Nella confisca rientrano anche le somme dovute all’Erario, nel caso quest’ultime non vengano effettivamente versate. I beni non confiscati, pertanto, potranno far parte dell’attivo fallimentare applicandosi quanto disposto dall’articolo 2740 del cc
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 7 ottobre 2016, n. 42469
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
c/
(OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 26/03/2015 del TRIB. LIBERTA’ di MANTOVA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere CHIARA GRAZIOSI;
lette le conclusioni del PG rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 26 marzo 2015 il Tribunale di Mantova ha rigettato l’appello presentato dal curatore dei fallimenti di (OMISSIS) S.r.l. e di (OMISSIS) S.r.l. avverso ordinanza del gip dello stesso Tribunale emessa il 5 marzo 2015, che aveva rigettato la richiesta di revoca di sequestro preventivo per equivalente finalizzato a confisca del profitto dei reati di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 2 e 8, disposto dal gip il 16 maggio 2013 e avente ad oggetto la titolarita’ delle quote (OMISSIS) e del relativo patrimonio immobiliare nonche’ il 90% delle quote di (OMISSIS), in quanto beni in disponibilita’ dell’indagato (OMISSIS). Il curatore aveva chiesto la revoca per effettuare la vendita dei beni e la conseguente liquidazione a favore della massa dei creditori; ma il Tribunale ha negato che nel caso di reati tributari il fallimento incida sul sequestro per equivalente finalizzato a confisca.
2. Ha presentato ricorso il curatore del fallimento di (OMISSIS) S.r.l., sulla base di tre motivi.
2.1 Il primo motivo denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione degli articolo 321 c.p.p., comma 2, articolo 322 ter c.p., e L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143.
Si afferma che la disciplina di cui all’articolo 322 ter c.p., richiamata per i reati tributari dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, “offre ai terzi una tutela maggiore, o, quanto meno, piu’ evidente” di quella garantita in materia di responsabilita’ amministrativa degli enti Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 19, perche’ questa tutela i terzi in buona fede, mentre l’articolo 322 ter c.p., concerne i beni di cui “il reo ha la disponibilita’”. Avrebbe dunque errato il Tribunale rilevando che la disciplina di cui all’articolo 322 ter c.p., “difetta di esplicite norme che facciano salvi i diritti dei terzi”, essendo invece questi “ontologicamente” salvi perche’ la norma “esclude in radice che possano essere colpiti beni che non siano nella “disponibilita’” del reo”. E se i beni sono compresi nella massa attiva fallimentare, non sono nella disponibilita’ del reo, perche’, anche se non si qualifica il fallimento come “terzo”, comunque “i beni appresi dalla Procedura non possono considerarsi nella “disponibilita’” del reo”, come si desume pure dalla L. Fall., articolo 42 (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267) per cui “la sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell’amministrazione e della disponibilita’ dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento”. Il che “conferma la legittimazione attiva del Fallimento rispetto alla richiesta di revoca del sequestro e alla proposizione della presente impugnativa”, perche’ nell’articolo 322 ter c.p., quel che ha “rilevanza centrale” e’ la disponibilita’ del bene.
Quanto appena osservato sarebbe “assorbente”; ma comunque viene criticata altresi’ l’affermazione del Tribunale sull’insensibilita’ della confisca alle ragioni fallimentari come fondata sulla “finalita’ di compensazione della pretesa tributaria dello Stato”, dal momento che la confisca ha una funzione sanzionatoria e non compensativa rispetto alla pretesa tributaria; e parimenti si critica l’ulteriore argomentazione del giudice di merito sulla possibilita’ dei creditori di tutelarsi autonomamente in sede civile e penale “con l’azione diretta di risarcimento del danno o la costituzione di parte civile”, giacche’ ogni azione diventa inutile una volta che i beni siano confiscati, e d’altronde, in una situazione di insolvenza, le ragioni dei creditori, compreso lo Stato, devono essere soddisfatte in sede concorsuale secondo la par condicio creditorum.
2.2 Il secondo motivo denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione della L. Fall., articolo 42, perche’ i beni sequestrati sarebbero stati trattati come se fossero nella disponibilita’ del reo, nonostante il dettato di tale norma.
2.3 Il terzo motivo denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione dell’articolo 2741 c.c., articolo 189 c.p., articolo 316 c.p.p., perche’ il Tribunale, ritenendo insensibile al fallimento la confisca per equivalente, avrebbe violato la disciplina riguardante i privilegi.
Vengono appunto invocati gli articolo 2741 c.c. – per cui i creditori hanno uguale diritto a essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione – articolo 189 c.p., e articolo 316 c.p.p. – che ai crediti relativi alle pene pecuniarie (“alle quali deve essere assimilata la confisca per equivalente, attesa la sua natura sanzionatoria” secondo il ricorrente) riconoscono privilegio solo rispetto a ogni altro credito non privilegiato anteriore e ai crediti posteriori, salvi i privilegi stabiliti a garanzia del pagamento dei tributi. L’applicabilita’ della disciplina suddetta sarebbe confermata dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 27, comma 2, che ai crediti dello Stato derivanti dagli illeciti amministrativi dell’ente relativi ai reati contemplati in detto decreto attribuisce privilegio come disposto dal codice di rito per i crediti dipendenti da reato, a tal fine equiparando la sanzione pecuniaria alla pena pecuniaria. E dunque non potrebbero non salvaguardarsi in sede fallimentare i diritti dei terzi di buona fede, solo dopo i quali potra’ lo Stato far valere il proprio diritto insinuato nel fallimento. Tutto cio’ sarebbe stato violato nell’ordinanza impugnata.
