La nozione di “impegno”, ai fini della non operatività della confisca, contenuta nel Dlgs 158/2015 va interpretata in maniera non letterale ma restrittiva: per impegno si intendono solo gli obblighi assunti in maniera formale, tra i quali rientrano l’accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale, la transazione fiscale, e anche la rateizzazione
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 6 ottobre 2016, n. 42087
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto in data 21/12/2015 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Matera dispose, nei confronti di (OMISSIS), il sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria dei seguenti immobili: 1) abitazione sita al civico 26 di (OMISSIS) (composta da un piano seminterrato e dal piano rialzato, per complessivi otto vani piu’ accessori, dotata di annessa corte di pertinenza); 2) terreno pertinenziale dell’abitazione.
Il provvedimento ablativo fu disposto in relazione al delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, per avere, nella qualita’ di legale rappresentante della ditta (OMISSIS) S.p.A., omesso di versare, entro il 27 dicembre 2013, termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare complessivo di 876.853,00 Euro (fatti accertati in (OMISSIS)). Conseguentemente, anche il sequestro preventivo dei suddetti beni fu disposto fino alla concorrenza della somma corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa.
Nel dettaglio, dopo aver ricordato la vigente disciplina (cfr. la L. 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1, comma 143, cd. Legge finanziaria 2008 e, ora, il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis), che estende anche ai reati tributari, tra cui anche la fattispecie contestata a (OMISSIS), l’istituto della confisca obbligatoria per equivalente del prezzo o profitto del reato, il decreto genetico pose in luce che la societa’ debitrice era stata ammessa alla rateizzazione del debito tributario, con obbligo di corrispondere l’intera somma dovuta in 72 mensili; che (OMISSIS) aveva fino a quel momento provveduto al pagamento della somma di 19.623,11 Euro, atteso che, alla data del 1/07/2015, non risultavano ulteriori versamenti; che con atto pubblico del 15/4/2015 (OMISSIS) aveva donato ai figli (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in pari quota fra loro, i beni immobili riportati in epigrafe.
Secondo il giudice della cautela, infatti, tale donazione doveva ritenersi strumentale alla elusione della garanzia relativa all’adempimento dell’obbligazione tributaria, in quanto avvenuta in epoca successiva alla notifica dell’avviso bonario dell’Agenzia delle Entrate di Matera, avvenuto il 17/03/2014, sia alla notifica della cartella esattoriale di (OMISSIS) S.p.A., effettuata il 25/07/2014; e considerato, altresi’, che nella predetta abitazione (OMISSIS) continuava a mantenere la propria residenza, mentre i figli donatari erano risultati risiedere altrove, due di loro addirittura all’estero.
Per tale ragione, ritenuto che la donazione fosse fittizia e che la stessa fosse finalizzata unicamente alla elusione degli ingenti debiti erariali, il Giudice per le indagini preliminari ritenne di dovere sottoporre i predetti beni a sequestro preventivo, sussistendo il concreto pericolo che potessero essere alienati a terzi e considerata, in ogni caso, l’obbligatorieta’ della confisca per equivalente.
2. Avverso suddetto decreto (OMISSIS) formulo’ rituale istanza di riesame, deducendo, in primo luogo, che il sequestro per equivalente non sarebbe stato, nella specie, applicabile, dal momento che la societa’ debitrice, unico soggetto giuridico a beneficiare del mancato pagamento dell’imposta, era proprietaria di un vasto patrimonio immobiliare, in grado di soddisfare le ragioni dell’erario. Inoltre, (OMISSIS) eccepi’ il carattere non simulato della donazione, sicche’ i beni non sarebbero potuti essere sequestrati in quanto appartenenti a persone estranee al reato, sia pure legate all’indagato da rapporti di parentela. Infine, egli sottolineo’ di avere gia’ effettuato il pagamento di diverse rate mensili del debito tributario, per un importo pari a 156.946,87 Euro, nonche’ di avere contratto polizza fideiussoria per la restante parte del medesimo debito
3. Con ordinanza del 18/01/2016 il Tribunale del riesame di Matera accolse solo parzialmente la menzionata richiesta di riesame, revocando il decreto di sequestro preventivo impugnato per la parte relativa alla quota capitale gia’ versata, pari a 125.892,73,00 Euro.
4. Avverso l’ordinanza citata (OMISSIS) propone, personalmente, ricorso per cassazione sulla base di cinque articolati motivi di impugnazione.
Con il primo motivo, egli denuncia la violazione degli articoli 321 e 125 c.p.p., nonche’ il vizio di assoluta motivazione.
