Ai fini dell’accertamento della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, il giudice della cautela deve fare riferimento ai soli reati per i quali si procede, ai fini della verifica delle esigenze cautelari, il giudice può riferirsi al complesso degli elementi dai quali tali esigenze emergono, anche in relazione alla personalità dell’imputato, e può dunque richiamare anche i precedenti penali e i risultati di indagini eventualmente in corso in relazione ad altri e diversi reati
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 21 dicembre 2016, n. 54213
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 3 agosto 2016, il Tribunale di Roma ha rigettato la richiesta di riesame presentata dall’indagato avverso l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip dello stesso Tribunale il 15 luglio 2016, per i reati di cui ai capi 3 (art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000) e 4 (art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000) dell’imputazione provvisoria, a lui contestati in relazione all’emissione e all’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.
2. – Avverso il provvedimento l’interessato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Il ricorrente, che ammette l’addebito relativamente a due fatture emesse dalla Lekythos s.r.l., di cui era amministratore, in favore della PDC, società riferibile al coimputato M.C. (per Expo Milano 2015), contesta, in primo luogo, la sussistenza di gravi indizi relativamente al capo 3 (fattura n. 5/2016), sostenendo che, da una valutazione complessiva degli indizi (in particolare dalle intercettazioni delle conversazioni di C.) si ricaverebbe che l’operazione non è inesistente ma attiene invece ai compensi dovuti al C. per l’attività di mediazione dallo stesso svolta con riferimento ad una complessa operazione di ristrutturazione finanziaria del gruppo societario Magiste. In particolare, C. avrebbe presentato a R. il commercialista milanese Bono, al fine di trovare la soluzione finanziaria ed economica alla situazione debitoria del suo gruppo. La fattura in questione dovrebbe essere interpretata in tale senso, congiuntamente con una scrittura privata del 18 gennaio 2016, come sarebbe confermato da conversazioni intercettate tra C. e tale Attampato (19 aprile 2016) e tra C. e tale P. (19 aprile 2016 e 19 maggio 2016). Da queste conversazioni emergerebbe che C. pretendeva da R. il pagamento della fattura a titolo di compenso per l’attività di intermediazione con il commercialista che egli rivendicava di avere svolto. Il Tribunale non avrebbe correttamente valutato tali convergenti elementi, fornendo un’interpretazione tutto unilaterale della causale della fattura in questione.
2.2. – Con un secondo motivo di doglianza si deducono vizi della motivazione, relativamente alla sussistenza delle esigenze cautelari, che sarebbe stata affermata dal Tribunale valorizzando dati estranei all’oggetto della contestazione, ovvero un illecito fiscale ritenuto rilevante ai fini della valutazione della personalità del ricorrente, svalutando, per contro, il dato della revoca da parte della Lekythos della carica di amministratore unico conferita al R.. Quanto, in particolare, alla valutazione al pericolo di inquinamento delle prove, il Tribunale del riesame non avrebbe considerato che i fatti sono stati pienamente ammessi dall’indagato e comunque documentati; a ciò dovrebbe raggiungersi che nel corso delle indagini erano stati sequestrati la documentazione esistente e i computer nella disponibilità degli indagati.
2.3. – In terzo luogo, si prospettano vizi della motivazione con riferimento alla scelta della misura, lamentando che il Tribunale avrebbe escluso la concessione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico (art. 275 bis cod. proc. pen.), sul rilievo che la misura non sarebbe idonea a scongiurare comunicazioni con l’esterno, senza però in alcun modo considerare l’eventualità di imporre specifiche prescrizioni in grado di scongiurare un siffatto pericolo.
2.4. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza camerale davanti a questa Corte, la difesa afferma di avere presentato al Gip richiesta di giudizio abbreviato incondizionato, in conseguenza della richiesta di giudizio immediato presentata dal pubblico ministero. Sostiene che tale richiesta farebbe venire meno il pericolo di inquinamento probatorio, essendo ormai esaurita ogni attività di indagine e non essendo più possibile la formazione e acquisizione della prova in contraddittorio tra le parti.
Considerato in diritto
3. – Il ricorso è infondato.
3.1. – Il primo motivo di impugnazione è inammissibile, perché con esso non si deducono vizi di motivazione censurabili in cassazione, ma ci si limita a sollecitare una diversa interpretazione del materiale indiziario. In altri termini, la difesa non individua – neanche in via di mera prospettazione – lacune o vizi logici del provvedimento impugnato, ma ripropone la lettura del quadro istruttorio già proposta in sede di riesame. Il Tribunale ha, del resto, fornito una motivazione pienamente sufficiente e coerente sul punto, perché ha evidenziato l’incompatibilità della prospettazione difensiva con il richiamo ad un falso contratto di associazione in partecipazione nella fattura n. 5 del 2016. In particolare, l’importo fatturato è definito sia quale quota del contratto di associazione in partecipazione sia quale quota relativa all’attività di mediazione che sarebbe stata svolta dalla società PDC in forza di scrittura privata del 18 gennaio 2016. E – contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa – la fattura in questione rientra nell’importo complessivo delle fatture per operazioni inesistenti che la PDC aveva concordato di emettere in favore di della Lekythos, importo pari a € 1.330.000 e, dunque, non di molto superiore a € 1.115.000, che costituivano la somma delle tre fatture contestazioni. Le generiche doglianze difensive si pongono, peraltro, in contrasto con quanto affermato dalla stessa difesa alla pag. 13 del ricorso, laddove si sostiene che l’indagato avrebbe “pienamente ammesso” i fatti documentali di false fatturazioni per i quali si procede.