2.4 Comunque, secondo il ricorrente, nel caso in cui si condivida la posizione del Tribunale, emergerebbe l’incostituzionalita’ dell’articolo 322 ter c.p., per contrasto sia con il principio di personalita’ della responsabilita’ penale di cui all’articolo 27 Cost., comma 1, sia con il principio di uguaglianza ex articolo 3 Cost., comma 1, rispetto alla confisca prevista dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19.
Sotto il primo profilo, sussisterebbe mancanza di tutela rispetto agli effetti della confisca per equivalente – che costituisce una vera e propria pena – per soggetti estranei al reato, come i creditori del fallito, onde verrebbe a configurarsi “un’ipotesi di responsabilita’ per fatto altrui”.
Sotto il secondo, poiche’ la confisca per equivalente ex articolo 322 ter c.p., ha natura di pena come la confisca Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 19: e dal momento che quest’ultima tutela gli interessi sottesi alla procedura fallimentare come riconosciuto anche dalla giurisprudenza di legittimita’, qualora si ritenga che la disciplina ex articolo 322 ter c.p., non fornisca un’analoga tutela emergerebbe “una irragionevole differenza di disciplina”. Cio’ sarebbe altresi’ confermato dalla disciplina in materia di confisca quale misura di prevenzione contenuta nel Codice delle leggi antimafia (Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159), richiamata pure a proposito della confisca Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, ex articolo 12 sexies, comma 4 bis, perche’ “anche in tale ipotesi, in cui la confisca colpisce beni che sembrano avere un legame, quanto meno in via presuntiva, con reati di rilevante gravita’, e’ comunque contemplata una procedura (di carattere concorsuale) per offrire forme di tutela gli interessi dei terzi, ed in particolare dei creditori”. D’altronde la confisca qui in esame ha natura puramente sanzionatoria, mancando “qualsiasi collegamento tra l’oggetto della confisca e il reato”: e quindi sarebbe del tutto irragionevole l’impossibilita’ di tutelare nell’ambito della procedura fallimentare gli interessi dei creditori aventi diritto a essere soddisfatti in forma concorsuale sui beni assoggettabili a confisca, “creditori che possono essere assistiti da privilegi superiori a quello riconosciuto allo Stato”.
Il Procuratore Generale ha concluso per la infondatezza del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ infondato.
3.1.1 I primi due motivi possono essere vagliati congiuntamente, perche’ il secondo, come ne dimostra anche la brevissima esposizione, si limita a ribadire la pretesa incidenza, nel caso in esame, della L. Fall., articolo 42, per le stesse ragioni gia’ prospettate nel motivo precedente.
Viene presentata, allora, in quella che e’ effettivamente l’unica doglianza supportata, cioe’ il primo motivo, una pluralita’ di argomentazioni.
In primis si afferma che la disciplina di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, sarebbe “dotata di valenza generale”, e si richiama pertanto quanto osservato da S.U. 25 settembre 2014 n. 11170, Uniland s.p.a., in ordine allo “stretto rapporto di connessione funzionale tra il sequestro preventivo e la confisca” onde “il sequestro ha lo stesso vincolo di obbligatorieta’ della confisca”, per dedurne, in sostanza, che non puo’ essere effettuato il sequestro laddove non sara’ disponibile la confisca. E dunque il Tribunale avrebbe errato nell’affermare che dalla sua natura di vera e propria pena discende l’inderogabilita’ dell’applicazione della confisca per equivalente “una volta che ne ricorra l’unico presupposto della confiscabilita’”. Questo argomento verra’ logicamente assorbito da quanto si rilevera’ infra.
Si adduce poi che la disciplina di cui all’articolo 322 ter c.p., estesa ai reati tributari dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, offrirebbe “ai terzi una tutela maggiore o, quanto meno, piu’ evidente”, di quella offerta, in materia di responsabilita’ amministrativa degli enti, dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19, che si limita al primo comma a salvare, se nella sentenza di condanna viene disposta la confisca del prezzo o del profitto del reato, “i diritti acquisiti dai terzi di buona fede” sui beni che costituiscono il prezzo o il profitto “diretti” del reato, tutela da intendersi garantita anche nell’ipotesi del secondo comma che regola la confisca di somme di denaro, beni o altre utilita’ di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato quando non sia possibile operare la confisca diretta del comma precedente – sull’estensione di tale garanzia, pur non espressamente prevista nella lettera della norma, viene ancora citata S.U. 25 settembre 2014 n.11170 -.
