Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 19 gennaio 2017, n. 1295.

Il fatto colposo posto in essere dal danneggiato, per assumere rilievo ai fini dell’articolo 1227, primo comma, c.c., deve connettersi causalmente all’evento dannoso, non potendo quest’ultimo essere pretermesso nella ricostruzione della serie causale giuridicamente rilevante, e non potendosi pertanto connettere direttamente la condotta colposa del danneggiato con il danno da lui patito. Diversamente opinando, si giungerebbe ad attrarre la responsabilità (non a caso qualificata, nella sentenza del 2014, come autoresponsabilità) nell’orbita della sanzione per violazione di norme giuridiche o di norme prudenziali, ovvero della sanzione di una condotta per la sua natura intrinseca, prescindendone però dagli effetti.

Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza 19 gennaio 2017, n. 1295

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 914/2014 pronunciata ex articolo 281-sexies c.p.c. la Corte d’appello di L’Aquila, decidendo su cause riunite, per quanto qui interessa, ha accolto parzialmente l’appello proposto da C.M. e C.F.A. avverso sentenza del 4 aprile 2013 del Tribunale di Vasto quanto all’erronea applicazione di interessi e rivalutazione al danno patrimoniale da spese funerarie che erano stati condannati a risarcire alle loro controparti, per il resto confermando. Si trattava di cause risarcitorie relative a un sinistro stradale avvenuto nella notte del (omissis) per scontro tra una vettura Audi guidata da C.M. con una Fiat Palio guidata da S.N.C. sulla quale era trasportato Z.G. , sinistro in cui entrambi i soggetti che viaggiavano sulla Fiat Palio erano deceduti; di qui le domande risarcitorie dei loro congiunti, e precisamente di S.C. e V.M. (genitori di S.N.C.), S.M. e S.R. (fratelli del suddetto) per S.N.C. , e di P.L. e Z.A. (genitori di Z.G.), Z.S. e Z.L. (sorelle del trasportato).
2. Hanno proposto ricorso C.M. e C.F.A. sulla base di sei motivi; si difendono con controricorso i suddetti congiunti di S.N.C. nonché con altro controricorso i suddetti congiunti di Z.G. ; ha presentato controricorso pure Vittoria Assicurazioni S.p.A., che aderisce a tutti i motivi del ricorso tranne l’ultimo.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato.
3.1 Il primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1227, 1223, 2056 c.c., 143 e 186 CdS.
Il giudice d’appello avrebbe omesso di considerare l’apporto causale arrecato da S.N.C. al sinistro, incorrendo in errore di diritto, dato che sarebbero stati provati la sua ebbrezza alcolica, il suo procedere non tenendo il margine destro della corsia bensì ponendosi verso il centro della carreggiata e l’omissione da parte sua di manovra di emergenza. Sarebbe stata dunque integrata la fattispecie di cui agli articoli 1227 e 2056 c.c.. La corte territoriale avrebbe negato il concorso causale al sinistro della condotta del S. senza riscontri fattuali, così violando l’articolo 1227, secondo comma, c.c. perché invece tale condotta avrebbe “quantomeno prodotto un aggravamento del danno”. In proporzione a ciò dovrebbe essere ridotto il quantum risarcitorio.
Anche a prescindere dal fatto che la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla responsabilità esclusiva del conducente dell’Audi è evidentemente accurata e dettagliata nell’esporre come quest’ultimo ad una velocità altamente superiore a quella stabilita per quel tratto di strada aveva invaso repentinamente tutta la corsia della Fiat Palio, rendendo irrilevante la sua posizione verso la mezzeria e impossibile ogni manovra di emergenza, non si può non rilevare che il motivo, pur rubricato in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., presenta un contenuto non realmente denunciante errori di diritto e neppure riconducibile alla denuncia di vizio motivazionale, bensì consistente in una diretta critica fattuale all’accertamento del giudice di merito sulla dinamica del sinistro, per cui deve ritenersi inammissibile.