Il decreto genetico sarebbe stato emesso sul presupposto che (OMISSIS) avesse provveduto al pagamento della sola prima rata, delle 72 mensili previste dal piano di pagamento rateizzato dell’I.V.A., concordato con la societa’ (OMISSIS).
In realta’, il ricorrente avrebbe provveduto al pagamento di numerose rate, per la somma complessiva di 156.946,87 Euro; e in ogni caso, essendovi stato il regolare pagamento del canone di rateizzazione, non vi sarebbe stata la sussistenza del periculum in mora. Cio’ in quanto una serie di disposizioni (ad es. il Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 19, e l’articolo 38, comma 1, lettera G) del codice dei contratti pubblici) mostrerebbero la chiara volonta’, da parte dell’ordinamento nel suo complesso, di considerare in regola con il fisco il contribuente al quale sia stata accordata la rateizzazione.
Con il secondo motivo viene, invece, dedotta, la violazione degli articoli 321 e 125 c.p.p., e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, per impossibilita’ del sequestro preventivo essendo inibita la confisca in presenza di un accordo di dilazione del pagamento di tributi non versati.
L’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente consentito il sequestro preventivo pur in presenza di un accordo di dilazione del pagamento dei tributi versati. Infatti, a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, sarebbe stato previsto che in presenza dell’impegno del contribuente a versare quanto dovuto all’Erario, la confisca non possa operare per la relativa parte. E cio’ impedirebbe anche la possibilita’ di disporre il sequestro preventivo ad essa finalizzato.
Con il terzo motivo il ricorrente censura la violazione degli articoli 321 e 125 c.p.p., e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis.
Cio’ in quanto l’ordinanza impugnata ha disposto il sequestro preventivo di beni immobili intestati a (OMISSIS), laddove gli stessi sarebbero di proprieta’ dei figli, terzi estranei e di buona fede. A riprova di cio’, il ricorrente sottolinea per un verso come la donazione abbia riguardato l’abitazione di famiglia, nella quale i figli sarebbero cresciuti e, per altro verso, come la stessa sia stata effettuata a distanza di oltre un anno dall’avviso bonario della Agenzia delle Entrate in data 17/03/2014. E ad ulteriore di riprova del fatto che (OMISSIS) non sia animato da intenti fraudolenti nei confronti del Fisco, si ribadisce che la societa’ debitrice starebbe regolarmente pagando le rate della dilazione concessa dalla societa’ (OMISSIS), anche successivamente al predetto atto di donazione.
Con il quarto motivo (OMISSIS) si duole della violazione degli articoli 321 e 125 c.p.p., 12 liste del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, per difetto assoluto di motivazione sul punto relativo alla disponibilita’ dei beni da parte dell’indagato.
Secondo il ricorrente, il sequestro preventivo non potrebbe essere disposto su beni appartenenti a persone estranee al reato, salvo il caso in cui l’indagato ne abbia la disponibilita’. Quest’ultima, nondimeno, dovrebbe essere provata dall’Accusa, senza che la stessa possa avvalersi di presunzioni di intestazione fittizia dei beni, anche quando essi siano formalmente intestati ai prossimi congiunti dell’indagato.
Sul punto, nondimeno, la motivazione dell’ordinanza sarebbe totalmente mancante, essendosi i giudici limitati ad affermare apoditticamente che i beni sarebbero stati nella disponibilita’ dell’indagato, il quale, in realta’, non abiterebbe nell’immobile sequestrato.
Con il quinto e ultimo motivo il ricorrente deduce violazione degli articoli 321 e 125 c.p.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, per mancanza dei presupposti del sequestro preventivo per equivalente.
Secondo il ricorrente il provvedimento sarebbe illegittimo, non sussistendo i requisiti per l’adozione del sequestro preventivo per equivalente. Cio’ in quanto il profitto del reato sarebbe, comunque, riferibile alla societa’, trattandosi del risparmio di spesa per non aver effettuato il relativo pagamento, e perche’, prima di sottoporre a sequestro i beni del legale rappresentante della stessa, sarebbe stato necessario dimostrare l’impossibilita’ di eseguire il sequestro diretto per incapienza del patrimonio della societa’ (laddove essa sarebbe stata, invece, proprietaria di numerosi beni immobili) o, comunque, che il profitto non sarebbe stato da essa conseguito.
Secondo la Difesa, infine, i beni oggetto del provvedimento cautelare dovrebbero risultare collegati al reato per cui si procede e dovrebbero essere strumentali rispetto ad esso sicche’, ove lasciati nella libera disponibilita’ dell’indagato, essi possano risultare idonei a determinare il pericolo di aggravamento o di agevolazione della commissione di ulteriori reati
5. Con requisitoria scritta il Procuratore generale ha chiesto l’integrale rigetto del ricorso.
Dopo aver premesso che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo e’ ammissibile quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente perche’ sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice del provvedimento impugnato, il Procuratore generale ha rilevato come la motivazione dell’ordinanza impugnata non possa qualificarsi come del tutto assente o meramente apparente, essendo al contrario provvista dei suddetti requisiti minimi.