Invece l’articolo 322 ter c.p., non fa riferimento ai “terzi di buona fede”: cio’ non significherebbe escludere, come avrebbe ritenuto l’ordinanza impugnata, “qualsiasi tutela agli interessi dei terzi”, bensi’ verrebbe a correlarsi con una “diversa formulazione della previsione normativa, in base alla quale la confisca ha ad oggetto non qualsivoglia bene di valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato”, ma soltanto i beni di cui “il reo ha la disponibilita’”. Pertanto avrebbe errato il Tribunale affermando che la confisca di cui all’articolo 322 ter c.p., “difetta di esplicite norme che facciano salvi i diritti dei terzi”: al contrario, la confisca in questione farebbe “ontologicamente” salvi i diritti dei terzi, perche’ esclude che possano essere colpiti beni che non siano nella disponibilita’ del reo. E non sono nella disponibilita’ del reo, secondo il ricorrente, i beni ricompresi nella massa attiva fallimentare.
Non puo’ non rilevarsi subito che tale prospettazione non trova riscontro nella concreta vicenda processuale. Come espone lo stesso ricorrente, infatti, il sequestro preventivo fu disposto dal gip con decreto del 16 maggio 2013; lo eseguiva il PM con provvedimento del 16 maggio 2013, nominando un amministratore giudiziale, che successivamente dava notizia della situazione di insolvenza di (OMISSIS) s.r.l. alla Procura della Repubblica: “a seguito d’istanza di quest’ultima, il Tribunale di Mantova dichiarava il fallimento della societa’” (ricorso, pagina 2). E non a caso il fallimento ora ricorrente, lungi dal proporre una richiesta di riesame, propose con atto del 1 dicembre 2014 una richiesta di revoca del sequestro preventivo.
E’ quindi evidente che quando i beni furono assoggettati al vincolo della cautela reale penale non vi era alcuna ragione, ne’ di diritto ne’ di fatto, per ritenere che non fossero nella disponibilita’ dell’indagato (OMISSIS) o comunque nella disponibilita’ di (OMISSIS) s.r.l. quale persona giuridica distinta dalla persona fisica dell’indagato: di certo, invece, non potevano essere inclusi nell’attivo di un fallimento ancora non dichiarato, ovvero inesistente. Non e’ d’altronde sostenibile che la dichiarazione del fallimento si ripercuota sulle cautele reali penali sradicandone automaticamente il vincolo: di un simile effetto omniprevalente ed estintivo non vi e’ traccia nella normativa.
3.1.2 Peraltro, un ulteriore aspetto prioritario emerge proprio dalla recente sentenza Uniland, piu’ volte invocata dal ricorrente, dove – dato atto che l’assoggettamento di un bene a un vincolo non inibisce un successivo assoggettamento dello stesso bene ad un vincolo ulteriore e diverso (il che, appunto, non significa che il vincolo recenziore estingua gli effetti del precedente) – si e’ affrontata una questione parzialmente analoga: la sussunzione dei beni di una societa’ fallita in una massa attiva fallimentare quando su di essi gia’ gravava il vincolo di un sequestro, anche per equivalente, e in quel caso disposto ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 19 e 53. Da cio’ la suddetta pronuncia ha individuato il quesito da sciogliere, ovvero quello del rapporto tra i due vincoli “e di quale dei due dovesse prevalere sul presupposto, implicito e non dimostrato, che non fosse consentito apporre due vincoli diversi sugli stessi beni” (nel caso qui in esame, invece, la prospettazione, come si e’ visto, non coincide: si e’ addotta l’impossibilita’ di apporre il vincolo penale non perche’ avente ad oggetto gli stessi beni assoggettati al vincolo fallimentare, bensi’ perche’ il vincolo penale non avrebbe potuto essere posto sui beni in quanto non rientranti questi nella disponibilita’ dell’indagato), seguendo quindi un percorso sostanziale – di cui e’ opportuna qui una sintesi – che, in effetti, ha condotto al necessario inquadramento processuale.
Conservativamente, invero, dalla doglianza del ricorrente, nonostante quanto rilevato sulla posteriorita’ del fallimento, potrebbe trarsi il quesito se sia comunque assoggettabile al vincolo fallimentare il bene gia’ assoggettato al vincolo penale e, se si opta per una risposta positiva, quale possa esserne la conseguenza. In particolare, in quest’ultimo caso, il vincolo fallimentare giustificherebbe la revoca del sequestro penale finalizzato alla confisca per la necessita’ di tutelare gli interessi pubblicistici sottesi alla procedura concorsuale, che altrimenti non potrebbe, in concreto, realizzare la sua funzione, rimanendo paralizzata dalla cautela penale- Oppure la obbligatorieta’ sanzionatoria della confisca cui il sequestro e’ teleologicamente orientato sarebbe comunque sufficiente a stroncare il rilievo di qualunque altro interesse pubblico concorsuale, riducendolo a un mero schermo di interessi unicamente privati e pertanto inidonei a rapportarsi con una pena-
3.1.3 Come gia’ osservato, l’apposizione di un vincolo non preclude l’apposizione di un altro: cio’ e’ stato espressamente riconosciuto proprio dalla sentenza Uniland, che ha rilevato come non vi e’ norma “che vieti l’apposizione di piu’ vincoli sugli stessi beni e la logica del sistema, al contrario, consente e prevede l’apposizione di piu’ vincoli”.
