L’estinzione della società di capitali per effetto della volontaria cancellazione dal registro delle imprese dà luogo ad un fenomeno di tipo successorio nei confronti dei soci: da un lato, l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce si soci, che rispondono nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione, o illimitatamente, a seconda che fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; dall’altro, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa. Impregiudicata, pertanto, risulta la legittimazione processuale del socio successore: qualora l’estinzione della società avvenga in pendenza di un giudizio del quale la società sia parte, infatti, risulta applicabile l’art. 110 c.p.c.:, a mente del quale si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci.
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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
SENTENZA 24 maggio 2016, n.10694
Svolgimento del processo
1. I1 Tribunale di Roma (nel 2009) accolse la domanda di risoluzione del contratto preliminare di vendita di azienda, proposta dalla Friendship 3 s.r.l. e da S.G. nei confronti della B&B s.r.l., e condannò quest’ultima alla restituzione della somma di quasi Euro 155 mila, pari alla caparra confirmatoria versata.
L’appello fu proposto da B.F. , nella qualità di socio, liquidatore, nonché mandatario dei soci della B&B s.r.l., fondando la propria legittimazione sulla estinzione della società avvenuta nel 2007, in pendenza del giudizio di primo grado.
La Corte di appello di Roma dichiarò l’inammissibilità dell’appello per difetto di legittimazione dell’appellante, ritenendo che stante l’effetto estintivo immediato della cancellazione della società, non residuava una capacità del socio e/o del liquidatore ad impugnare la sentenza resa nei confronti della società cancellata (sentenza del 10 luglio 2012).
2. Avverso la suddetta sentenza, B.F. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Resistono con unico controricorso, esplicato da memoria, la Friendship 3 srl e S.G. .
Motivi della decisione
1. La Corte di merito – richiamando la riforma del 2003 della disciplina societaria, e partitamente i novellati artt. 2484 e 2495 c.c., nonché la successiva giurisprudenza di legittimità (in particolare Cass. n. 16758 del 2010, – ha ritenuto che, essendo stata la società cancellata dal registro delle imprese ed estinta con effetto immediato, non residuava la legittimazione del socio e/o del liquidatore e che la scelta di sciogliere la società, con un giudizio ancora in corso, doveva essere intesa come manifestazione dell’intento dei soci di rinunciare a qualsiasi pretesa al riguardo. Ha aggiunto che la disponibilità di una somma in capo al liquidatore, deliberata in sede di approvazione del bilancio finale di liquidazione, non poteva indurre a diversa conclusione, significando semplicemente la disponibilità del denaro necessario per l’ipotesi di esito sfavorevole della controversia.
2. Il ricorrente, con due motivi strettamente collegati, deduce, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2484 e 2495 c.c., nonché degli artt. 110 e 111 c.p.c. (primo motivo), nonché, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c. (secondo motivo), in riferimento alla insussistenza di una rinuncia da parte dei soci a qualsiasi pretesa riguardo al giudizio in corso con la società.
2. La censura è fondata.
2.1. La estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese è avvenuta nel corso del giudizio di primo grado. Non è contestato che il B. fosse socio (al 99,95%) della società. Dalla documentazione richiamata dal ricorrente, risulta che nel piano di riparto della liquidazione venne lasciata “a mano” del liquidatore B. una somma sino alla definizione della controversia con gli acquirenti dell’azienda, con la precisazione che quanto residuato all’esito è distribuito ai soci in ragione delle quote societarie.
2.2. Ai fini dell’accoglimento delle censure rileva la giurisprudenza di legittimità successiva alla emanazione della decisione impugnata.
Dopo la decisione delle Sez. Un. n. 6070 del 2013, ed a prescindere dal profilo della ultrattività del mandato (affrontato da Sez. Un. 15295 del 2014, nella specie non rilevante), costituisce principio consolidato quello secondo cui l’estinzione della società di capitali per effetto della volontaria cancellazione dal registro delle imprese dà luogo ad un fenomeno di tipo successorio nei confronti dei soci, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, che rispondono nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione, o illimitatamente, a seconda che fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci, in regime di con titolarità o comunione indivisa. In astratto, pertanto il socio successore della società ha legittimazione ad impugnare una decisione emessa nei confronti della società estinta.
Si tratta di verificare la presenza di un comportamento pregresso della società inequivocabilmente inteso a rinunciare alla controversia, venendo meno in tal caso l’oggetto della trasmissione successoria.
Nella specie, in pendenza del giudizio in cui la società era convenuta per la risoluzione di un contratto preliminare di vendita di azienda, in sede di liquidazione furono lasciate al liquidatore (lo stesso attuale ricorrente) le somme per far fronte all’esito della controversia e si dispose che quanto eventualmente residuato in esito a quella controversia fosse ripartito tra i soci in ragione della quota (che per il B. corrisponde al 99,95%). Può fondatamente dedursi che con la decisione di porsi in liquidazione e cancellarsi dal registro della imprese la società non abbia scelto di rinunziare all’azione pendente e che legittimato sia il socio nella disponibilità del quale sono state lasciate delle somme in sede di liquidazione per l’ipotesi di soccombenza; socio che, per il 99,95%, avrebbe avuto diritto a trattenerle in caso di esito vittorioso della lite. Né, in mancanza di qualunque delimitazione in tal senso, può limitarsi tale previsione in sede di riparto, come sostengono i controricorrenti, all’esito del giudizio di primo grado all’epoca in corso.
3. Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e la Corte di appello di Roma, in diversa composizione, esaminerà l’impugnazione nel merito, liquidando anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
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