Il provvedimento in questione, infatti, avrebbe fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla sentenza Gubert delle Sezioni unite di questa Corte, ravvisando nella indisponibilita’ di denaro nella cassa della (OMISSIS) S.p.A. il presupposto ostativo ad una confisca diretta del risparmio di imposta nei confronti della stessa societa’.
Inoltre, la confisca per equivalente nei confronti del ricorrente, attingendo l’immobile donato ai figli, sarebbe giustificata sulla base della permanente disponibilita’, in capo allo stesso imputato, di tale bene, nel quale egli continuerebbe a risiedere, mentre i figli risiederebbero altrove; circostanza questa non confutato dalla Difesa dei ricorrenti, la quale si sarebbe limitata a sottolineare che i figli dell’indagato erano cresciuti in quella casa.
Da ultimo, la possibilita’ di procedere al sequestro preventivo ai fini di confisca, ai sensi del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, pur in presenza di un accordo di rateizzazione, sarebbe gia’ stata affermata, in situazioni analoghe, dalla giurisprudenza di questa sezione della Corte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
6. Il ricorso e’ infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
6.1. Preliminarmente occorre rilevare l’opportunita’ di trattare congiuntamente il terzo e il quarto motivo di ricorso, attesa l’evidente connessione esistente tra gli stessi, la cui disamina deve precedere, sul piano logico, quella degli altri motivi di impugnazione.
6.1.1. Con il terzo motivo (OMISSIS) lamenta che l’ordinanza impugnata abbia disposto il sequestro preventivo di beni immobili di proprieta’ dei figli dello stesso ricorrente, i quali sarebbero terzi di buona fede, estranei alle vicende societarie ed a quelle penali. E con il quarto motivo, connesso al precedente, egli si duole che il sequestro preventivo sia stato disposto su beni appartenenti a persone estranee al reato, senza che l’Accusa sia riuscita a dimostrare che l’indagato ne avesse la disponibilita’, apoditticamente affermata dal giudice, laddove lo stesso (OMISSIS), in realta’, non abiterebbe nell’immobile sequestrato.
Tanto premesso, giova innanzitutto ricordare come il ricorso per cassazione in materia cautelare reale possa essere esaminato soltanto in relazione al profilo della eventuale violazione di legge, non essendo consentita la deduzione del vizio di motivazione.
Nondimeno, come e’ noto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorre violazione di legge anche nel caso in cui la motivazione sia del tutto assente o meramente apparente, non avendo i pur minimi requisiti per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice del provvedimento impugnato. In tale caso, difatti, avuto riguardo all’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un elemento essenziale dell’atto (cfr., ex multis, Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692, secondo cui nella violazione di legge sono ricompresi anche i vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice; v. anche Sez. 5, n. 40731 in data 11/07/2006, Magrone e altro, Rv. 235758, secondo cui la motivazione mancante o meramente apparente integra gli estremi della violazione di legge di cui all’articolo 125 c.p.p.).
Fermo quanto precede, ritiene il Collegio che i motivi di ricorso in esame siano, in punto di violazione di legge, manifestamente infondati.
L’ordinanza impugnata, infatti, ha puntualmente motivato, secondo cadenze argomentative del tutto logiche, che come tali si sottrarrebbero in ogni caso a qualunque forma di sindacato da parte del giudice di legittimita’, le ragioni per le quali, nonostante la formale intestazione dei beni ai figli dell’odierno indagato, dovesse, comunque, ritenersi che gli immobili permanessero nella sua “disponibilita’”, si’ da consentirne il sequestro preventivo ai sensi del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis.
Da un lato la circostanza che la donazione dei beni fosse stata realizzata successivamente all’avviso di accertamento e, dunque, dopo il sorgere delle obbligazioni tributarie; dall’altro lato, la circostanza che la donazione fosse stata compiuta nei confronti dei figli e che (OMISSIS) continuasse a risiedere in quell’abitazione, diversamente dai figli, due dei quali risultavano addirittura risiedere all’estero, hanno certamente consentito di giustificare, alla stregua di una massima di comune esperienza, il motivo per il quale sia stato possibile ritenere il carattere fittizio del ricordato atto di disposizione e come, dunque, l’indagato avesse di fatto mantenuto la disponibilita’ del bene (evincibile anche alla stregua del rapporto di consanguineita’, e quindi fiduciario, tra donante e donatari).