A fronte del dilemma se il giudice penale possa allora limitarsi ad accertare la confiscabilita’ (e quindi, a monte, la sequestrabilita’) dei cespiti, senza prendere in considerazione le esigenze tutelate dalla procedura concorsuale, o abbia invece il potere dovere di procedere ad una valutazione comparativa tra le ragioni di questa – incluse quelle dei creditori in buona fede – e le ragioni sottese alla normativa sanzionatoria penale dello Stato, la sentenza Uniland fin dal principio riconosce che interferiscono con tale tematica i problemi “della legittimazione e dell’interesse concreto del curatore fallimentare a proporre impugnazione contro il provvedimento di sequestro”, in questo caso Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 19: problemi che “sono da risolvere precisando quale sia il rapporto, alla luce della legislazione vigente in materia, tra la procedura fallimentare ed i provvedimenti di sequestro e confisca” ai sensi del suddetto articolo 19. Al riguardo il giudice nomofilattico richiama la nota SU 24 maggio 2004 n. 29951, Focarelli, che pure aveva trattato la tematica della “convivenza” tra una cautela reale penale finalizzata alla confisca e una procedura fallimentare, in quanto, dinanzi al caso di un sequestro preventivo finalizzato a confisca facoltativa ex articolo 240 c.p., comma 1, sul profitto di delitti tributari e truffe ai danni dello Stato, dovette risolvere l’interrogativo se fosse “consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni provento di attivita’ illecita dell’indagato e di pertinenza di impresa dichiarata fallita”. La soluzione del 2004 giunse a escludere – dando peraltro per mancante una previsione legislativa – la radicale insensibilita’ del sequestro alla procedura concorsuale, affidando invece (come usualmente avviene nei casi in cui la normativa si appalesa inesistente o insufficiente) al potere discrezionale del giudice la conciliazione dei contrapposti interessi, identificando quelli penali nell’impedire che i proventi di illecito potessero giovare all’indagato, e quelli tipici della procedura fallimentare nella tutela dei legittimi interessi dei creditori. E la conclusione fu nel senso che il sequestro penale non sarebbe stato precluso a condizione che il giudice desse motivatamente conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca su quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori, conferendosi cosi’ al giudice penale, in effetti, il potere di attribuire un predominio all’esigenza penale – che al tempo stesso si negava fosse stato normativamente stabilito: di qui l’evidente fragilita’ logica della soluzione – in corrispettivo dell’adempimento di un obbligo motivazionale.
A fondamento della sua soluzione la sentenza Focarelli aveva posto alcuni elementi che la sentenza Uniland ha definito “condivisibili”, sul “rilievo pubblicistico degli interessi perseguiti dalla procedura concorsuale, come e’ lecito desumere anche dalla Relazione ministeriale alla legge fallimentare, e sul ruolo del curatore fallimentare, quale emerge dalle fonti del suo potere, dalle finalita’ istituzionalmente collegate al suo agire e dai controlli che presidiano la sua attivita’ gestoria, che non deve essere considerato, quindi, come un soggetto privato che agisca in rappresentanza o sostituzione del fallito e/o dei creditori, ma piuttosto come organo che svolge una funzione pubblica nell’ambito della amministrazione della giustizia, incardinato nell’ufficio fallimentare a fianco del tribunale e del giudice delegato”. La sentenza Uniland nota altresi’ che la sentenza Focarelli “rilevava che non e’ possibile, in linea astratta, escludere che lo spossessamento determinato dalla procedura concorsuale assorba la funzione del sequestro preventivo penale, che e’ quella di evitare che il reo resti in possesso delle cose che sono servite a commettere il reato o che ne sono il prodotto o il profitto, contemperandola con la garanzia dei creditori sul patrimonio dell’imprenditore fallito”. Questo profilo, secondo il giudice nomofilattico del 2014, non puo’ essere “indifferente” per l’ordinamento penale (come gia’ era stato evidenziato anche da arresti anteriori alla sentenza Focarelli) quando la presunzione di pericolosita’ non investa la cosa illecita in se’ ma sia connessa “alla relazione che la lega al soggetto che ha commesso il reato” – e nel caso in esame non si tratta di beni di per se’ penalmente pericolosi.
Diversa, e piu’ lineare, e’ l’indicazione che la sentenza Focarelli forniva per il caso di confisca obbligatoria: caso in cui non ravvisava alcun margine di discrezionalita’ del giudice nel far soggiacere l’istituto civile a quello penale, rimarcando che qui le finalita’ del fallimento non possono assorbire la funzione assolta dal sequestro, prevalendo la esigenza preventiva di inibire l’utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente pericoloso in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato, per cui “le ragioni di tutela dei terzi creditori sono destinate ad essere pretermesse rispetto alla prevalente esigenza di tutela della collettivita’”. Non si puo’ non rilevare che questo insegnamento nomofilattico ha come presupposto, appunto, la natura oggettivamente pericolosa dei beni: e tale natura non e’ certo attribuibile ai beni idonei a comporre un attivo fallimentare.