3.2 n secondo motivo, rubricato ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c. come denunciante violazione e falsa applicazione degli articoli 2054, secondo comma, 2697 c.c., 143 e 186 CdS, viene proposto “anche in connessione” con il motivo precedente, e adduce che il giudice d’appello non avrebbe considerato che le difese dei S. -V. e dei P. -Z. non avrebbero fornito la prova liberatoria di cui all’articolo 2054, secondo comma, c.c. In particolare, ad avviso dei ricorrenti, la difesa dei S. -V. avrebbe dovuto dimostrare che il conducente della Fiat Palio aveva fatto tutto il possibile per evitare il sinistro, e comunque il giudice avrebbe dovuto accertare se la sua condotta di guida fosse stata conforme alla legge. Al contrario, sarebbero emersi elementi di segno opposto, quali l’assenza di tracce di frenata, l’ebbrezza alcolica del conducente, la marcia dell’auto a ridosso del centro della carreggiata e l’assenza di una manovra di emergenza.
Il motivo, che non a caso viene presentato come anche connesso al precedente, è una riproposizione, con qualche elemento ulteriore (l’assenza delle tracce di frenata; la pretesa assenza di prova liberatoria dalla presunzione ex articolo 2054, secondo comma, c.c.) del motivo precedente, per cui, per nulla incidendo le “aggiunte” dato che anch’esse si collocano, così come argomentate, su un piano direttamente fattuale, risulta a sua volta inammissibile per avere oltrepassato i limiti della giurisdizione di legittimità.
3.3.1 Il terzo motivo, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 2056 c.c., 186 e 140 CdS; e anche questo viene presentato “in parte connesso” con il primo motivo, già disatteso.
Si adduce che il trasportato “avrebbe dovuto evitare di farsi condurre da un conducente – il S. – in evidente ed accertato stato di ebbrezza alcolica”. Pertanto la condotta di Z.G. si porrebbe in connessione causale con l’evento dannoso, consistente nelle gravi lesioni da lui subite e dall’intervenuto decesso, e non con il sinistro stradale. Non vi sarebbe stata, poi, da parte sua una mera condotta omissiva, bensì una specifica condotta attiva. E ciò comporterebbe una riduzione del quantum risarcitorio ai sensi dell’articolo 1227 c.c..
Questa doglianza viene sostenuta richiamando giurisprudenza (Cass. sez. 3, 22 maggio 2006 n. 18974; Cass. sez. 3, 11 aprile 2004 n. 4993; Cass. sez. 3, 20 marzo 1982 n. 1982) che, in realtà, concerne ipotesi di concordata cooperazione colposa tra conducente e trasportato nella causazione del sinistro (la più recente Cass. sez. 3, 22 maggio 2006 n. 18974 – che richiama il motivazione le altre due pronunce – è infatti massimata nel senso che “qualora la messa in circolazione dell’autoveicolo in condizioni di insicurezza (e tale è la circolazione di un ciclomotore con a bordo due persone in violazione dell’articolo 170 del codice della strada), sia ricollegabile all’azione o omissione non solo del trasportato, ma anche del conducente (che prima di iniziare o proseguire la marcia deve controllare che essa avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e sicurezza), fra costoro si è formato il consenso alla circolazione medesima con consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell’altro ed accettazione dei relativi rischi; pertanto, in caso di eventi dannosi si verifica un’ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell’azione produttiva dell’evento (diversa da quella in cui distinti fatti colposi convergano autonomamente nella produzione dell’evento)”). Nel caso de quo, invece, la corte territoriale ha ritenuto che il sinistro non sia stato causato dalla condotta del conducente di Fiat Palio, per cui appare non pertinente una giurisprudenza che concerne la cooperazione colposa tra un conducente che causa il sinistro e un suo trasportato. Peraltro, come si è appena visto, i ricorrenti sostengono che la condotta di Z.G. sarebbe in connessione causale non con il sinistro stradale, bensì con quello che definiscono l’evento dannoso, identificandolo nelle sue lesioni e nel conseguente decesso.