Pertanto, e conclusivamente, deve ritenersi che l’ordinanza impugnata non sia, sul punto, in alcun modo censurabile.
6.2. Con il secondo motivo si censura che il Tribunale del riesame abbia consentito il sequestro preventivo pur in presenza di un accordo di dilazione del pagamento dei tributi da versare, in violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis.
6.2.1. In argomento deve permettersi che l’istituto della confisca per equivalente (o di valore) del profitto del reato, di cui all’articolo 322 ter c.p., comma 2, originariamente introdotto dalla L. 29 settembre 2000, n. 300, articolo 31, per il solo delitto di cui all’articolo 321 c.p., e’ stato progressivamente esteso anche ad altri reati e, tra questi, anche a quelli di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, ad opera della L. 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1, comma 143.
Gia’ sotto la disciplina originaria, la giurisprudenza di questa Corte aveva ritenuto che in materia di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, nel caso in cui fosse stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non potesse essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, dovendo lo stesso essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione. Cio’ in quanto, diversamente opinando, si sarebbe venuta a determinare una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non puo’ mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (in questi termini v. Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016, Tomasi Canovo, Rv. 265843; Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263409; Sez. 3, n. 6635 in data 8/01/2014, Cavatorta, Rv. 258903; Sez. 3, n. 46726 del 12/07/2012, Lanzalone, Rv. 253851) e considerata, altresi’, la stessa ragione giustificatrice della confisca, consistente proprio nella necessita’ di evitare che il conseguimento dell’indebito profitto del reato si consolidi in capo all’autore del medesimo.
Lungo la stessa direttrice ermeneutica era stato evidenziato come “l’utilita’ economica ricavata dalla consumazione di un reato non” potesse “essere confiscata come profitto del reato, nemmeno per equivalente, quando la stessa sia stata gia’ restituita al soggetto danneggiato” (Sez. 2, n. 36444 del 26/05/2015, Ottonello e altro, Rv. 264525).
Nondimeno, questa Corte aveva sempre affermato il principio secondo cui solo l’integrale pagamento del debito tributario poteva condurre alla non operativita’ della confisca, essendo invece insufficiente la mera ammissione ad un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale ultimo titolo (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 5681 del 27/11/2013, Crocco, Rv. 258691); cio’ proprio in ragione della necessaria corrispondenza tra il pagamento del debito e l’elisione del profitto.
6.2.2. Attualmente l’istituto trova la sua disciplina nel Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, introdotto dal Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 158, articolo 10, comma 1.
Per effetto dell’intervento normativo menzionato, la previsione della L. 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1, comma 143, e’ stata ricollocata all’interno del citato Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, il cui comma 1, stabilisce che “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 c.p.p., per uno dei delitti previsti dal presente decreto, e’ sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non e’ possibile, la confisca dei beni, di cui il reo ha la disponibilita’, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”.
Il legislatore del 2015 ha poi precisato, all’articolo 12 bis, comma 2, che “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, aggiungendo, subito dopo, che “nel caso di mancato versamento la confisca e’ sempre disposta”.
Secondo quanto ritenuto dal ricorrente, proprio quest’ultima disposizione, facendo riferimento alla “non operativita’” della confisca in caso di “impegno” a versare all’Erario il debito d’imposta formatosi a seguito dell’evasione, dovrebbe portare a concludere che in siffatte ipotesi sia la confisca che il sequestro preventivo, ad essa finalizzato, non potrebbero essere applicati.
Tale interpretazione, pero’, non puo’ essere condivisa.
6.2.3. La ratio della disposizione in esame e’ certamente in linea con la filosofia complessiva che ispira il Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 158, ovvero quella di agevolare la possibilita’ per l’Erario di soddisfare le proprie pretese nei confronti dei debitori, eventualmente anche favorendo, da parte degli stessi, forme lato sensu definibili come di ravvedimento attuoso, che comportano limitazioni all’operativita’ delle norme incriminatrici e alla connessa potesta’ punitiva statale.
Cosi’, ad esempio, si prevede, all’articolo 13, del decreto citato, l’operativita’ di una causa di non punibilita’ in caso di estinzione del debito tributario; e, al successivo articolo 13 bis, che in caso di integrale pagamento del debito tributario, eventualmente grazie alle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento, avvenuto prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, si faccia luogo a una diminuzione di pena fino alla meta’, oltre all’esclusione delle pene accessorie. Mentre con l’articolo 12 bis, comma 2, appunto, si incentiva il pagamento del debito, ancorche’ tardivo, da parte del contribuente, consentendogli di evitare la confisca dei propri beni.