3.1.4 La soluzione Focarelli viene dalla sentenza Uniland rettificata “per risolvere i problemi derivanti dal rapporto tra il sequestro/confisca” ex articolo 19 e la procedura fallimentare, perche’ “fondava le sue conclusioni sul presupposto, non condivisibile, della mancanza di disposizioni legislative in materia e sulla necessita’, comunque, di contemperare le differenti e, per molti aspetti ritenute contrastanti, esigenze della tutela penale e dei legittimi diritti dei creditori”. La disciplina per la tipologia di sequestro che era in esame, ha osservato la sentenza Uniland, sussiste ed e’ identificabile nel Decreto Legislativo n. 231 del 2001, attribuente, nell’articolo 9, comma 1, lettera c), alla confisca del primo comma e alla confisca di valore dell’articolo 19, comma 2, l’espressa e autonoma natura di “vere e proprie sanzioni principali ed obbligatorie”, facendo poi derivare dallo stretto rapporto di connessione funzionale per il sequestro lo stesso regime di obbligatorieta’ della confisca. In tale normativa si rinviene, parimenti in modo espresso, pure la tutela dei diritti del danneggiato e dei diritti acquisiti dai terzi di buona fede sui beni de quibus, per cui – chiaramente si spegne ogni profilo di discrezionalita’ – il giudice penale dovra’, nel disporre il sequestro o la confisca, valutare se eventuali diritti vantati da terzi su quei beni siano stati o no acquisiti in buona fede. Ed e’ a questo punto che la sentenza Uniland affronta la peculiare fattispecie in cui i diritti dei terzi sono attratti e coagulati in una procedura concorsuale, ipotizzando che durante il procedimento teso ad accertare la responsabilita’ amministrativa dell’ente ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, lo stesso ente venga dichiarato fallito o ammesso ad altra procedura concorsuale.
Tra le considerazioni, allora, che le Sezioni Unite svolgono sul rapporto tra la natura dei due vincoli, rileva ed e’ completamente applicabile alla fattispecie qui in esame quella per cui il fallimento non estingue la societa’ fallita – id est non sostituisce un soggetto (il curatore o i creditori che sono ammessi al passivo) ad un altro soggetto nella titolarita’ dei diritti -: “una societa’ in stato di dissesto, per la quale si apra la procedura fallimentare, non puo’ dirsi estinta, tanto e’ vero che il curatore ha esclusivamente poteri di gestione del patrimonio al fine di evitare il depauperamento dello stesso e garantire la par condicio creditorum mentre la proprieta’ del patrimonio compete ancora alla societa’”. Viene dunque a verificarsi non una espropriazione immediata e definitiva dei beni, bensi’ uno spossessamento in ordine a finalita’ conservative e gestionali (una sorta di fusione delle ordinarie cautele civili di cui agli articoli 670 e 671 c.p.c.): peraltro il vincolo apposto sui beni del fallito a seguito dell’apertura di una procedura concorsuale ha “una indubbia rilevanza pubblica”, come si desume anche dalla relazione ministeriale alla legge fallimentare, “perche’ mira a spossessare il fallito o la societa’ fallita dei beni che costituiscono la garanzia patrimoniale del ceto creditorio, ad evitare ulteriori depauperamenti del patrimonio stesso, a garantire la par condicio creditorum” – queste sono “finalita’ di indubbio rilievo pubblicistico che meritano considerazione e tutela” -; e il curatore, come evidenziato oltre che dalla sentenza Focarelli pure dalla giurisprudenza civile, “non puo’ essere considerato come un soggetto privato che agisca in rappresentanza o sostituzione del fallito e/o dei singoli creditori o del comitato dei creditori, ma deve essere visto come organo che svolge una funzione pubblica ed affianca il tribunale ed il giudice delegato per il perseguimento degli interessi” suddetti. Il curatore quindi “individuera’ tutti i beni che debbono formare la massa attiva del fallimento, arricchendola degli eventuali esiti favorevoli di azioni revocatorie, e soltanto alla fine della procedura si potra’, previa vendita dei beni ed autorizzazione da parte del giudice delegato del piano di riparto, procedere alla assegnazione dei beni ai creditori. E’ soltanto in questo momento che i creditori potranno essere ritenuti titolari di un diritto sui beni che potranno far valere nelle sedi adeguate”, e dunque potranno fare valere i loro diritti di terzo: e il terzo di buona fede e’ identificato dalla sentenza Uniland nella “persona estranea al reato, ovvero la persona che non solo non abbia partecipato alla commissione del reato, ma che da esso non abbia ricavato vantaggi e utilita’”.
3.1.5 L’incidenza conformante della posizione sostanziale sul piano processuale a questo punto risalta, affermando le Sezioni Unite che, in relazione alla fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, il curatore fallimentare non ha legittimazione ad agire perche’ il creditore – che egli rappresenta – non ha ancora ottenuto l’assegnazione del bene a conclusione della procedura concorsuale, onde non e’ considerabile “terzo titolare di un diritto acquisito in buona fede” perche’ prima di tale assegnazione vanta una semplice pretesa, ma non certo la titolarita’ di un diritto reale su un bene. E quindi “il curatore fallimentare, che e’ certamente terzo rispetto al procedimento di sequestro/confisca dei beni gia’ appartenuti alla fallita societa’, non puo’ agire in rappresentanza dei creditori, come, invece, parte della giurisprudenza ha frettolosamente stabilito” (viene richiamata Cass. sez. 5, 9 ottobre 2013 n. 48804), “per opporsi al sequestro ed alla confisca” essendo, come evidenziato piu’ volte dalla giurisprudenza e anche dalla sentenza Focarelli, “un soggetto gravato da un munus pubblico, di carattere prevalentemente gestionale, che affianca il giudice delegato al fallimento ed il tribunale per consentire il perseguimento degli obiettivi, gia’ indicati, propri della procedura fallimentare”: vale a dire “il curatore non e’ titolare di alcun diritto sui beni, avendo esclusivamente compiti gestionali e mirati al soddisfacimento dei creditori”; e “non puo’ agire in rappresentanza dei creditori, che a loro volta, prima della conclusione della procedura, non sono titolari di alcun diritto sui beni e sono, quindi, privi di qualsiasi diritto restitutorio sui beni sottoposti a sequestro”. D’altronde il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 53, comma 1, “rimanda agli articoli del codice di procedura. penale sui mezzi di impugnazione contro i sequestri e, quindi, ai soggetti legittimati, tra i quali, per le ragioni dette, non puo’ comprendersi il curatore fallimentare”, che “non puo’ vantare alcun diritto sui beni, anche perche’ il fallimento priva il fallito dell’amministrazione e della disponibilita’ dei beni esistenti alla data della dichiarazione di fallimento, trasferendo l’una e l’altra alla curatela, ma non della proprieta’ sugli stessi”.
