La massima
Ai fini della decorrenza del termine di decadenza di cui all’art. 1495 c.c., pur dovendosi, di regola, distinguere tra vizi apparenti ed occulti – là dove per i primi detto termine decorre dalla consegna della cosa, mentre per i secondi dal momento in cui essi sono riconoscibili per il compratore – occorre comunque che il “dies a quo” si faccia risalire al momento in cui il compratore acquisisce la certezza obiettiva del vizio, non essendo sufficiente il semplice sospetto (Cass. n. 5732 del 10/03/2011). Nel caso in cui la scoperta del vizio avvenga per gradi ed in tempi diversi e successivi, in modo da riverberarsi sull’entità del vizio stesso, occorre fare riferimento al momento in cui si sia completata la relativa scoperta (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9515 del 06/05/2005).
Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza del 21 novembre 2012, n. 20564
Svolgimento del processo
S.R. titolare della ditta La B. Confezioni di con sede in … evocava in giudizio la Manifattura E. spa, lamentando che quest’ultima gli aveva fornito due partite di tessuto di cui alle fatture n. 480 del 24.2.95 e n. 500 del 28.2.95, tessuto che presentava gravi vizi costituiti da una forte perdita di consistenza e di colore dopo i lavaggi. Tali difetti erano stati contestati tempestivamente in data 11.7.1995 alla convenuta, a cui era stata comunicata di conseguenza l’intenzione di non provvedere al pagamento della residua fattura. Chiedeva quindi l’attore all’adito Pretore di Brescia, di dichiarare la risoluzione del contratto di vendita in esame per inadempimento della convenuta, con esonero della attrice dall’effettuare il pagamento dell’indicata fattura n. 500 del 28.2.95 emessa dall’E. e con condanna di quest’ultima alla restituzione del prezzo già percepito di L. 17.267.992, nonché al risarcimento dei danni subiti.
Si costituiva la Manifattura E. contestando la domanda attrice di cui chiedeva il rigetto, rilevando che quelli che venivano definiti difetti non erano altro che le caratteristiche del tessuto, note alla ditta attrice fin dal momento del suo acquisto; in via riconvenzionale insisteva per la condanna della B. al pagamento della somma di L. 7.096.736 di cui alla fattura n. 500/95.
All’esito dell’espletata istruttoria (tramite CTU), il Tribunale di Brescia accoglie la domanda attrice, dichiarando la risoluzione del contratto di vendita per inadempimento della convenuta Manifattura E. , che condannava al pagamento del risarcimento dei danni oltre al pagamento delle spese processuali. Il tribunale accertata l’esistenza dei vizi e la tempestività della loro denuncia, stabiliva che la risoluzione del contratto conseguiva all’accertata inidoneità del tessuto all’uso al quale era destinato, con conseguente effetto liberatorio dell’attrice per le prestazioni non ancora eseguite Avverso la predetta sentenza, la Manifattura E. spa formulava appello, riproponendo le eccezioni e la domanda riconvenzionale in precedenza svolte.
L’adita Corte d’Appello di Brescia con sentenza n. 284/06 depos. in data 11.4.2006 rigettava l’appello, condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado. La corte distrettuale rigettava l’eccezione di decadenza della garanzia per vizi, ritenendo che la stessa era stata tempestivamente proposta, atteso che i difetti della merce dovevano ritenersi non apparenti (non trattandosi di anomalie facilmente rilevabili), ma equiparati ai vizi occulti, per cui il termine de quo decorreva dalla loro scoperta, che si aveva quando il compratore aveva acquisito la certezza (non il semplice sospetto) che tale vizio sussistesse. Né poteva essere utilizzata per provare la tardività della denuncia la documentazione prodotta solo in appello (la lettera 11.7.95 sarebbe pervenuta solo il 25-7-95 tramite fax); era stato accertato il difetto della merce (mancata o cattiva esecuzione del finissaggio da parte del fornitore), né la risoluzione poteva ritenersi preclusa dall’accettazione manifestata dal cliente attraverso la lavorazione della stoffa fornitagli, in quanto lo stesso non era consapevole dei vizio che la stessa merce poteva avere.
Per la cassazione della sentenza ricorre M.G. sulla base di n. 4 mezzi; l’intimata non ha svolto difese.
Motivi delle decisione
1 – Con il primo motivo, la ricorrente eccepisce la violazione e falsa applicazione degli art. 345 cpc, laddove il giudice d’appello ha erroneamente respinto l’eccezione di decadenza dalla garanzia per vizi sollevata dall’appellante, ed ha ritenuto non “utilizzabile” il fax inviato dalla B. alla E. il 25.7.95. Tale “nuovo” documento avrebbe dimostrato che la lettera di contestazione dei vizi datata 11.7.95 era stata trasmessa via fax il 25/7 quindi in ritardo.
La doglianza non ha pregio.
Il giudice distrettuale ha infatti ampiamente motivato – richiamando la giurisprudenza di questa S.C. (v. Cass. Sez. U, n. 8203 del 20/04/2005) circa la mancata acquisizione del fax de quo, in quanto ritenuto non necessario ai fini della prova della non tempestività della denuncia dei vizi; a riguardo egli ha ritenuto sulla base delle emergenze istruttorie acquisite (v. riferimento alle dichiarazioni del teste B. ) che l’avvenuto tempestivo ricevimento nei termini della lettera dell’11.7.96.
Del resto si può aggiungere che dal testo del fax trascritto nel ricorso, si può dedurre che esso era diretto a “confermare” la lettera di contestazione dell’11.7.95 trasmessa e ricevuta evidentemente in precedenza.