6.2.4. Tanto premesso, una prima considerazione si impone nella ricostruzione rimessa all’interprete.
Il legislatore, nella adozione dei richiamati enunciati normativi, ha fatto uso di espressioni dall’evidente carattere atecnico: cio’ vale sia per la nozione di “impegno”, sia per il riferimento alla “non operativita’” della confisca.
Ne consegue che l’esegesi di tali disposizioni, finalizzata alla individuazione del loro “significato normativo”, deve essere condotta attraverso l’utilizzo di argomenti logico-sistematici, volti ad attribuire una valenza a locuzioni altrimenti ambigue.
Quanto alla prima nozione, quella di “impegno”, una interpretazione letterale potrebbe condurre a ritenere sufficiente, ai fini della non operativita’ della confisca, la mera esternazione unilaterale del proposito di adempiere al pagamento, svincolata da ogni scadenza e da ogni obbligo formale nei confronti della controparte.
Una siffatta conclusione, tuttavia, condurrebbe a far dipendere la operativita’ della sanzione dal proposito unilaterale del debitore, senza che potesse, peraltro, configurarsi alcuna sanzione nei suoi confronti in caso di mancato rispetto dell’impegno assunto. E, in questo modo, si perverrebbe ad una sostanziale neutralizzazione generalizzata dell’istituto, in contrasto con i criteri di logicita’ e ragionevolezza che devono sempre presiedere all’operazione interpretativa.
Per tale motivo, dunque, deve privilegiarsi una diversa opzione ricostruttiva, volta a circoscrivere l’applicabilita’ della previsione ai soli casi di obblighi assunti in maniera formale, tra i quali rientrano certamente le ipotesi di accertamento con adesione, di conciliazione giudiziale, di transazione fiscale, ma anche quelle di attivazione di procedure di rateizzazione, automatica o a domanda, come l’accordo per il pagamento rateale del debito d’imposta raggiunto, come nel caso di specie, con l’Agenzia delle Entrate (cosi’ Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Orsetto, Rv. 266038).
Quanto, poi, alla previsione secondo cui la confisca “non operi” nel caso in cui vi sia stata l’assunzione di un impegno formale di pagamento, proprio l’uso di espressioni dal contenuto fortemente atecnico puo’, astrattamente, favorire differenti ipotesi esegetiche.
Una prima interpretazione va nella direzione per cui il giudice non possa disporre, con la sentenza di condanna, la confisca, ovviamente per la parte che il contribuente si fosse impegnato a versare, salva la possibilita’, in caso di mancato versamento della somma dovuta, di adottare il provvedimento ablativo ai sensi dell’articolo 12 bis, comma 2, eventualmente anche nella fase dell’esecuzione della pena, secondo quanto contemplato dall’articolo 676 c.p.p..
Una siffatta ipotesi, pur compatibile con la testuale formulazione della disposizione menzionata, appare tuttavia foriera di gravi aporie sul piano sistematico e applicativo.
E’, infatti, evidente ove si ritenesse che al giudice sia vietato, a fronte dell’impegno di pagamento assunto dal contribuente, di procedere all’applicazione della confisca, da un lato dovrebbe escludersi che dopo l’assunzione dell’impegno possa procedersi all’adozione del sequestro preventivo e, dall’altro lato, dovrebbe concludersi nel senso della perdita di efficacia del sequestro ove esso fosse stato disposto anteriormente alla dichiarazione di impegno del contribuente. Cio’ per la fondamentale considerazione che avendo il sequestro preventivo natura strumentale rispetto alla confisca del bene sottoposto alla cautela reale, nel caso in cui la definitiva ablazione dello stesso fosse giuridicamente preclusa, l’adozione del sequestro sarebbe sfornita di qualunque ragione giustificativa.
In proposito giova osservare che la disposizione in esame, secondo cui la confisca non operi in presenza del formale impegno del contribuente, si applica anche “in presenza di sequestro”. Tale locuzione, peraltro, non appare decisiva ai fini della soluzione della questione giuridica posta, atteso che l’espressione utilizzata potrebbe riferirsi unicamente al fatto che la dichiarazione del contribuente possa paralizzare l’adozione della confisca anche quando la prima intervenisse dopo l’adozione di un provvedimento di sequestro. E dal momento che quest’ultimo non avrebbe alcuna funzione, a causa della impossibilita’ di procedere alla confisca, potrebbe concludersi per la sua immediata perdita di efficacia a seguito della formalizzazione della dichiarazione d’impegno.
Una siffatta ricostruzione, tuttavia, contrasterebbe palesemente con i canoni di ragionevolezza e funzionalita’ che devono ispirare una qualunque operazione ermeneutica volta a definire i meccanismi di operativita’ di istituti processuali previsti dall’ordinamento giuridico.