Il primo principio di diritto che quindi fornisce la sentenza Uniland e’ proprio nel senso che il curatore fallimentare non e’ legittimato a impugnare il provvedimento di sequestro Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 19, perche’ non e’ titolare di diritto alcuno sui beni, tanto in proprio quanto come rappresentante di terzi, cioe’ dei creditori del fallito. Peraltro, come si e’ appena visto, i presupposti del suddetto principio non sono condizionati dalla tipologia del sequestro e della confisca cui e’ finalizzato, bensi’ da cio’ che le Sezioni Unite hanno riscontrato nel versante civile della tematica: ovvero, appunto, che il curatore non ha diritto sui beni che sono oggetto della cautela, ne’ ha diritto su di essi, finche’ non si e’ conclusa la procedura fallimentare, neppure il ceto creditorio che egli quindi non ha titolo per rappresentare in ordine a una cautela reale penale che legittima il terzo all’impugnazione, non essendo titolare di un diritto restitutorio.
Questa barriera alla legittimazione processuale, che districa a monte l’eventuale conflitto tra gli interessi salvaguardati a mezzo della sanzione penale della confisca e della cautela a essa prodromica da un lato e gli interessi inclusi nella procedura fallimentare dall’altro, non puo’ non valere, pertanto, anche per fattispecie penali diverse, come quella in esame, poiche’ trae – si ripete – fondamento dall’identico aspetto civile della problematica.
3.1.6 E’ ragionevole presumere che proprio per consapevolezza di quanto affermato – rectius, limitato – dalla sentenza Uniland in ordine alla legittimazione processuale del curatore fallimentare ad impugnare la cautela reale, il ricorrente, come piu’ sopra si e’ visto, abbia addotto che la tutela nel caso in esame e’ piu’ ampia di quella concessa in relazione alla responsabilita’ amministrativa degli enti per i reati di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, dal momento che mentre il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19, tutela, tanto nel primo quanto nel secondo comma, i diritti dei terzi di buona fede, la disciplina di cui all’articolo 322 ter c.p., estesa ai reati tributari dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, non fa riferimento ai “terzi di buona fede” titolari di veri e propri diritti, bensi’ prevede la confisca – e la prodromica cautela – dei beni di cui “il reo ha la disponibilita’”. E se dunque, al di la’ della titolarita’ della proprieta’ dei beni cui l’esclusione della legittimazione processuale dichiarata dalla sentenza Uniland si rapporta, sussiste in questo caso la diversa fattispecie della disponibilita’ dei beni, la disponibilita’ sarebbe da attribuirsi proprio alla procedura fallimentare a seguito dello spossessamento dei beni stessi dal proprietario. Infatti, nella parte finale del primo motivo, il ricorrente insiste nel senso che “i beni appresi dalla Procedura non possono considerarsi nella “disponibilita’” del reo, come deriva dalla L. Fall., articolo 42″: il che “conferma la legittimazione attiva del Fallimento rispetto alla richiesta di revoca del sequestro e alla proposizione della presente impugnativa” perche’ “cio’ che assume rilevanza centrale” nell’articolo 322 ter c.p., “e’ la disponibilita’ del bene”; e questa conclusione si impone anche nel caso in cui si aderisca all’impostazione della sentenza Uniland che “esclude la possibilita’ di qualificare come terzo il Fallimento” (ricorso, pagine 9-10).
Anzitutto, non puo’ non rilevarsi che l’impossibilita’ di qualificare terzo il fallimento osta comunque, perche’ non si impernia su un diniego di estraneita’ al reato, bensi’, ancora a priori, nega, in sostanza, una soggettivita’ giuridica al fallimento stesso nell’ambito delle cautele reali penali, soggettivita’ che e’ presupposto imprescindibile della legittimazione ad agire nell’ambito della relativa procedura ai sensi degli articoli 322, 322 bis e 325 c.p.p..
