Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza n. 18345 del 31 luglio 2013
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –
Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –
Dott. MATERA Lina – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 8058/2008 proposto da:
D.S. (OMISSIS), D.C.
(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DARDANELLI
13, presso lo studio dell’avvocato TANGARI Salvatore, che li
rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
S.G. (OMISSIS), S.A.
(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE MAZZINI
88, presso lo studio dell’avvocato CORIGLIANO FILIPPO, rappresentati
e difesi dall’avvocato CORIGLIANO Mario;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 310/2007 della CORTE D’APPELLO di REGGIO
CALABRIA, depositata il 06/12/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
24/01/2013 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
udito l’Avvocato DE ROSA Brunello, con delega depositata in udienza
dell’Avvocato TANGARI Salvatore difensore dei ricorrenti che si
riporta;
udito l’Avvocato POLCHI Rodolfo, con delega dell’Avvocato CORIGLIANO
Mario, difensore del resistente che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – Con atto di citazione notificato in data 6 febbraio 2003, C. e D.S. proposero appello avverso la sentenza del 15 marzo 2002, emessa dal giudice unico presso il Tribunale di Reggio Calabria, con la quale era stata respinta la domanda di usucapione proposta nei confronti di G. e S.A. dal loro dante causa, D.F.. Gli appellanti lamentavano l’errata valutazione delle risultanze probatorie, dalle quali si deduceva che sin dagli anni 60 D.F. aveva compiuto atti e tenuto comportamenti uti dominus del fondo oggetto della domanda di usucapione nei confronti di terzi. Contestavano la rilevanza attribuita dal giudice di primo grado alla dichiarazione testimoniale dei F. ed alla lettera di rilascio del fondo del 2 novembre 1993.
2. – Con sentenza depositata il 6 dicembre 2007, la Corte d’appello di Reggio Calabria rigettò il gravame. Premesso che gli appellanti avevano indicato diverse dichiarazioni testimoniali dalle quali doveva trarsi il convincimento che il dies a quo del termine ventennale di cui all’art. 1158 cod. civ., fosse ben anteriore al 1974, osservò il giudice di secondo grado che il possesso del dante causa degli appellanti aveva un titolo diverso da quello ad usucapionem, sicchè l’interversione del titolo del possesso previsto dall’art. 1164 cod. civ., richiedeva un comportamento che non solo fosse pubblico esercizio di poteri corrispondenti all’esercizio diretto del diritto di proprietà, ma che rendesse noto pubblicamente il mutamento del titolo del precedente possesso. Tale secondo requisito certamente non sussisteva nella specie, trattandosi di comportamenti equivoci in quanto esercitabili anche nell’ambito del possesso originariamente ricevuto dalla madre degli appellati.
Quanto alla asserita inidoneità del comportamento tenuto dagli appellati nel 1991 e nel 1993 al fine di interrompere il decorso del termine ventennale ex art. 1158 cod. civ., rilevò la Corte di merito che nel 1991 gli appellati avevano compiuto, dandone incarico a B. e F.G., un tipico esercizio del diritto di proprietà, delimitando il fondo, ed avevano concesso a titolo di cortesia agli stessi F. la facoltà di attraversare il fondo per raggiungere la loro proprietà. Un tale comportamento, contrario al riconoscimento del possesso uti dominus di D.F., non poteva ritenersi inidoneo ad interrompere il decorso del termine ventennale ex art. 1158 cod. civ..
Parimenti idonea a tale scopo era poi la richiesta di rilascio del fondo in questione, che, al di là della sua qualificazione giuridica, costituisce in ogni caso espressa manifestazione della volontà dominicale di ritornare nel possesso del fondo di cui si è titolari.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono D.S. e C. sulla base di due motivi. Resistono con controricorso G. e S.A., che hanno anche depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo si deduce “difetto sulla ricostruzione del fatto – illogicità ed incoerenza dell’iter decisionale – vizio di motivazione – omesso esame di documenti e di prove testimoniali da cui emerge l’inesistenza di un titolo diverso da quello ad usucapionem – omesso esame di documenti e di prove da cui emerge anche l’interversione del possesso prima del 1974 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 1164 c.c. e artt. 125 e 116 c.p.c. – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5”. Si denuncia la omessa considerazione della circostanza che già prima del 1974 il D. aveva concesso a terzi e, in particolare, a D.G. F., deceduto nel (OMISSIS) – e che proprio a lui, riconosciutolo come proprietario, lo aveva chiesto – il permesso di passare sul fondo con l’asino per il trasporto dell’uva; nonchè della circostanza che dal 1960, o 1969, al 15 ottobre 1991, data della dichiarazione dei F. e tentata recinzione del fondo de quo, era già maturato il diritto di cui si tratta in capo al D., considerato da tutti quale proprietario. A fronte di tali emergenze processuali, il giudice di secondo grado avrebbe errato nel valutare quale atto idoneo alla interversione solo l’atto di concessione del passaggio con cavalcatura alla signora P.P. nel 1974.