3.3.2 Deve rilevarsi che la corte territoriale ha escluso ogni corresponsabilità dello Z. nell’evento dannoso richiamando un arresto che esclude il concorso colposo del danneggiato, ai sensi dell’articolo 1227, primo comma, c.c., qualora, quale trasportato in un veicolo, abbia accettato che il conducente guidi in stato di ebbrezza, per carenza di cooperazione attiva nel fatto colposo del danneggiante. Si tratta di Cass. sez. 3, 7 dicembre 2005 n. 27010, dalla cui pur concisa motivazione emerge un contenuto più specifico, rispetto alla tematica in esame, di quello versato nella massima (così è la massima: “Il primo comma dell’art. 1227 c.c. concerne il concorso colposo del danneggiato, configurabile solamente in caso di cooperazione attiva nel fatto colposo del danneggiante (Nell’affermare il suindicato principio la S.C. ha escluso la configurabilità di un concorso colposo del danneggiato nella mera accettazione, da parte del medesimo, del trasporto su autovettura con alla guida conducente in evidente stato di ebbrezza, non assurgendo tale condotta a comportamento materiale di cooperazione incidente nella determinazione dell’evento dannoso)”. Viene accolto invero, un motivo di ricorso in cui si denuncia violazione dell’articolo 1227, primo comma, c.c. perché “erroneamente… la Corte di Appello avrebbe ritenuto la propria corresponsabilità nel determinare il danno in base al disposto di quella norma, per essersi egli posto in una situazione di evidente pericolo, avendo accettato la guida di un conducente in palese stato di ebbrezza. Secondo il ricorrente, invero, perché possa trovare applicazione la norma in parola, occorrerebbe che il danneggiato avesse contribuito con una sua condotta a causare l’evento da cui è scaturito il danno e non il danno successivo – in conseguenza verificatosi, – contrariamente a quello che sarebbe avvenuto nella fattispecie”. Alla luce di una doglianza di tale contenuto va allora intesa la risposta, che premessa l’applicabilità all’illecito extracontrattuale dell’articolo 1227 c.c. (per il richiamo ex articolo 2056 c.c.) afferma che “il primo comma, poi, di quella norma concerne il concorso colposo del danneggiato nella produzione dell’evento che configura l’inadempimento, mentre, nel secondo comma, il danno è eziologicamente imputabile al danneggiante, ma le conseguenze dannose dello stesso avrebbero potuto essere impedite o attenuate da un comportamento diligente del danneggiato… Per ritenere, quindi, che il danneggiato concorra con suo fatto colposo a cagionare il danno è necessario che egli ponga in essere una materiale condotta, tale da incidere nella produzione del danno stesso, al cui verificarsi egli ha, così attivamente cooperato… Orbene, nella fattispecie, l’avere il M. accettato il trasporto sull’auto condotta dal G. in stato di ebbrezza non configura che egli abbia posto in essere una condizione dell’evento-danno, cioè un antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato. Non può affermarsi, invero, che, nel caso in esame, si sia, fra conducente e trasportato, formato il consenso alla circolazione con consapevole partecipazione del trasportato alla condotta colposa del conducente e, quindi, l’accettazione del trasporto non può valere quale accettazione dei relativi rischi, né può costituire antecedente necessario per la determinazione del danno. Per concludere sul punto, pertanto, non si ravvisa tra l’azione del M. e l’evento un rapporto di causalità, non potendo la sua condotta assurgere a cooperazione attiva incidente nella determinazione dell’evento; non può, infatti, condividersi l’opinione del giudice di merito, che ha ravvisato la corresponsabilità del M. nell’essersi egli posto volontariamente in una situazione di pericolo, tale da determinare il danno, per le suesposte ragioni e per il preminente motivo che non può dirsi che il ricorrente abbia agito, pur potendo prevedere l’evento come possibile, a costo di determinarlo” (nel caso di specie, il trasportato aveva agito per il risarcimento dei danni nei confronti del conducente della vettura che lo trasportava).