Ma anche qualora si superasse questo scoglio, attribuendo al fallimento quella soggettivita’ giuridica che gli e’ riconosciuta usualmente e ovviamente ai fini dell’esercizio di azioni tutelanti diritti nel settore civile, la valutazione per accertare la legittimazione all’impugnazione del sequestro si sposta sul titolo, e sul correlato interesse, che concretamente il soggetto sia in grado di far valere. E, come gia’ piu’ sopra si e’ rilevato, la disponibilita’ dei beni, che secondo la prospettazione del ricorrente e’ quel che gli conferisce la legittimazione (e che trova a ben guardare riscontro negli articoli 322, 322 bis e 325 c.p.p., laddove legittimano a impugnare infatti distinguendole – non solo la persona “che avrebbe diritto alla loro restituzione” ma anche la “persona alla quale le cose sono state sequestrate”: cio’, si nota per inciso, poteva costituire una falla nella ricostruzione della sentenza Uniland – poiche’, come la stessa evidenzia, l’articolo 53, primo comma, d.lgs. 231/2001 “rimanda agli articoli del codice di procedura penale sui mezzi di impugnazione contro i sequestri e, quindi, ai soggetti legittimati” – tamponata proprio con la deprivazione di soggettivita’ al fallimento), nel caso di specie in effetti non sussiste. Come sopra si e’ gia’ evidenziato, anzitutto, se la disponibilita’ sussistesse in capo al fallimento, il fallimento non avrebbe interesse ad agire. Ne’, d’altronde, la disponibilita’ e’ scindibile in un aspetto formale – rappresentato dalla titolarita’ di un diritto sul bene – e in un aspetto fattuale rappresentato da un effettivo potere sul bene – nel senso di poter sostenere che il fallimento ha ricevuto in termini formali la disponibilita’ in forza della L. Fall., articolo 42, quando e’ stato dichiarato, e con cio’ ha acquisito la legittimazione per agire ai fini di ottenere il potere di fatto che concretizza la disponibilita’. Il concetto di disponibilita’, nel settore delle cautele reali, ha un contenuto esclusivamente fattuale, corrispondendo in sostanza all’istituto civile del possesso.
Pertanto, pur se chi ha la disponibilita’ puo’ avere sullo stesso bene anche un diritto reale – nei casi in cui non si sia aperta alcuna discrasia tra forma e fatto -, il diritto comunque non e’ il presupposto automatico della disponibilita’, che in sede penale costituisce proprio lo strumento per contrastare la titolarita’ di diritti “vuoti” su beni che in realta’ sono esclusivamente a disposizione di soggetti diversi da chi ne e’ il proprietario o comunque e’ il titolare di un diritto su di essi. La disponibilita’ nel settore delle cautele reali penali esige quindi l’effettivita’, ovvero un reale potere di fatto sul bene che ne e’ l’oggetto (ex plurimis, v. p. es., tra gli arresti piu’ recenti, Cass. sez. 3, 19 gennaio 2016 n. 4097 – che definisce disponibili, ai fini del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, anche i beni su cui l’imputato esercita, anche tramite terzi, un potere informale diretto ed oggettivo -, Cass. sez. 3, 12 maggio 2015 n. 36530 – che rimarca come possa essere disposto sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente su beni formalmente intestati a persona estranea al reato qualora il PM dimostri che e’ l’indagato ad averne la effettiva disponibilita’ -, Cass. sez. 2, 17 aprile 2015 n. 32647 che ancora indica la disponibilita’ effettiva di beni formalmente appartenenti a terzi estranei al reato quale presupposto del sequestro preventivo – e Cass. sez. 3, 24 marzo 2015 n. 14605 che evidenzia l’onere del PM a dimostrare in modo adeguato, ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, le “situazioni da cui desumere concretamente l’esistenza di una discrasia tra intestazione formale e disponibilita’ effettiva del cespite” -).
Si deve pertanto confermare quanto piu’ sopra si era gia’ anticipato, nel senso che la dichiarazione del fallimento non e’ sufficiente per conferire al fallimento stesso della disponibilita’ dei beni del fallito, i quali, nel caso in cui ne sia stato anteriormente disposto il sequestro, non sono piu’, logicamente, disponibili neppure ai fini degli interessi fallimentari, il vincolo penale assorbendo ogni potere fattuale su di essi ed escludendo cosi’ ogni disponibilita’ diversa rispetto alla concretizzazione della prevenzione cautelare finalizzata alla confisca. Ritenere – come ha ritenuto la sentenza Uniland – che sugli stessi beni possano coesistere diversi vincoli, regolandone poi il rapporto (in similitudine a un sistema di privilegi o di garanzie reali) incide esclusivamente sul piano formale, ovvero a livello di diritti, ma non sul potere di fatto, nel senso che questo possa essere condiviso, perche’ cio’ svuoterebbe l’essenza cautelare del primo vincolo. Il fallimento, dunque, non acquisisce la disponibilita’ dei beni gia’ sottoposti a sequestro preventivo penale finalizzato a confisca, onde non puo’ a tale potere fattuale “aggrapparsi” per conseguire una legittimazione ad impugnare il vincolo penale. Sul piano, invece, dei diritti vale indubbiamente, per quanto sopra si e’ osservato, quel che ha constatato la sentenza Uniland in ordine alle conseguenze su di esso della dichiarazione di fallimento: il diritto di proprieta’ e’ ancora del fallito, i creditori avranno un diritto restitutorio solo alla conclusione della procedura concorsuale, il curatore non ha legittimazione, pertanto, a presentare alcuna impugnazione.