E’ di palmare evidenza, infatti, che ove non potesse procedersi all’applicazione di una misura cautelare reale, i beni astrattamente sottoponibili a confisca permarrebbero nella completa disponibilita’ dell’avente titolo, il quale potrebbe conseguentemente alienarli o compiere su di essi atti idonei a pregiudicare definitivamente, o comunque a rendere meno agevole, il soddisfacimento della pretesa creditoria, ivi compresa quella facente capo all’Erario. Cio’ che, pero’, frustrerebbe quell’obiettivo che si e’ visto essere proprio dell’intervento normativo qui analizzato.
Ed e’ peraltro ovvio che la rappresentata esigenza di garantire il soddisfacimento della pretesa erariale non verrebbe adeguatamente soddisfatta dalla possibilita’, pur ammessa dall’interpretazione qui censurata, di un provvedimento di confisca adottato in sede esecutiva. Si ipotizzi, infatti, il caso in cui il contribuente abbia concordato, con l’Amministrazione tributaria, il pagamento rateale del debito. In tal caso, non potrebbe farsi luogo alla confisca fino alla scadenza dell’ultima rata (salvo il caso in cui, nelle more, egli non abbia proceduto al pagamento di singole rate scadute). Qualora, tuttavia, nello stesso periodo egli procedesse ad una cospicua dismissione del proprio patrimonio, non potrebbe comunque farsi luogo, considerata l’ormai avvenuta conclusione del processo penale, all’adozione di un provvedimento di sequestro preventivo, il quale trova il suo ambito di applicazione nel processo e non nella sua fase esecutiva. In breve, il debitore potrebbe impunemente compiere atti dispositivi del proprio patrimonio, sino a renderlo sostanzialmente incapiente, senza che potesse adottarsi, nei suoi confronti, alcuna misura, almeno fino a quando egli fosse in regola con i pagamenti rateali; pagamenti che pero’ potrebbe sospendere in ogni momento, magari dopo aver corrisposto somme assai modeste rispetto al totale dell’importo dovuto.
Ne’ le aporie descritte potrebbero essere superate ritenendo che, in tali casi, possa farsi comunque luogo al mantenimento ovvero all’adozione del sequestro preventivo pur non essendo consentita l’adozione della confisca. Infatti, a parte i rilievi gia’ svolti circa lo stretto collegamento funzionale tra i due istituti processuali, che certamente non consente l’adozione della misura provvisoria quando sia inibita quella definitiva, il vuoto di tutela che e’ stato prima descritto verrebbe, comunque, a riproporsi quantomeno al momento del passaggio in giudicato della sentenza, non potendo certo sostenersi che il sequestro preventivo possa essere conservato, nella fase esecutiva, fino al momento della estinzione del debito tributario ovvero fino al momento in cui, magari a distanza di anni dalla condanna, il debitore dovesse rendersi inadempiente.
Ed allora, di fronte ad un possibile percorso interpretativo che, coerentemente sviluppato nelle sue cadenze logiche, condurrebbe ad esiti sistematici inaccettabili, anche perche’ contrastanti con la ricordata finalita’, proprio della nuova disciplina, di favorire il soddisfacimento delle pretese erariali, ecco che deve necessariamente optarsi per un’alternativa soluzione esegetica, che attribuisca al ricordato riferimento al sequestro preventivo in corso il significato della possibilita’ di adottare (ovvero di mantenere) tale misura cautelare pur a fronte dell’impegno assunto dal contribuente indagato.
Seguendo questa strada ricostruttiva, tuttavia, la norma in esame rischierebbe di avere un contenuto intrinsecamente contraddittorio, ammettendosi da un lato la sopravvivenza (ovvero l’adozione) del sequestro e, dall’altro lato, rendendolo tuttavia insuscettibile di realizzare il risultato cui esso e’ ordinariamente rivolto ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 2, ovvero, appunto, la confisca.
In questa prospettiva, al fine di attribuire un significato logicamente plausibile alla norma in esame, deve necessariamente ritenersi che la locuzione “non opera” non significhi affatto che la confisca, a fronte dell’accordo rateale intervenuto, non possa essere adottata, quanto piuttosto, e piu’ semplicemente, che la stessa non divenga efficace con riguardo alla parte “coperta” da tale impegno. La confisca “non operativa”, dunque, sarebbe una confisca applicata ma non eseguibile perche’ non (ancora) produttiva di effetti, la cui produzione sarebbe subordinata (condizionata) al verificarsi di un evento futuro ed incerto, costituito dal mancato pagamento del debito. Fermo restando che, come recita l’articolo 12 bis, comma 2, essa dovra’, comunque, essere “disposta”, rectius diventare efficace, allorquando l’impegno non sia stato rispettato e il versamento “promesso” non si sia verificato.