Nè la Corte di merito avrebbe qualificato il titolo, dalla stessa definito solo “diverso”, in base al quale il D. deteneva il bene (solo adombrando un rapporto di colonia mai provato), sicchè non avrebbe poi potuto individuare un comportamento idoneo a snaturarlo. Secondo la ricostruzione dei ricorrenti, il D. avrebbe esercitato sin dal 1950, anno in cui era entrato nel possesso del fondo, avendolo ricevuto senza titolo dalla signora C., una signoria di fatto corrispondente al diritto di proprietà, provvedendo a dissodare e coltivare il terreno incolto e distrutto dalla guerra, impiantandovi un vigneto. La interversio possessionis, ammesso che ve ne fosse stata la necessità, si era verificata nel 1953, epoca in cui il vigneto aveva dati i primi frutti, venduti dal D., che non aveva corrisposto utili ad alcuno, come sarebbe emerso da una serie di testimonianze rese nel corso del procedimento di primo grado. Le risultanze processuali avrebbero altresì dimostrato che già dagli anni 50 il D. era riconosciuto pubblicamente come proprietario del fondo.
La illustrazione della censura si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “La concessione in godimento sena alcun titolo di un fondo ricevuto (nel 1950) materialmente da un soggetto ( D.) deve essere qualificata idonea come modo di acquisto del possesso del bene, tale da far iniziare da tale epoca il decorso per il termine utile ad usucapire con la ricezione-apprensione dello stesso bene da parte del, soggetto interessato che ha esercitato un potere di fatto sul fondo animo domini sin dal momento della consegna? E se la concessione senza titolo non fosse idonea come modo di acquisto del bene dal 1950, gli atti posti in essere dal soggetto che si comporta uti dominus, ossia: il ripristino del fondo (nel 1950) distrutto da eventi bellici, il dissodamento del fondo, la scelta delle colture da impiantarvi, la coltivazione di queste, la raccolta dell’uva e la trasformazione del frutto in mosto, la vendita di questo e l’incasso del relativo guadagno, tutto accompagnato con la pubblica consapevolezza che il soggetto fosse il padrone, la trasformazione nel tempo delle colture ivi impiantate, la concessione verbale (dal 1960 al 1969) e scritta (dal 1974 in poi) del passaggio del fondo con cavalcatura (asino per il trasporto dell’uva) accordata dal soggetto a terzi, la concessione del passaggio con autovetture, possono essere qualificati atti idonei a testimoniare l’interversio possessionis, tutti in ugual modo e senza differenziazione alcuna l’uno dall’altro e quindi ritenere maturato (dal 1950 ovvero dal 1960 o ancora dal 1969) in capo al soggetto ( D.) il diritto di proprietà per aver usucapito il fondo?”.
2. – La censura non può trovare ingresso nel presente giudizio.
2.1.- In tema di presunzione di possesso utile ad usucapionem, l’art. 1141 cod. civ., comma 1, opera se e in quanto non si tratti di rapporto obbligatorio e presuppone quindi la mancanza di prova che il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente come detenzione, in conseguenza non di un atto volontario di apprensione, ma di un atto o un fatto del proprietario possessore. In tal caso l’attività del soggetto che dispone della cosa non corrisponde all’esercizio di un diritto reale, occorrendo per la trasformazione della detenzione in possesso utile ad usucapionem il mutamento del titolo ex art. 1141 cod. civ., comma 2, che deve essere provato con il compimento di idonee attività materiali in opposizione al proprietario.
L’interversione nel possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d’esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente animus detinendi dell’animus rem sibi habendi; tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento, e quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua. A tal fine sono inidonei atti che si traducano nell’inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale, ovvero si traducano in meri atti di esercizio del possesso, verificandosi in tal caso una ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (Cass., sentt. n. 6237 del 2010, n. 2392 del 2009).