3.3.3 La questione, invero, si innesta nella interpretazione dell’articolo 1227, primo comma, c.c., che è una delle norme del codice civile disciplinanti la responsabilità, sia sotto il profilo del nesso causale, sia sotto il profilo della natura – che deve essere colposa – della condotta rilevante. Consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte insegna che, affinché la condotta del danneggiato integri la fattispecie di cui all’articolo 1227, primo comma, occorre che essa costituisca una colposa cooperazione attiva per la realizzazione del fatto dannoso, laddove nel caso in cui il fatto dannoso sia eziologicamente imputabile esclusivamente al danneggiante ricorre la fattispecie di cui al secondo comma dello stesso articolo (tra gli arresti meno risalenti cfr. Cass. sez.3, 9 gennaio 2001 n. 240; Cass. sez.3. 8 aprile 2003 n. 5511, Cass. sez.2, 6 giugno 2007 n. 13242; e cfr. da ultimo Cass. sez. 3, 4 novembre 2014 n. 23426). Sulla scorta di questa lettura si sono individuati, in particolare, casi di corresponsabilità del trasportato su un veicolo in conseguenza di sua colposa cooperazione all’azione produttiva dell’evento dannoso, identificato peraltro quest’ultimo non solo nel sinistro stradale, bensì pure nella messa in circolazione del veicolo – che poi incorre nel sinistro – in condizioni di insicurezza (oltre alla giurisprudenza citata nel ricorso, v. Cass. sez. 3, 11 marzo 2004 n. 4993 – riguardante l’ipotesi del trasportato che non allaccia le cinture – e Cass. sez.3, 13 maggio 2011 n. 10526 – riguardante l’ipotesi del trasportato che sale su un ciclomotore su cui viaggiano altre due persone -).
Logicamente prima ancora che giuridicamente, il “fatto colposo” del danneggiato condivide con l’autore della condotta danneggiante la responsabilità se si inserisce nella serie causale da cui discende l’evento dannoso. Naturalmente non occorre che il suo contributo eziologico si attui mediante una condotta colposa attiva, ben potendo realizzarsi anche con una condotta colposa omissiva (come, appunto, è stato più volte riconosciuto nei casi di omesso allacciamento delle cinture di sicurezza da parte del trasportato su una vettura). Rimane però sempre necessario secernere la condotta colposa eziologicamente incidente dalla condotta che, a prescindere dall’elemento soggettivo che la pervade, non si inserisce nella serie causale.
3.3.4 I ricorrenti, allora, hanno sostenuto che sarebbe rilevante, quale fonte di sua responsabilità concorrente, la condotta di Z.G. in connessione causale non con il sinistro stradale, bensì con l’evento dannoso a loro avviso consistente nelle sue lesioni e nell’intervenuto suo decesso.
Una siffatta impostazione, a ben guardare, scambia l’evento dannoso – nella cui generativa serie causale devono inserirsi le condotte delle persone materialmente coinvolte, nei limiti della loro giuridica rilevanza (sulla tematica della causalità giuridica cfr. p. es. Cass. sez. 3, 3 dicembre 2002 n. 17152) – con il danno, poiché le lesioni che il trasportato ha patito dal sinistro stradale sono già danno biologico. E non è logico affermare che chi patisce un danno è giuridicamente responsabile del danno, cioè lo ha cagionato.
Una fattispecie di “svincolo” tra responsabilità ed evento dannoso si rinviene, peraltro – e fino ad un certo punto – in un recente arresto di questa Suprema Corte, estensivo, per così dire, nella lettura dell’articolo 1227, primo comma, c.c., e cioè Cass. sez. 3, 26 maggio 2014 n. 11698, massimata nel senso che “l’esposizione volontaria ad un rischio, o, comunque, la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, è idonea ad integrare una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, in quanto viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell’evento, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c., e, a livello costituzionale, risponde al principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. avuto riguardo alle esigenze di allocazione dei rischi (riferibili, nella specie, all’ambito della circolazione stradale) secondo una finalità comune di prevenzione, nonché al correlato obbligo di ciascuno di essere responsabile delle conseguenze dei propri atti”.