Pertanto, secondo l’interpretazione qui preferita, anche in presenza di un piano rateale di versamento, la confisca potra’ continuare ad essere comunque consentita, sia pure per gli importi non ancora corrisposti, cosi’ continuando ad essere consentito anche il sequestro ad essa finalizzato (per questa tesi v. Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Orsetto, Rv. 266038). Sequestro che ai sensi dell’articolo 323, comma 3 del codice di rito manterra’ i suoi effetti in caso di pronuncia di una sentenza di condanna, qualora sia stata disposta la confisca “ancorche’ condizionata” delle cose sequestrate.
Dunque, al verificarsi della condizione sospensiva, costituita dal mancato pagamento, la confisca sara’ pienamente produttiva di effetti; e il Pubblico ministero, ricevuta la comunicazione di inadempimento da parte dell’Amministrazione finanziaria, potra’ mettere in esecuzione alla misura, con facolta’ dell’interessato di ricorrere al giudice della cautela nel corso delle indagini preliminari o del processo, ovvero al giudice dell’esecuzione nelle forme dell’incidente previsto dall’articolo 666 del codice di rito.
Analoghe istanze, stavolta finalizzate alla revoca della misura reale, potranno essere, invece, adottate dall’interessato nell’ipotesi in cui egli provveda all’integrale pagamento del debito.
Pertanto, ove nel corso del procedimento penale (OMISSIS) dovesse avere provveduto al pagamento dell’intero ammontare del debito, la confisca, i cui effetti resterebbero comunque sospesi fino all’esaurimento della procedura di pagamento, potrebbe non essere adottata, ovvero, se disposta, potrebbe in ogni caso essere revocata a seguito di apposita richiesta formulata al giudice dell’esecuzione.
Nel caso in cui, invece, il debitore non abbia provveduto all’integrale pagamento delle somme dovute, gli effetti del provvedimento ablativo non resterebbero paralizzati, sicche’ potrebbe darsi corso alla relativa procedura esecutiva secondo le regole ordinarie. Ferma restando, in ogni caso, la possibilita’, per il giudice competente, di procedere, su richiesta dell’interessato, in corrispondenza del pagamento progressivo delle rate, al dissequestro parziale dei beni per un valore corrispondente alle somme versate all’Erario, non potendo il sequestro preventivo essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, poiche’, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non puo’ mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263409; Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016, Tomasi Canovo, Rv. 265843).
6.2.5. Alla stregua delle considerazioni che precedono deve, dunque, riconoscersi la legittimita’, sul punto, dell’ordinanza impugnata, la quale si e’ correttamente mossa all’interno della ricordata cornice di principi (v. pag. 4 del provvedimento).
6.3. Con il quinto motivo il ricorrente deduce l’insussistenza dei requisiti per l’adozione del sequestro preventivo per equivalente. Cio’ in quanto il profitto sarebbe stato, comunque, appartenente alla societa’, trattandosi del risparmio di spesa per non aver effettuato il pagamento del debito tributario, e perche’, dunque, prima di sottoporre a sequestro i beni del legale rappresentante della stessa, sarebbe stato necessario dimostrare l’impossibilita’ del sequestro diretto perche’ il patrimonio della societa’ era incapiente o, comunque, che il profitto non sarebbe stato da essa conseguito.
Le censure dedotte dal ricorrente sono, tuttavia, infondate.
6.3.1. Preliminarmente occorre osservare che corretta e’ la premessa dalla quale muove l’odierno ricorrente: il sequestro preventivo “diretto” e il sequestro “per equivalente” presentano differenti caratteristiche strutturali e funzionali.
Mentre il primo consiste nella sottoposizione al vincolo di beni che costituiscono il profitto del reato per cui si procede, o sono ad esso riconducibili (come nel caso dei beni acquisiti attraverso il reimpiego dei proventi illeciti), il secondo ricorre quando la cautela reale e’ realizzata su beni diversi (e del tutto avulsi da una relazione di pertinenzialita’) da quelli che costituiscono il profitto dell’attivita’ criminosa, il cui valore economico sia, nondimeno, corrispondente a quello del profitto stesso.
Le due forme di sequestro soggiacciono, conseguentemente, a una differente disciplina processuale che attiene, per i profili qui in considerazione, al loro peculiare rapporto funzionale, caratterizzato dalla sussidiarieta’ della forma per equivalente rispetto a quella diretta.
