Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza  8 giugno 2015, n. 11770

Svolgimento del processo

1.- L’avv. L.G. citava dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero degli Affari esteri, il Dott. V.G.M., già Console generale d’Italia a Zurigo, ed il capo dell’Ufficio consolare sig.ra P.A. per ottenere il risarcimento dei danni a lui derivati dal provvedimento, che assumeva adottato dal V. e posto in esecuzione dalla P., con cui era stata eliminata dal sito web del Consolato la lista degli studi legali – tra cui quello dell’istante professionista – accreditali presso l’Autorità consolare per l’assistenza dei cittadini italiani in Svizzera.
2.- Dichiarato dal Tribunale il difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo e proposto appello dal L., la Corte d’appello di Roma con sentenza del 12.10.12 – per quanto qui rileva – accoglieva parzialmente l’impugnazione, confermando il difetto di giurisdizione e riformando la sentenza in punto di spese.
Rilevava la Corte che l’inserimento dei nominativi degli avvocati nei siti web dei Consolati costituisce attività discrezionale del capo missione, diretta ad indicare ai connazionali residenti all’estero professionisti affidabili, di modo che la posizione soggettiva degli esercenti la professione legale inseriti nelle liste andava qualificata come interesse legittimo, essendo l’inserimento negli elenchi dipendente dal provvedimento dell’autorità e non da un suo mero comportamento materiale. L’azione risarcitoria per la lesione dell’interesse legittimo rientrava nella giurisdizione del giudice amministrativo, potendo essere esercitata anche indipendentemente dalla tutela demolitoria avverso il provvedimento impugnato, dovendosi escludere là dipendenza del risarcimento del danno dal previo annullamento dell’atto illegittimo e pregiudizievole.
3.- L’avv. L. propone ricorso per cassazione illustrato da memoria. Rispondono con controricorso e memoria il Ministero e la P..