Si trattava di un caso in cui il danneggiato, cui era stato attribuita la corresponsabilità, aveva partecipato su una vettura come passeggero ad una gara automobilistica notturna e clandestina. Nella sua accurata motivazione, la pronuncia afferma che non rileva ai fini dell’articolo 1227, primo comma, c.c. soltanto una cooperazione attiva del danneggiato, dovendosi individuare il suo concorso causale anche nei casi di esposizione al rischio superiore alla norma. Sostiene espressamente che la precedente Cass. sez. 3, 7 dicembre 2005 n. 27010 ha assunto una posizione erronea per avere regolato il problema del concorso colposo a causare l’evento dannoso in rapporto all’incidente stradale, con la conclusione che quest’ultimo si sarebbe verificato comunque. Invece è necessario esaminare l’intera serie causale: quel che rileva è il comportamento del trasportato che si pone all’inizio della sequela eziologica. Nel caso che era in esame, con l’accettazione consapevole del rischio cui si sottoponeva il trasportato aveva realizzato un antecedente causale necessario non del sinistro (fatto dannoso), bensì dell’evento a suo danno verificatosi (cioè le lesioni all’integrità fisica): perciò nella misura in cui detto evento era risultato addebitabile al suo apporto causale non se ne poteva attribuire responsabilità ad altri. Ciò viene desunto – illustra sempre la motivazione dell’arresto – dall’articolo 1227, primo comma, c.c., interpretato anche alla luce costituzionale della solidarietà sociale (articolo 2 Cost.) da cui si evince il principio dell’autoresponsabilità. Diventa allora necessario determinare quale sia la soglia di rilevanza causale di esposizione volontaria al rischio: e nella convivenza civile non si può pretendere una regola di prudenza perfetta, cioè che ci si sottragga ad ogni rischio. È quindi rilevante la condotta che viola norme giuridiche (come appunto nel caso del trasportato che non allaccia le cinture). Meno immediata è la soluzione se si violano norme non giuridiche, ovvero di regole di prudenza: ma comunque si può giungere a ritenere che “il danneggiato ponga in essere una condotta – attiva o omissiva – causalmente rilevante in tutti i casi in cui accetti volontariamente di esporsi ad un rischio gratuito, cioè non necessitato e neppure giustificato dall’attività che egli debba svolgere”. Si tratta, in ultima analisi, di un rischio “anormale”, cioè “gratuito, consapevole, dovuto ad una scelta voluttuaria e gravemente imprudente”. Da ciò deriva una “accettazione consapevole che si traduce nella partecipazione anche senza un ruolo attivo ad una attività contra legem”, o comunque, pur se non vietata dalla legge, ad un’attività “contraria ad una regola di prudenza avvertita come esistente e vincolante nella coscienza sociale del tempo”.
3.3.5 Questa impostazione, senza dubbio profondamente influenzata dalla particolarità della vicenda fattuale, presenta peraltro criticità, in quanto viene a svincolare la connessione causale tra la condotta del trasportato e l’evento dannoso – cioè l’incidente stradale -, ritenendo sufficiente che il trasportato, anziché inserirsi con la sua condotta, attiva od omissiva, nella serie causale concretamente verificatasi come produttiva dell’incidente, abbia posto in essere una condotta di per sé gravemente rischiosa.