2 – Con il 2^ motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1495 c.c. laddove la corte ha ritenuto che il dies a quo per la denunzia del vizio dovesse essere quello della sua scoperta ad opera del terzo (clienti della Manifattura E. ), anche nel caso di soggetti esperti nel settore merceologico nel cui ambito era avvenuta la vendita. A sostegno del mezzo l’esponente cita la giurisprudenza della S.C. secondo cui “L’individuazione della riconoscibilità dei vizi redibitori ex art. 1495 c.c. quale dies a quo del termine di decadenza dell’azione di garanzia va effettuata tenendo conto della qualità delle parti e della natura della cosa medesima. Pertanto, con riguardo alla vendita di merci (tessuti) suscettibili di trasformazioni (capi di abbigliamento) nel rapporto tra imprenditori esperti del settore, va effettuata con riguardo alla data in cui l’acquirente è messo in condizione di verificare la merce stessa (che normalmente coincide con il giorno della consegna: art. 1511 cod. civ.) e non con riguardo alla diversa data di consegna dalla merce dopo la trasformazione della stessa (Cass. Sez. 2, n. 10498 del 26/11/1996).
Il giudicante avrebbe disatteso questo principio avendo affermato che il requisito della riconoscibilità in questo caso non sarebbe invocabile, trattandosi di vizio occulto. Né la corte aveva precisato in base a quali requisiti dovesse ritenersi occulto un vizio di un tessuto in caso di vendita fra imprenditore esperti del settore ovvero se fosse in ogni caso richiesto un esame sommario della merce secondo una diligenza inferiore alla media o un esame più approfondito secondo una diligenza superiore alla media”.
La doglianza non ha pregio.
Secondo questa S.C. in materia di denunzia dei vizi della cosa venduta, ai fini della decorrenza del termine di decadenza di cui all’art. 1495 c.c., pur dovendosi, di regola, distinguere tra vizi apparenti ed occulti – là dove per i primi detto termine decorre dalla consegna della cosa, mentre per i secondi dal momento in cui essi sono riconoscibili per il compratore – occorre comunque che il “dies a quo” si faccia risalire al momento in cui il compratore acquisisce la certezza obiettiva del vizio, non essendo sufficiente il semplice sospetto (Cass. n. 5732 del 10/03/2011). Nel caso in cui la scoperta del vizio avvenga per gradi ed in tempi diversi e successivi, in modo da riverberarsi sull’entità del vizio stesso, occorre fare riferimento al momento in cui si sia completata la relativa scoperta (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9515 del 06/05/2005).
Ciò posto la corte territoriale si è mossa secondo i predetti principi e non v’è dubbio che il suo iter argomentativo espresso nella motivazione della sentenza appare lineare e logico e dunque pienamente condivisibile. Il giudicante ha fatto riferimento alla causa dei vizi (difetti di finissaggio), sia alla natura della merce (tessuto) ed al fatto che i particolari difetti in questione evidenziati da CTU (variazione del colore e restringimento) si erano evidenziati solo dopo la lavorazione delle merce stessa, a nulla rilevando che la vendita era avvenuta tra esperti del settore. Si tratta invero di una valutazione di merito come tale incensurabile in questa sede.
3 – Con il 3^ motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1492, 3^ co. c.c. (”Se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi, il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto….) laddove la Corte d’Appello ha ritenuto ammissibile la domanda di risoluzione del contratto di vendita anche in presenza di trasformazione del tessuto in capi d’abbigliamento, in quanto non vi era consapevolezza del vizio da parte della B. . Invero l’art. 1492, 3 co. c.c. non richiede la consapevolezza del vizio da parte dell’acquirente, ma solo il requisito oggettivo dell’impossibilità sopravvenuta della restituzione della merce. La consapevolezza del vizio non può equipararsi al mancato colpevole svolgimento da parte dell’acquirente delle verifiche e dei controlli della merce.
La doglianza non ha pregio. La Corte di merito ha puntualmente sottolineato al riguardo che “l’accettazione della merce per essere tale deve consistere in un comportamento univoco dell’acquirente di voler utilizzare la merce nella consapevolezza dell’esistenza del vizio che nel caso di specie è mancato alla B. al momento della lavorazione del tessuto, essendosi esso manifestato solo nella successiva fase di lavaggio, quando ormai i capi confezionati erano già stati immessi nel circuito della distribuzione ed avevano raggiunto il consumatore finale, come emerge dalle denunce dei successivi acquirenti del prodotto finito”.
4 – Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la ” violazione dell’art. 360, n. 5 cpc laddove la corte d’app. ha omesso del tutto di motivare sull’esistenza del diritto al risarcimento della B. e sulla liquidazione
La doglianza è inammissibile atteso che la ricorrente ha denunciato un vizio di motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) anziché quello di omessa denuncia (art. 360, n. 4 c.p.c.).
Secondo questa S.C. il rapporto tra le istanze delle parti e la pronuncia del giudice, agli effetti dell’art. 112, c.p.c. può dare luogo a due diversi tipi di vizi: se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda od un’eccezione, ricorrerà un vizio di nullità della sentenza per “error in procedendo”, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.; se, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull’eccezione, ma senza prendere in esame una o più delle questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell’ambito di quella domanda o di quell’eccezione, ricorrerà un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (vizio di nullità della sentenza o del procedimento). L’erronea sussunzione nell’uno piuttosto che nell’altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, comporta l’inammissibilità del ricorso (Cass. Sez. 3, n. 7268 del 11/05/2012; Cass. n. 9108 del 06/06/2012).
Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. Nulla per le spese.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Depositata in Cancelleria il 21.11.2012
Leave a Reply