Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 9 giugno 2015, n. 24527
Fatto e diritto
1. Con ordinanza del 04/02/2015, il Tribunale del Riesame di Napoli annullava – per assenza dei gravi indizi di colpevolezza – l’ordinanza con la quale, in data 12/01/2015, il giudice per le indagini preliminari del tribunale della medesima città, aveva applicato a D.P.I. la misura della custodia cautelare in carcere per il delitto di estorsione aggravata, commesso in concorso con S.C. , P.G. e S.S. , in danno di M.G. .
Il Tribunale, pur avendo dato atto che il M. aveva sborsato la somma di Euro 800,00 a favore di S.C. , annullava la suddetta ordinanza rilevando che:
a) non vi era alcuna prova che lo S.C. , ossia il capo dell’omonimo clan, avesse “dato mandato perché gli [ndr: al M. ] venisse richiesto l’esborso” (pag. 5 dell’ordinanza);
b) non vi era alcuna prova in ordine all’elemento materiale del contestato delitto ossia della minaccia al M. (pag. 7);
c) il D.P. si era “limitato a concordare un appuntamento con M.G. intenzionato a fare un pensiero” (pag. 8);
d) nella fattispecie, non si poteva neppure ipotizzare un caso di minaccia larvata o implicita, perché la vicenda, per come si era svolta (anche alla luce delle contrastanti e reticenti dichiarazioni del M. ), palesa “anomalie e criticità” consistenti nel fatto che: d1) era stato lo stesso M. a recarsi presso il bar del D.P. per la consegna del denaro; d2) alla consegna era presente anche la fidanzata di S.C. che, in un’intercettazione, relativamente al suddetto esborso, aveva affermato che “sì, P. è un amico e mi ha fatto un regalo, quello mi vuole bene”.
Alla stregua del suddetto quadro indiziario, il Tribunale ha quindi, concluso che la condotta del D.P. : “deve essere necessariamente contestualizzata e valutata alla luce delle captazioni effettuate in carcere (e riportate nella prima parte della OCC), che dimostrano che S.C. è coinvolto in attività di riscossione di denaro (verosimilmente illecite attese le cautele con cui ne discorrono gli indagati ed il ruolo direttivo svolto da S.C. ) di tal che in tale contesto di attività illecite l’esborso oggetto della contestazione, alla luce della non univocità degli elementi acquisiti, ben potrebbe collegarsi a rapporti relativi ad un reato diverso dalla contestata estorsione (usura o altro)”.
2. Avverso la suddetta ordinanza, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. sotto il seguente testuale profilo: “Le affermazioni del Tribunale del Riesame poste a fondamento dell’annullamento devono considerarsi assolutamente apodittiche e soprattutto non trovano alcun riscontro negli atti processuali. In particolare non risulta a questo PM, così come sostenuto dal Tribunale del Riesame, che sia anomala la consegna del denaro da parte della persona offesa al domicilio del camorristica, anzi nei territori nei quali è più pressante la forza di intimidazione del clan é sempre più usuale che gli imprenditori, di propria iniziativa si rechino a domicilio del capo clan o di suoi diretti collaboratori per mettersi a posto. Ancora meno condivisibile è l’affermazione secondo cui ulteriore dato anomalo rispetto alle modalità tipiche delle estorsioni di camorra è costituito dalla presenza di una donna, P.G. , fidanzata di S.C. , al momento della consegna la presenza di una donna rende ancora più anomala. Sono ormai tantissimi i clan nei cui donne sono coinvolte a pieno titolo, anche con ruoli direttivi, nella gestione delle attività delittuose del sodalizio criminoso. Per quanto già detto, si ritiene che la motivazione emessa dal Tribunale sia illogica e carente e vada, pertanto, censurata, non avendo adeguatamente valutato di elementi indiziari raccolti, che determinano l’esistenza di un grave quadro indiziario, dovendosi necessariamente riconoscere che la causale della dazione di denaro da parte della persona offesa agli indagati, per quanto indicato in maniera chiara ed esaustiva nella OCC annullata, non possa che essere di natura estorsiva”.
3. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate.
3.1. Dall’ordinanza del giudice per le indagini preliminari, risulta che l’episodio per cui è processo s’inserisce nell’ambito dell’operatività del clan camorristico che S.C. – nonostante si trovasse ristretto in carcere – continuava a gestire tramite i propri accoliti, fra i quali il ricorrente D.P. che venne inviato da due fratelli, tali Ma. e R. , rei di non essersi presentati al cospetto di S.S. (cfr pag. 16 ordinanza custodia cautelare in carcere).