Se si intende considerare esclusivamente dal punto di vista materiale la serie causale è evidente che ogni trasportato che acconsente di farsi trasportare si pone sempre, attraverso le sua scelta, in connessione causale con l’incidente. Ma ciò non può in toto coincidere con la serie causale giuridicamente rilevante. Per questa, come detta l’articolo 1227, primo comma, c.c., non solo deve sussistere un “fatto colposo” – cioè una condotta, attiva o omissiva, imprudente anche al massimo grado -, ma occorre altresì che tale fatto colposo abbia “concorso a cagionare il danno”. Semanticamente, il “danno” non significa l’evento dannoso. Logicamente, peraltro, non si vede come il “fatto colposo” possa concorrere a cagionare il danno se non “attraversa”, causalmente contribuendovi, anche il suo imprescindibile e conclusivo presupposto, ovvero l’evento dannoso: evento dannoso cui si riferisce, infatti, la tradizionale lettura nomofilattica dell’articolo 1227, primo comma, c.c. (v. ancora per tutte Cass. sez. 3, 3 dicembre 2002 n. 17152, cit.). Se, invece, si svincola la condotta del trasportato-danneggiato dal ruolo di concreta concausa – id est la classica cooperazione colposa – rispetto all’evento dannoso, limitandola ad una probabilistica scelta di rischio, per quanto elevato (e una probabilistica scelta di rischio può essere anche l’accettare di farsi trasportare da un soggetto in ebbrezza alcolica), si giunge a configurare per il trasportato un trattamento normativo assimilabile ad una corresponsabilità oggettiva, laddove il soggetto che lo trasporta quando si verifica l’evento dannoso può anche rimanere indenne da ogni quota di responsabilità. E così potrebbe avvenire – salvi per ora i profili concreti di cui si dirà infra – se si strutturasse secondo l’impostazione appena esposta il caso in esame: il trasportato Z. sarebbe corresponsabile per avere accettato di farsi trasportare da un conducente con un tasso alcolico superiore alla soglia legale, in quanto la serie causale che si sprigiona dalla sua scelta “salta” l’incidente stradale e perviene direttamente al danno; il conducente, S. , non sarebbe corresponsabile perché la serie causale derivante dal suo stato alcolico non si innesta nell’insorgere dello scontro tra i veicoli, essendo risultato questo cagionato da una condotta di guida del C. tale da rendere del tutto irrilevante la condotta di guida dell’altro conducente. Quindi, il conducente dell’auto su cui si trova il trasportato può fruire delle caratteristiche di globalità causale, per così dire, della condotta dell’altro conducente, mentre queste non valgono per il trasportato, nonostante che la sua scelta non abbia alcuna incidenza causale sul sinistro. Anzi, proprio perché la sua scelta “pretermette” il sinistro come fonte di responsabilità. In questo modo interpretandola, peraltro, anziché a una fattispecie di responsabilità, la configurazione normativa rispetto al trasportato verrebbe ad essere assimilabile ad una sanzione lato sensu per una condotta di per sé imprudente. Che il trasportato debba comunque ricevere un trattamento deteriore, ai fini del risarcimento, rispetto a quello di chi guida l’auto che lo trasporta non appare, in ultima analisi, razionale, ovvero sostenibile. D’altronde Cass. sez. 3, 26 maggio 2014 n. 11698 concerne un caso in cui il conducente del veicolo su cui si trovava il trasportato è risultato l’altro corresponsabile del sinistro – gli è stata attribuita una quota di responsabilità del 50% e al trasportato l’altro 50% -, per cui non ha portato fino a questo la sua impostazione.
Pure confrontandosi, allora, con il surrichiamato recente arresto – il cui contenuto, non si può non ripetere e rimarcare, è stato incisivamente condizionato dalla peculiarità del caso vagliato – non risulta condivisibile l’asserto che la condotta dello Z. rilevi ai fini di una sua corresponsabilità (e di una conseguente decurtazione risarcitoria a sfavore dei suoi congiunti) anche se il giudice di merito ha accertato che l’incidente stradale è stato causato esclusivamente dalla condotta di C.M. , per cui deve rispettarsi il seguente principio di diritto: il fatto colposo posto in essere dal danneggiato, per assumere rilievo ai fini dell’articolo 1227, primo comma, c.c., deve connettersi causalmente all’evento dannoso, non potendo quest’ultimo essere pretermesso nella ricostruzione della serie causale giuridicamente rilevante, e non potendosi pertanto connettere direttamente la condotta colposa del danneggiato con il danno da lui patito. Diversamente opinando, si giungerebbe ad attrarre la responsabilità (non a caso qualificata, nella sentenza del 2014, come autoresponsabilità) nell’orbita della sanzione per violazione di norme giuridiche o di norme prudenziali, ovvero della sanzione di una condotta per la sua natura intrinseca, prescindendone però dagli effetti.