L’accertamento relativo al possesso ad usucapionem, alla rilevanza delle prove ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione è devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici o giuridici (Cass., sentt. n. 11410 del 2010, n. 4035 del 2007).
2.2. – Nella specie, la Corte di merito ha plausibilmente ricostruito la fattispecie sottoposta al suo esame, dando adeguatamente conto delle ragioni del proprio convincimento in ordine alla inidoneità degli elementi addotti dai ricorrenti al fine di datare l’interversione del possesso in epoca tale da far ritenere maturato il decorso del tempo utile al verificarsi della usucapione.
A fronte di una tale argomentata e articolata ricostruzione, i ricorrenti si limitano sostanzialmente a contrapporre inammissibilmente alle argomentazioni del giudice di merito una propria valutazione del materiale probatorio acquisito al processo.
3. – Con il secondo motivo si deduce “difetto sulla ricostruzione del fatto – illogicità ed incoerenza dell’iter decisionale – vizio di motivazione – omesso esame di documenti e di prove da cui emerge l’inesistenza di un tipico esercizio del diritto di proprietà valido ai fini interruttivi dell’usucapione per la mancata considerazione della anche emergente inattendibilità dei testi di controparte – violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1163, 1165, 1167 2943 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5”. Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere il carattere non pacifico del possesso del fondo di cui si tratta per la sussistenza di atti idonei alla interruzione del decorso del termine ventennale ex art. 1158 cod. civ., quali la delimitazione del fondo e la concessione del passaggio, atti che non risulterebbero dalle acquisizioni probatorie e la cui configurabilità sarebbe stata sostenuta sulla base delle inattendibili testimonianze dei F., interessati al rigetto della domanda. Quanto alla richiesta di rilascio del fondo operata dai S., valorizzata allo stesso scopo dal giudice del merito, i ricorrenti sostengono che tale richiesta non aveva prodotto alcuna effettiva interruzione della relazione materiale del D. con il bene.
La illustrazione della censura si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “La dichiarazione scritta e sottoscritta esclusivamente da soggetti terzi ( F. in data 15.10.1991), estranei al rapporto ed inattendibili per le dichiarazioni contrastanti rese, in quanto interessati all’acquisto del fondo e quindi al rigetto della domanda attrice, e priva di data certa, può fungere da incarico dato dai presunti titolari ( S.) del diritto di proprietà esercitanti, loro tramite, tipici esercizi del predetto diritto e pertanto essere ritenuta idonea ai fini della prova dell’effettivo esercizio di questo, facendo si che gli atti da questa scaturenti, da considerarsi quindi res inter alios acta, abbiano valenza interruttiva ai fini del decorso utile per l’acquisto del bene per usucapione, poichè idonei a viziare il possesso uti dominus del soggetto richiedente ( D.F.), rendendolo non pacifico, e considerando che il D.F. era ancora nel possesso pacifico del fondo all’epoca della sua morte (2001) e che quindi la lettera del 1993 relativa al tentativo di conciliazione innanzi all’I.P.A. (Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura) non ha interrotto il possesso, avendo l’attore (e gli eredi) continuato a possedere il bene in contrasto con tali atti, considerando altresì che questi non sono quelli previsti dall’art. 2943 c.c., determinanti l’interruzione della prescrizione acquisitiva?”.
4.- Anche tale censura risulta inammissibile.
Essa tende ancora una volta a conseguire la rivalutazione del materiale probatorio operata dalla Corte di merito, che ha correttamente attribuito efficacia, ai fini della interruzione del decorso del termine ventennale di cui all’art. 1158 cod. civ., alla delimitazione da parte degli appellati del fondo di cui si tratta, atto tipico del proprietario, nonchè alla concessione ai F. a titolo di cortesia della facoltà di attraversare il fondo stesso per raggiungere la loro proprietà, ed alla richiesta da parte degli stessi appellati di rilascio del fondo. Circostanze, codeste, contestate dai ricorrenti, che sostanzialmente richiedono una rivisitazione delle emergenze processuali, inibita nella presente sede a fronte di una ricostruzione del giudice di merito plausibile e immune da vizi logici e giuridici.
5. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del presente giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico dei ricorrenti in solido.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 24 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2013
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