Il giudice per le indagini preliminari, poi, da pag. 19 ss, indica una serie di intercettazioni dalle quali risultano: a) contatti fra P.G. (fidanzata di S. ) e D.P. ; b) che il M. voleva fare “un pensiero” allo S. ; c) che, in effetti, il M. consegnò alla P. una somma di denaro a seguito di un appuntamento fissato dal D.P. che aveva fatto da intermediario; d) che la P. , recatasi in carcere, riferì allo S. che aveva versato presso gli uffici del Centro Penitenziario la suddetta somma: al che “il detenuto reagisce ammonendola di non recarsi più ove era andata, in quanto non vuole che la sua fidanzata fosse coinvolta nelle attività illecite di natura estorsiva, poste in essere dal sodalizio criminoso, per paura di eventuali provvedimenti restrittivi anche nei suoi confronti da parte dell’Autorità giudiziaria [….]”: pag. 24 ordinanza custodia cautelare in carcere in cui il giudice per le indagini preliminari riassume il contenuto dell’intercettazione del 04/06/2014; e) che il M. sentito in ordine alla consegna del denaro, si mostrò reticente (pag. 27).
Alla stregua dei suddetti elementi, il giudice per le indagini preliminari, conclude che l’intercettazione del 04/06/2014, contiene una vera e propria confessione stragiudiziale in merito all’attività estorsiva contestata, come desumibile dai seguenti tre elementi (pag. 29): “1) L’assenza di rapporti leciti che possa giustificare tale dazione di denaro; D.P. parla di un pensiero; S.C. parla di un regalo. M.G. rende dichiarazioni nelle quali vi è una evidente contraddizione; costui afferma che Euro 100 gli erano stati chiesti in prestito da D.P.G. perché quest’ultimo voleva fare un regalo allo S.C. e che poi lui aveva deciso spontaneamente di fare un regalo di Euro 50,00. Ammette tuttavia di aver consegnato direttamente la intera somma a S.S. , dunque anche i 100,00 che dovevano costituire il regalo di D.P.G. (e che dunque poteva consegnare direttamente e subito a quest’ ultimo). 2) la reticenza mostrata dal M.G. , che ha mentito sulla somma (non vi è motivo di ritenere che invece menta la P. allo S.C. nell’indicare la somma ottenuta) e sulla causale della dazione;
se la consegna di denaro avesse avuto una causale lecita tale reticenza non troverebbe alcuna giustificazione. 3) La reazione di S.C. alla notizia che proprio la P. era andata a prendere i soldi; se la causale di quella dazione fosse stata realmente un regalo, o comunque lecita, detta reazione non avrebbe una spiegazione logica. Deve pertanto concludersi che la somma di denaro sia stata versata dal gestore del pub a titolo di estorsione; peraltro il M. è evidentemente consapevole che il destinatario della somma è S.C. , che al giugno 2006 era detenuto in esecuzione della OCC 116/14 che ne aveva accertata la qualità di capo dell’omonimo clan (e che questo dato nella cittadina di Benevento non fosse noto, è assolutamente inverosimile). Invero, il M. pur nella reticenza che ha contraddistinto il suo contributo, ha dichiarato di aver saputo da subito che i soldi erano destinati a S.C. , tanto da averli consegnati a Si. , il fratello minore; questo presuppone la spendita del nome di S.C. ”.
3.2. In punto di diritto, va rammentato che il Tribunale, essendo l’organo deputato al controllo dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari, pur avendo un’ampia discrezionalità nella valutazione del merito, tuttavia, così come il giudice di appello, deve confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato, e, nel caso di dissenso, deve illustrare le ragioni fattuali per le quali non ritiene condivisibili le conclusioni alle quali il giudice per le indagini preliminari è pervenuto.
Orbene, nel caso di specie, come ha rilevato il Pubblico Ministero ricorrente, innanzitutto, le due circostanze ritenute dal Tribunale come anomale (e cioè la consegna del denaro da parte della persona offesa al domicilio del camorrista; la consegna effettuata ad una donna), non costituiscono affatto massime d’esperienza che possano, in quanto tali, essere valorizzata ai fini assolutori.
In secondo luogo, va dato atto che il tribunale ha riconosciuto che vi fu una consegna di denaro.
Il punto di frizione fra la ricostruzione del giudice per le indagini preliminari e quella del tribunale è costituito dal motivo per cui il M. si determinò ad effettuare “un pensiero” per lo S. .
Il tribunale ha ritenuto che gli elementi acquisiti non sarebbero univoci perché l’esborso oggetto della contestazione potrebbe ricollegarsi a rapporti diversi da quelli di un’estorsione (come ad es. l’usura): è, però, su questo punto che la motivazione del tribunale mostra tutta la sua manifesta illogicità perché non spiega minimamente sulla base di quali elementi fattuali ha ritenuto di formulare quell’ipotesi.
Va, infine, anche rilevato che la motivazione dev’essere effettuata alla stregua della valutazione unitaria di tutti gli elementi probatori, non potendo essere i medesimi valutati in modo frazionato: ma, a questo pacifico principio di diritto non pare che il tribunale si sia adeguato, non avendo ben focalizzato quale fossero i rapporti fra il D.P. e lo S. ; quali i rapporti fra il M. e lo S. ; quale significato potesse avere, anche nel gergo camorrista, la parola “pensiero” che al M. era stato richiesto di fare in favore dello S. ; se quel termine fosse compatibile con l’ipotizzata usura.
In conclusione, l’impugnazione dev’essere accolta e gli atti trasmessi al Tribunale di Napoli il quale, nel nuovo esame, provvederà a colmare le lacune motivazionali innanzi evidenziate.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Napoli per nuovo esame.
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