3.3.6 Nel caso in esame, dunque, il sinistro si è verificato con una dinamica tale che la responsabilità causativa è stata attribuita del tutto al conducente dell’Audi. Non si vede, allora, come si possa attribuire una responsabilità al trasportato della Fiat Palio perché il conducente di quest’ultima aveva un tasso alcolico oltre la soglia legale, considerato che per questo neppure al conducente è stata attribuita alcuna responsabilità.
Vi è di più. Non viene indicata dai ricorrenti alcuna prova specifica che avrebbe dimostrato che il trasportato era consapevole del superamento da parte del conducente del tasso alcolico consentito, prova necessaria per qualificare colposa la condotta dello Z. , ovvero la sua scelta di farsi trasportare sulla vettura guidata dal S. : si limitano invece i ricorrenti ad asserire che l’ebbrezza del S. era evidente. Questa genericità della doglianza la inficia sotto un profilo ulteriore rispetto a quello finora vagliato, considerato che è notorio che non sempre il superamento del tasso alcolico legale si manifesta in modo evidente e indubbio nella condotta del soggetto che lo abbia oltrepassato, così da poter essere immediatamente percepito da ogni persona di media attenzione e prudenza.
Il motivo, in conclusione, sotto ogni profilo non merita accoglimento.
3.4.1 I quarto motivo, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 116 e 191 c.p.c..
Lamentano i ricorrenti che il giudice d’appello ha ritenuto di poter fondare il suo convincimento su una consulenza disposta dal PM nel procedimento penale svoltosi a carico di C.M. quale prova atipica, pur se compiuta in altro procedimento senza la necessaria partecipazione di tutte le parti interessate alle operazioni peritali. Inoltre non si sarebbe tenuto in conto che detta consulenza sulla dinamica del sinistro non avrebbe attribuito al C. responsabilità esclusiva: pertanto, la corte territoriale avrebbe dovuto disporre una c.t.u. propria sulla dinamica dell’incidente.
Ancora, adduce il motivo che nel processo si sarebbero acquisiti “elementi non controvertibili” sulla condotta di guida di S.N.C. come non conforme alla legge (e qui si rimanda al primo motivo). La consulenza non avrebbe avuto valenza probatoria, perché espletata senza la difesa del C. , ma anche perché il consulente del PM non sapeva che il S. era ubriaco (ciò sarebbe risultato successivamente, dall’autopsia) né conosceva la velocità della Fiat Palio (50 km all’ora) riferita tre anni dopo nell’istruttoria dal teste R.R. ; e comunque avrebbe errato nell’indicare le masse dei veicoli e non avrebbe calcolato il peso degli occupanti. Segue a queste argomentazioni un’ulteriore critica del contenuto della consulenza in rapporto ad altri dati fattuali (pagina 27 del ricorso) per concludere che, pur potendo il giudice fondare il convincimento su prove atipiche, lo può nei limiti che queste non siano smentite da altre risultanze. Invece il giudice d’appello, nel caso in esame, non avrebbe vagliato gli aspetti critici della consulenza del PM e non avrebbe disposto una c.t.u..