Nel caso in esame, confermandosi in tal modo il difetto di legittimazione del ricorrente, il discorso finisce qui, logicamente assorbendo anche il terzo motivo, che pure non puo’ prescindere dalla legittimazione ad impugnare. Il difetto di legittimazione del curatore fallimentare in riferimento a un sequestro ex articolo 322 ter c.p., – rilevato, seppure illogicamente nella parte finale della motivazione e con eccessiva concisione, pure dal Tribunale di Mantova – blocca, invero, qualunque ulteriore considerazione a livello sostanziale sui pretesi diritti che i creditori possano avere: e cio’ assorbe anche la tematica dei privilegi posti a custodia dei diritti di credito che nel terzo motivo il ricorrente ha prospettato. Il difetto di legittimazione processuale estende le sue conseguenze, logicamente, anche alla proposizione delle eccezioni di illegittimita’ costituzionale, considerato che nessuna di queste ha per oggetto proprio tale difetto.
3.1.7 Incidentalmente, si rileva da ultimo – per trarre le fila da considerazioni che non fu possibile evitare lungo il percorso dell’analisi sistemica – che il quadro finale avrebbe potuto forse risultare diverso nel caso in cui il sequestro preventivo finalizzato a confisca avesse investita una massa attiva fallimentare – essendo gia’ stato dichiarato il fallimento ed avendo gia’ il curatore preso in suo possesso gestorio i beni del fallito – sulla base del fatto che, come sottolineato dalla sentenza Uniland, il diritto di proprieta’ dei beni rimane in capo al fallito, invertendosi cosi’ la prospettiva. Sarebbe in tal caso da valutare, invero, se la cautela penale, solo in quanto finalizzata a una confisca obbligatoria, ovvero a una sanzione, possa senza alcun ostacolo e alcun limite (e quindi sopprimendo pure ogni conseguenza della disponibilita’) far venir meno il vincolo fallimentare – gia’ pienamente concretizzatosi – ed elidere (eventualmente anche paralizzando la procedura civile se l’oggetto del vincolo penale coincide con l’intera massa attiva fallimentare o quasi) ogni tutela a tutti gli interessi che alla procedura concorsuale sono sottesi, e che – come hanno riconosciuto le Sezioni Unite sia nella sentenza Focarelli, sia nella sentenza Uniland – si ripercuotono anche sul piano pubblicistico, e quindi non sono soltanto interessi privati dei creditori. La procedura concorsuale ha indubbiamente riflessi pubblici, non attestandosi su un adeguamento all’insolvenza dell’articolo 2740 c.c., bensi’ correlandosi anche alle collettive esigenze economiche, per limitare le ripercussioni esterne della “frana” dell’impresa. La mera constatazione dell’obbligatorieta’ della sanzione penale (da ultimo Cass. sez. 3, 1 marzo 2016 n. 23907) – tenuto conto anche della normativa richiamata dal ricorrente a proposito dei limiti di privilegio della pena pecuniaria – potrebbe in effetti non essere sufficiente a giustificare, in un’apprezzabile ottica di equilibrio che correli, controbilanciandoli, i valori costituzionali, la totale “messa da parte” degli interessi tutelati dal fallimento e la paralisi di quest’ultimo provocata svuotandolo del suo attivo – o di una porzione significativa di questo – per farlo confluire tutto in una sanzione penale.
La realta’ e’ che, in ultima analisi, il legislatore ordinario penale non plasma, nella fattispecie in esame, ne’ la cautela ne’ la sanzione in riferimento alla specificita’ dei diritti di credito dei terzi quando questi possono essere fatti valere esclusivamente in sede concorsuale. Se non si valorizza allora il concetto di disponibilita’ per fronteggiare l’assoggettabilita’ al vincolo penale in forza della mera titolarita’ in capo all’indagato/imputato del diritto, per quanto gia’ svuotato nel suo contenuto di potere fattuale, la tutela strutturata nel fallimento, sia dal punto di vista pubblicistico sia dal punto di vista privatistico, a livello di legge ordinaria verrebbe nullificata qualora la massa attiva coincida totalmente o in gran parte con l’oggetto della confisca. L’affermazione di insensibilita’ al fallimento esternata dal giudice di merito nella impugnata ordinanza si mostrerebbe allora condivisibile. L’unico spiraglio indiscutibile di indiretta tutela tramite una riduzione dell’ambito della confisca obbligatoria e’ ora ravvisabile, si rileva per completezza, nel Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, – introdotto dal Decreto Legislativo n. 158 del 2015, e vigente dal 22 ottobre 2015 -, che, al primo comma, conferma che in caso di condanna odi applicazione di pena su richiesta per uno dei delitti previsti dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000 “e’ sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea del reato, ovvero, quando essa non e’ possibile, la confisca dei beni, di cui il reo ha la disponibilita’ per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”, ma al secondo comma esclude la confisca “per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, stabilendo peraltro che “nel caso di mancato versamento la confisca e’ sempre disposta”. Nel caso, ovviamente, in cui sia versato all’erario il dovuto – o in parte qua i beni non confiscati potranno, pertanto, far parte dell’attivo fallimentare, sprigionandosi di nuovo l’applicazione dell’articolo 2740 c.c., nella sua speciale forma concorsuale ed consentendosi la reviviscenza pure dei correlati interessi pubblicistici.
In conclusione, per quanto sopra rilevato a proposito del caso in esame, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
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