva comunque cenno nel modulo non sottoscritto.
Sicche’ il giudice di appello avrebbe violato le norme indicate in rubrica, non potendo reputarsi che il paziente, nella descritta situazione, fosse stato consapevolmente informato, la’ dove, peraltro, se edotto delle effettive complicanze, “avrebbe sicuramente concordato con il chirurgo”, in presenza di “un qualsiasi fattore che rendesse particolarmente difficile l’intervento”, con concretizzazione di “un serio aumento del rischio di lesioni gravi”, che “lo stesso chirurgo avrebbe dovuto arrestare l’intervento”.
3.1. – Il motivo non puo’ essere accolto.
La Corte di appello – non mettendo in dubbio che il consenso prestato dallo (OMISSIS) non avesse avuto ad oggetto precipuo la complicanza poi insorta nel corso dell’intervento chirurgico, bensi’ adducendo che al medesimo paziente erano state prospettate ben piu’ gravi conseguenze (anche con il modulo da esso sottoscritto) e, di qui, presumendone il consenso all’intervento anche ove fosse stato informato della complicanza meno grave – ha fatto coerente applicazione del principio, enunciato da questa Corte con la sentenza n. 2847 del 9 febbraio 2010 (e confermato con le successive sentenze n. 7237 del 30 marzo 2011 e n. 20984 del 27 novembre 2012) – per cui “in tema di responsabilita’ professionale del medico, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico puo’ essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute”.
Dunque, le proposte censure di violazione di legge non aggrediscono l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, insistendo sulla circostanza (incontestata, ma non rilevante ai fini della decisione in concreto assunta) della mancata puntuale informazione circa la complicanza poi realmente insorta (frattura orbitaria e sue conseguenze pregiudizievoli), tralasciando di censurare, in modo adeguato e concludente l’inferenza che il giudice del merito ha tratto dalla situazione di fatto accertata (meramente limitandosi, invece, ad addurre come plausibile una contraria inferenza).
4. – Il ricorso, quindi, deve essere rigettato.
Posto che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di cui e’ stato beneficiario il ricorrente non impedisce la condanna ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1 (cfr., tra le altre, Cass., 19 giugno 2012, n. 10053), lo stesso (OMISSIS) va, dunque, condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, come liquidate in dispositivo, nei soli confronti della parte controricorrente, essendo risultata inammissibile e priva di valida procura alle liti (come innanzi rilevato) la costituzione in questa sede del (OMISSIS).
Tuttavia, il ricorrente, proprio in ragione della sua ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non e’ tenuto – nonostante la sussistenza dei relativi presupposti – al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater (cfr., Cass., 2 settembre 2014, n. 18523; Cass., 17 luglio 2015, n. 15091).
P.Q.M.
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’ in favore della controricorrente Azienda Sanitaria locale AL, che liquida in complessivi euro 2.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
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