3.4.2 Il motivo in parte è infondato e in parte inammissibile.
Per quanto concerne l’utilizzabilità della c.t.u. disposta dal PM nel procedimento penale, deve ritenersi infondato l’asserto che la formazione in tale sede della prova al di fuori del contraddittorio delle parti interessate non consenta in questo giudizio di introdurla nel compendio che costruisce il convincimento giurisdizionale. E ciò se non altro perché, in forza di un principio generale, il contraddittorio può essere anche postergato, in quanto quel che rileva è che le parti abbiano potuto fruirne prima della definitiva decisione del giudice.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte da tempo ha chiarito, invero, che nei poteri del giudice relativi alla disponibilità e alla valutazione delle prove è incluso quello di fondare il proprio convincimento anche su prove formate in altro processo – e pure in un procedimento penale – i cui risultati sono stati acquisiti nel suo giudizio, potendo le parti, in conseguenza di tale acquisizione, esercitare al riguardo il contraddittorio, e quindi anche contrastarne i risultati discutendoli o allegando prove contrarie (v. Cass. sez. 3, 4 marzo 2002 n. 3102, citata anche dal giudice d’appello; Cass. sez. L, 21 maggio 2003 n. 8023; Cass. sez. 1, 10 dicembre 2004 n. 23132; Cass. sez. L, 7 maggio 2014 n. 9843 e Cass. sez. 1, 2 febbraio 2016 n.1948; e specificamente a proposito di accertamento tecnico svoltosi in altro processo, anche penale, cfr. Cass. sez. 3, 20 gennaio 1995 n. 623, Cass. sez. L, 5 dicembre 2008 n. 28855, Cass. sez. 3, 2 luglio 2010 n. 15714, Cass. sez. 5, 14 novembre 2012 n. 19859 e Cass. sez. 5, 20 marzo 2013 n. 6918).
Le ulteriori argomentazioni del motivo, poi, cadono nuovamente su un inammissibile piano fattuale, proponendo al giudice di legittimità una valutazione alternativa rispetto a quella adottata dal giudice di merito; né, d’altronde, è sostenibile che quest’ultimo, nella sua accurata motivazione, non abbia rapportato gli esiti della consulenza tecnica del PM alle risultanze del complessivo compendio probatorio.
3.5 Il quinto motivo, rubricato ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1223 c.c., 115 e 116 c.p.c. per avere il giudice d’appello ritenuto provato che i deceduti avessero usato le cinture di sicurezza, elemento che ad avviso dei ricorrenti provato non sarebbe: e per dimostrarlo si riportano ampiamente dati fattuali (pagine 23-25 del ricorso) asserendo che la corte territoriale ne avrebbe dovuto tenere conto.
Si tratta di una doglianza evidentemente inammissibile, perché, ancora una volta, persegue dal giudice di legittimità una revisione dell’accertamento di fatto.
3.6 Il sesto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., omessa e comunque insufficiente motivazione su un fatto discusso e decisivo, nonché, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione del d.p.r. 447/2001.
Il giudice d’appello sarebbe incorso in vizio motivazionale laddove afferma che C.M. viaggiava su un’auto con una targa di prova, assicurata con Vittoria Assicurazioni S.p.A.: avrebbe infatti omesso di valutare le risultanze istruttorie di primo grado, che il motivo adduce (pagina 26 del ricorso) indicando anche ulteriori vari elementi probatori.
Premesso che non è dato comprendere come possa costituire un fatto decisivo ai fini della ricostruzione della dinamica del sinistro il tipo di targa con cui viaggiava il conducente dell’Audi, pure questa doglianza, chiaramente, persegue in realtà un terzo grado di merito, chiedendo ancora una volta al giudice di legittimità di operare una revisione dell’accertamento fattuale illustrato nella impugnata sentenza. Deve pertanto dichiararsi inammissibile.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna – in solido per il comune interesse processuale – dei ricorrenti alla rifusione alle controparti delle spese processuali, liquidate come da dispositivo, tranne che per quanto riguarda Vittoria Assicurazioni S.p.A., rispetto alla quale è equa la compensazione delle spese avendo essa condiviso quasi completamente (cinque motivi su sei) le doglianze dei ricorrenti..
Sussistono ex articolo 13, comma 1-quater, d.p.r. 115/2012 i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna solidalmente i ricorrenti a rifondere a S.C. , S.M. , S.R. e V.M. le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 11.000, oltre a Euro 200 per esborsi e oltre agli accessori di legge; condanna altresì solidalmente i ricorrenti a rifondere ad Z.A. , Z.S. , Z.L. e P.L. le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 11.000, oltre a Euro 200 per esborsi e oltre agli accessori di legge; compensa le spese tra i ricorrenti e Vittoria Assicurazioni S.p.A. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13

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