Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 14 febbraio 2014, n. 7249
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Urbino dichiarò P.T. colpevole del reato di cui all’art. 73, comma 1 bis, d.p.R. 309 del 1990, per avere detenuto a scopo di spaccio circa gr. 400 di sostanza stupefacente tipo hashish e, riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990 e le attenuanti generiche, lo condannò alla pena di mesi 5 e giorni 10 di reclusione e di € 1.400,00 di multa (p.b. anni 1 e € 3.000, ridotti a mesi 8 ed € 2.100 ex art. 62 bis, e quindi ridotti alla pena finale per il rito).
Il Procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello di Ancona propone ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990. Sostiene che l’attenuante del fatto lieve non poteva essere concessa in considerazione del dato ponderale della sostanza in contestazione.
Motivi della decisione
Nella sentenza impugnata non è dato ravvisare alcuna violazione di legge in quanto il giudice del merito ha fatto corretta applicazione della norma di cui all’art. 73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990 e della giurisprudenza di questa Corte in proposito, secondo la quale il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi indicati dalla noma sia quelli concernenti l’azione, sia quelli attinenti all’oggetto materiale.
Nella specie il giudice ha appunto effettuato compiutamente questa valutazione e di essa ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione, avendo invero ritenuto che l’attenuante dovesse essere concessa in considerazione della scarsa potenzialità stupefacente (presenza del Delta 9 THC mediamente solo al 2,3%) accertata del perito d’ufficio e dovuta essenzialmente alle inidonee modalità di conservazione ed al lungo tempo di conservazione; della conseguente efficacia scarsamente drogante rispetto alle altre analoghe sostanze reperibili sul mercato il che, unitamente alle inesperte modalità di conservazione, dimostrava una scarsa potenzialità offensiva del delitto; del fatto che la condanna riguardava un solo tipo di sostanza; del comportamento collaborativo tenuto dall’imputato nell’immediatezza del fatto.
A fronte di queste puntuali e specifiche considerazioni, riferite al caso concreto in esame, il ricorso si limita a riportare alcune massime in astratto, che riguardano differenti fattispecie concrete, ed i cui principi di diritto sono stati comunque seguiti dal giudice a quo. Il ricorso, quindi, sotto la denuncia di una violazione di legge, in realtà tende ad una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del PG.
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