E’ stato chiarito che il profitto, nei reati tributari, e’ costituito da “qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e che esso puo’, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario” (cosi’ Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036; conformemente v. anche Sez. 5, n. 36870 del 14/05/2013, P.M. in proc. Ragosta, Rv. 256945). Pertanto, nei reati tributari il sequestro preventivo ha ad oggetto, nella forma diretta, essenzialmente somme di denaro (cosi’ Sez. 6, n. 30966 del 14/06/2007, Puliga, Rv. 236984, secondo cui e’ legittimamente operato in base alla prima parte dell’articolo 322-ter, comma 1, cod. pen., il sequestro preventivo delle somme nella disponibilita’ del conto corrente dell’imputato).
Tuttavia, come e’ stato chiarito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 10561 del 2014, Gubert, una volta riscontrata la impossibilita’ di sottoporre al provvedimento cautelare i beni che, direttamente o indirettamente, siano riferibili al profitto del reato, e dunque, una volta constatata la assenza di somme di denaro da sottoporre al provvedimento ablativo diretto, si puo’ quindi fare luogo al sequestro preventivo per equivalente; impossibilita’ che puo’ essere anche soltanto transitoria e reversibile, purche’ sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura (Sez. 2, n. 2823/2009 del 10/12/2008, Schiattarella, Rv. 242653).
6.3.2. Nel caso qui in rilievo, il Tribunale del riesame ha specificamente dato atto che al momento del sequestro non risultavano “soldi in cassa” (cfr. fg. 3 dell’ordinanza impugnata); sicche’ deve ritenersi del tutto pacifico che l’unica forma di sequestro preventivo eseguibile fosse quella per equivalente.
Il ricorrente, nondimeno, ritiene che essendo stato il reato tributario ascritto, come nella specie, all’amministratore di una societa’, nell’interesse della quale l’attivita’ illecita era stata chiaramente commessa, il decreto ablativo avrebbe dovuto procedere, in primo luogo, al sequestro dei beni della societa’, e solo in caso di incapienza della stessa, al sequestro dei beni dello stesso amministratore.
Tale ricostruzione e’, tuttavia, in aperto contrasto con i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella citata sentenza n. 10561 del 2014, condivisi da questo Collegio, secondo cui e’ sempre consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni degli amministratori non costituenti profitto diretto, quando non sia possibile il sequestro di denaro o di altri beni fungibili ovvero il sequestro di altri beni, comunque direttamente riconducibili al profitto del reato tributario.
Ne consegue, conclusivamente sul punto, l’infondatezza anche del quinto motivo di ricorso.
6.4. Con il primo motivo, infine, il ricorrente denuncia che avendo provveduto al pagamento di numerose rate, per la somma complessiva di 156.946,87 Euro, versate anche successivamente al menzionato atto di donazione, non vi sarebbe stata la sussistenza del periculum in mora, essendo evidente che egli non possa essere animato da intenti fraudolenti nei confronti del fisco.
Sul punto, nondimeno, e’ sufficiente richiamare il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui “in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, spetta al giudice il solo compito di verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, essendo, invece, irrilevante sia la valutazione del periculum in mora – che attiene ai requisiti del sequestro preventivo di cui all’articolo 321 c.p.p., comma 1, – sia quella inerente alla pertinenzialita’ dei beni” (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263408; Sez. 2, n. 31229 del 26/06/2014, Borda, Rv. 260367).
Ai fini del sequestro preventivo per equivalente e’, infatti, sufficiente che ricorra il presupposto della confiscabilita’, ovvero che si tratti di cose di cui e’ consentita la confisca a tenore del codice penale o delle leggi speciali. In altri termini, esso non presuppone alcuna prognosi di pericolosita’ connessa alla libera disponibilita’ delle cose medesime, le quali, proprio perche’ confiscabili, sono di per se’ oggettivamente pericolose, indipendentemente dal fatto che si versi in materia di confisca facoltativa o obbligatoria. Ne consegue che il compito del giudice, nel disporre il sequestro per equivalente, consiste solo nel verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca.
Nella medesima prospettiva, e’ da considerarsi non corretta anche l’affermazione della Difesa secondo cui il bene oggetto di provvedimento cautelare dovrebbe risultare collegato al reato per cui si procede, sicche’, ove lasciato nella libera disponibilita’, esso possa risultare idoneo a determinare il pericolo di aggravamento o di agevolazione della commissione di reati. Cio’ in quanto la confisca per equivalente, per definizione, ha ad oggetto beni estranei al reato contestato, che sono sottoposti al vincolo cautelare solo perche’ di valore equivalente al profitto del reato (v. ex plurimis Sez. 2, n. 21228 del 29/04/2014, Riva Fire S.p.a., Rv. 259717).
7. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere, dunque, rigettato e il ricorrente condannato alle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
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