3.2. – Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo di ricorso – riferito alle esigenze cautelari – che si concretizza anch’esso in un tentativo di ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito del provvedimento cautelare. Del resto, nell’ordinanza del Tribunale c’è ampia motivazione sulle esigenze cautelari, che risultano evidenti per la concreta gravità dei fatti e per l’assoluta spregiudicatezza dell’indagato, soggetto gravato da precedenti, in considerazione dei quali è stata contestata la recidiva specifica. In particolare, i giudici del riesame, hanno ben evidenziato che la vicenda non consiste semplicemente nell’emissione di fatture con causale diversa da quella reale, ma che tale espediente è stato utilizzato al fine di creare una provvista in nero da spendere per finalità illecite, proprio nel periodo in cui l’imputato era tornato in possesso degli asset del gruppo Magiste, con manovre finanziarie non trasparenti che denotano, anche sul piano soggettivo, una continuità con il passato criminale dell’indagato (dettagliatamente richiamato alla pag. 11 dell’ordinanza impugnata). In tale quadro in tale quadro, la revoca della carica di amministratore unico della società è del tutto irrilevante perché riguarda un profilo meramente formale, cui non consegue la prova del venire meno della potestà di fatto dell’imputato sulla società stessa. Si tratta, comunque, di un dato che assume una valenza assolutamente limitata, in relazione alla straordinaria capacità a delinquere del soggetto, che emerge sia dal quadro indiziario complessivo delle indagini in corso a suo carico, sia dalla continuità dei reati per il quali qui si procede con la vicenda delle procedure concorsuali ancora in corso, alla quale sono strettamente legati i suoi precedenti penali. Correttamente il Tribunale ha valorizzato in tal senso le dichiarazioni rese dallo stesso indagato nell’interrogatorio di garanzia (e ampiamente confermate dalle intercettazioni telefoniche), dalle quali emerge che egli appostava a posteriori costi indifferentemente sull’una piuttosto che sull’altra delle sue società, secondo le esigenze del momento. E deve qui ribadirsi che, mentre ai fini dell’accertamento della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, il giudice della cautela deve fare riferimento ai soli reati per i quali si procede, ai fini della verifica delle esigenze cautelari, il giudice può riferirsi al complesso degli elementi dai quali tali esigenze emergono, anche in relazione alla personalità dell’imputato, e può dunque richiamare anche i precedenti penali e i risultati di indagini eventualmente in corso in relazione ad altri e diversi reati.
In presenza di un così marcato e attuale pericolo di reiterazione del reato, risultano del tutto prive di consistenza le considerazioni difensive svolte con la memoria depositata in prossimità dell’udienza in camera di consiglio davanti a questa Corte (sub 2.4.), circa la sopravvenuta mancanza delle esigenze cautelari, perché le stesse si riferiscono alla sola, ulteriore esigenza di scongiurare il pericolo di inquinamento delle prove.
3.3. – Il terzo motivo di doglianza, relativo alla scelta della misura cautelare, è infondato. La difesa lamenta, in particolare, la mancata valutazione dell’idoneità degli arresti domiciliari con divieto di comunicare con persone diverse da quelle che coabitano con l’indagato o che lo assistono (art. 284, comma 2, cod. proc. pen.) a soddisfare le esigenze cautelari.
Dalla motivazione dell’ordinanza impugnata emerge, però, che la straordinaria pericolosità del soggetto rende del tutto inefficace la misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, perché tale strumento si limita a segnalare l’uscita di casa e non consente di verificare che il prevenuto non si stia abusivamente servendo di telefoni o strumenti elettronici che gli consentano di continuare ad operare dal proprio domicilio. Lo stesso Tribunale evidenzia che il pericolo di reiterazione nel caso di specie consiste proprio nel fatto che l’imputato potrebbe ripristinare i contatti con altri soggetti coinvolti nella vicenda illecita per commettere o aggravare le conseguenze dei reati per i quali si procede. E il presupposto logico di tale argomentazione è che il pericolo di recidiva, del tutto concreto, non sarebbe certo scongiurato dalla mera imposizione formale di un divieto di comunicazione facilmente aggirabile dal domicilio, proprio in considerazione della particolarità della personalità dell’indagato, che si dimostra assolutamente privo di remore quanto alla continuazione dell’attività criminosa.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
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