Motivi della decisione

4.- Il ricorrente avv. L. deduce tre motivi di ricorso.
4.1.- Con il primo motivo sostiene che i giudici di merito hanno determinato erroneamente la giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che la domanda ha ad oggetto il risarcimento non del danno connesso ad un provvedimento amministrativo illegittimo, bensì di quello derivante da alcuni comportamenti, lesivi del suo diritto all’immagine e del suo diritto al libero esercizio della professione forense, posti in essere dai due pubblici funzionari. Costoro avrebbero distratto la clientela dal professionista mediante un comportamento denigratorio e diffamatorio e mediante la pubblicizzazione dell’attività professionale svolta da soggetti privi dei requisiti di legge; nonché per il tramite dell’oscuramento della pagina del sito web del Consolato recante i nominativi dei professionisti accreditati (tra cui quello dell’odierno ricorrente), allo stesso tempo diffondendo informalmente i nominativi di soggetti non abilitati all’esercizio della professione. Il risarcimento del danno conseguente è dunque di competenza del giudice ordinario, dato che il comportamento censurato costituisce violazione dell’art. 2043 c.c., in quanto posto in essere in carenza e con straripamento di potere.
4.2.- Con il secondo motivo l’avv. L. rileva che l’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo deriva dall’erronea qualificazione della sua pretesa quale risarcimento di un interesse legittimo pregiudicato da un provvedimento amministrativo, mentre invece egli richiede il risarcimento del danno apportato al suo diritto all’immagine ed all’esercizio professionale. Il danno lamentato non è quello conseguente al mero oscuramento della pagina web, atteso che questo costituisce solo uno dei molteplici comportamenti lesivi tenuti dai due funzionali. Quindi, non consistendo il petitum sostanziale nella cessazione degli effetti del provvedimento amministrativo, né nel risarcimento del danno conseguente, non scatta la competenza esclusiva del giudice amministrativo, vertendosi in materia di diritti incomprimibili (diritto all’immagine e della personalità) la cui tutela è rimessa al giudice ordinario.
4.3.- Con il terzo motivo è dedotta omessa valutazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché omessa ammissione dei mezzi di prova richiesti. Si censura in questo caso che il giudice di merito abbia fondato la sua decisione avendo a riferimento solo l’oscuramento del sito web del Consolato, senza tener conto degli ulteriori comportamenti lesivi posti in essere dal V. e dalla P. , che, se accertati, avrebbero dato ben altro fondamento alla pretesa risarcitoria. In particolare si lamenta l’omessa motivazione in punto di non ammissione dei mezzi istruttori richiesti al riguardo.
5.- Deve premettersi che il giudice dell’appello, riprendendo l’impostazione adottata dal Tribunale, ha qualificato la domanda dell’avv. L. come richiesta di risarcimento del danno derivato dall’esercizio di attività amministrativa rimessa alla totale discrezionalità dell’autorità. Il giudice ha ricondotto l’azione nella specie esercitata dalla Pubblica amministrazione nell’ambito delle funzioni e dei poteri propri degli uffici consolari italiani all’estero previsti dall’art. 45 del d.P.R. 5.01.67 n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli Affari esteri), ritenendo che l’allestimento (e poi l’oscuramento) di una apposita sezione del sito web del Consolato, recante l’indicazione di alcuni professionisti, costituisse estrinsecazione della funzione di assistenza dei connazionali, ove gli stessi avessero la necessità di fare ricorso all’assistenza di un legale.
Tale impostazione è contestata dall’odierno ricorrente, il quale sostiene che la sua domanda avrebbe ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti al comportamento tenuto dai due funzionali nei suoi confronti, che si sarebbe esplicitato in una pluralità di azioni rivelatesi per lui fonte di pregiudizio, a prescindere dall’adozione di specifici provvedimenti amministrativi.
La censura è priva di riscontro contenutistico, atteso che dall’esame del ricorso per cassazione non è dato ricostruire con esattezza la formulazione specifica della domanda presentata al giudice. Tale carenza si presenta particolarmente grave, ove si consideri che i controricorrenti contestano l’assunto in questione ed eccepiscono l’inammissibilità del ricorso, sostenendo che in cassazione l’avv. L. deduce una tesi diversa da quella sostenuta nel merito, ove si faceva derivare il danno dalla illegittimità del provvedimento che aveva disposto la cancellazione della pagina web. Lo stesso ricorrente, anzi, in un passo del suo ricorso (pag. 4) non esclude che il V. e la P. possano aver “agito per il tramite dell’azione amministrativa”, ed a tale proposito sottolinea quello che a suo avviso sarebbe il vizio che avrebbe inficiato l’azione stessa.
All’esito di tali considerazioni, al Collegio di legittimità non iss&a&e che rimanere nell’ambito del percorso tracciato dal giudice di merito, il quale ha accertato che l’oscuramento del sito web (per quanto riguarda la posizione dei professionisti esercenti attività legale) fu disposto dal Console generale con provvedimento del 3.04.07, ed ha affermato che gli eventuali abusi di ufficio denunziati dall’esponente sono irrilevanti ai fini del riparto della giurisdizione. Trattasi di un accertamento compiuto dal giudice in termini rigorosamente logici, in adempimento del suo potere-dovere di interpretare la domanda, che in questa sede il Collegio di legittimità non ha modo di porre in dubbio.
6.- Da tale impostazione della domanda deriva che, come correttamente sostenuto dal giudice di merito, l’avv. L. non può lamentare la violazione di un diritto, essendo la sua posizione soggettiva qualificabile come interesse legittimo, in ragione del carattere autoritativo della potestà amministrativa contestata e dell’ampio potere discrezionale ad esso riconnesso. Essendo individuabile la fonte della reclamata responsabilità della Pubblica amministrazione – secondo l’assunto di parte attrice — nella adozione di un provvedimento amministrativo riconducibile a detta potestà, deve essere affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi disciplina legislativa applicabile ratione temporis (art. 35 del d.lgs. 31.03.98 n. 80, come modificato dall’art. 7 della l. 21.07.00 n. 205).
7.- Proseguendo in questa linea argomentativa e passando all’esame dei tre motivi di ricorso, da trattare in unico contesto in ragione del collegamento tra di loro esistente, deve innanzitutto richiamarsi il principio affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze 6.07.04 n. 204 e 11.05.06 n. 191, secondo cui è conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a comportamenti della Pubblica amministrazione collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, ma non di quelle aventi ad oggetto comportamenti posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto. “L’attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo della tutela risarcitoria — non a caso con la medesima ampiezza, e cioè sia per equivalente sia in forma specifica, che davanti al giudice ordinario, e con la previsione di mezzi istruttori, in primis la consulenza tecnica, schiettamente civilistici (art. 35, comma 3) — si fonda [infatti] sull’esigenza, coerente con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma non si giustifica quando la pubblica amministrazione non abbia in concreto esercitato, nemmeno mediatamente, il potere che la legge le attribuisce per la cura dell’interesse pubblico” (così Corte cost. n. 191 del 2006).
Su tale base si inserisce il principio affermato da queste Sezioni unite che la concentrazione della tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo si verifica quando il danno patito sia conseguenza immediata e diretta della dedotta illegittimità del provvedimento contestato, non costituendo il risarcimento del danno ingiusto una materia di giurisdizione esclusiva ma solo uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto a quello demolitorio. Ne deriva che, qualora si tratti di provvedimento amministrativo rispetto al quale l’interesse tutelabile è quello pretensivo, il soggetto che può chiedere la tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo è colui che, a seguito di una fondata richiesta, sì è visto ingiustamente negare o ritardare il provvedimento richiesto; qualora, invece, si tratti di provvedimento rispetto al quale l’interesse tutelabile si configura come oppositivo, il soggetto che può chiedere la tutela risarcitoria dinanzi al medesimo giudice è soltanto colui che è portatore dell’interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio direttamente pregiudicati dal provvedimento contestato (sentenza 23.03.11 n. 6594).
All’applicazione di tale principio non osta la circostanza che la richiesta di risarcimento sia presentata disgiuntamente dall’impugnazione del provvedimento amministrativo contestato, atteso che la giurisdizione del predetto giudice non dipende dalla contemporaneità della richiesta ma dalla riconducibilità del danno ad un provvedimento, sicché sussiste anche nel caso di domande avanzate prima o dopo o, addirittura, senza instaurazione di un giudizio di tipo demolitorio (sentenze 10.11.10 n. 22809, 3.03.10 n. 5025,23.12.08 n. 30254).
8.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, pronunziando a Sezioni unite, così provvede:
a) rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000 (tremila) per compensi in favore di ciascuno dei due controricorrenti, oltre le spese prenotate a debito per il Ministero degli Affari esteri ed Euro 200 (duecento) per esborsi, oltre Iva e Cpa, per P.A. , nonché le spese forfettarie nella misura del 15% per entrambi;
b) ai sensi dell’art. 1, c. 1 quater, del d.P.R. 30.05.02 n. 115, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del c. 1 bis dello stesso art. 13.

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