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Suprema Corte di Cassazione

sezione ii
Sentenza 8 gennaio 2014, n. 142

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GOLDONI Umberto – Presidente
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere
Dott. NUZZO Laurenza – rel. Consigliere
Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 30504/2007 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.n.c., “IN PERSONA DEI SOCI E LEGALI RAPP.TI, P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 523/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 29/03/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/10/2013 dal Consigliere Dott. LAURENZA NUZZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 1.10.1999, l’impresa (OMISSIS) s.n.c. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Verbania, (OMISSIS) esponendo: con contratto 3-4.12.98 aveva appaltato al convenuto i lavori di ristrutturazione di un fabbricato in (OMISSIS); in corso d’opera il (OMISSIS) aveva verbalmente ordinato l’esecuzione di lavori extra; a causa del mancato saldo dei lavori commissionati,per complessive lire 109.681.150, di cui aveva percepito acconti per sole lire 57.272.727, esso attore aveva comunicato al committente di ritenere ormai risolto il contratto per inadempimento.
Chiedeva, quindi, la declaratoria di risoluzione del contratto con condanna del convenuto al pagamento della somma di lire 52.408.423 oltre accessori.
Il (OMISSIS), costituitosi, contestava di aver commissionato lavori extra-capitolato e sosteneva di aver subito danni a seguito dell’illegittima sospensione dei lavori e della indebita occupazione del cantiere. Chiedeva, pertanto, la dichiarazione di intervenuta risoluzione del contratto per colpa della impresa (OMISSIS) s.n.c., con compensazione dell’eventuale residuo credito della stessa con i danni da lui subiti.
Espletata C.T.U. il Tribunale, con sentenza del 19.1.2004, dichiarava la risoluzione del contratto di appalto’ per colpa del (OMISSIS) e lo condannava a corrispondere alla impresa (OMISSIS) la somma di euro 19.385,71 (pari alla differenza tra il valore delle opere eseguite e l’importo corrisposto dal committente a titolo di acconto) oltre IVA, interessi legali, rifusione delle spese processuali e di C.T.U..
Avverso tale decisione il (OMISSIS) proponeva appello cui resisteva la impresa (OMISSIS).
Con sentenza depositata il 29.3.2007 la Corte d’Appello di Torino rigettava l’appello condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali del grado. Rilevava la Corte di merito: la notifica dell’atto di citazione era rituale in quanto eseguita a mani del convenuto, presso la sua abitazione in (OMISSIS), nell’ambito della circoscrizione dell’ufficiale giudiziario procedente; affermava che il convenuto era in grado di conoscere a lingua italiana sicche’ non era necessaria la traduzione in lingua tedesca dell’atto introduttivo del giudizio; era contrattualmente prevista la possibilita’ per la committenza di disporre anche solo verbalmente delle varianti e dei lavori extra capitolato: la sospensione dei lavori era stata determinata dal grave inadempimento del convento per non aver corrisposto gi acconti pattuiti. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso (OMISSIS) formulando sei motivi con i relativi quesiti di diritto.
Resiste con controricorso l’impresa (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
1) violazione o falsa applicazione di norma di diritto e/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, avuto riguardo alla mancata traduzione in lingua tedesca dell’atto introduttivo ed alle modalita’ della sua notificazione, con conseguente nullita’ della sentenza, avuto riguardo anche alla eccepita inosservanza del termine a comparire previsto in citazione, inferiore a quello previsto dall’articolo 163 bis c.p.c. con riferimento alla residenza in (OMISSIS) del convenuto;
erroneamente la Corte d’Appello aveva ritenuto valida la notifica dell’atto di citazione benche’ eseguita presso l’abitazione di vacanze in (OMISSIS) del (OMISSIS), la cui residenza e domicilio era in (OMISSIS); tanto aveva precluso allo stesso di svolgere compiutamente la propria difesa per non aver potuto coltivare la domanda riconvenzionale ne’ la chiamata di terzo, stante anche la mancata traduzione dell’atto introduttivo nella lingua tedesca conosciuta dal ricorrente;
2) violazione o falsa applicazione di norme di diritto e/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, “avuto riguardo alla produzione documentale, al mancato avviso ad uno dei C.T. di parte, al mancato termine per le osservazioni alla C.T.U.; nullita’ della C.T.U.”; la Corte di merito, ribadendo la statuizione del Tribunale, non aveva ammesso i documenti venuti ad esistenza dopo il maturare delle preclusioni istruttorie,pur essendone possibile la produzione fino alla precisazione delle conclusioni; il C.T.U., nel suo supplemento peritale del 13.1.2003, aveva dato atto, inoltre, di non aver convocato il C.T. di parte, (OMISSIS), sicche’ sussisteva la nullita’ della C.T.U.;
3) violazione o falsa applicazione di norma di diritto e/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia attinente alla mancata imputazione all’impresa della risoluzione del contratto di appalto,nonostante fosse stata inviata alla societa’ appaltatrice diffida ex articolo 1454 c.c., per i ritardi nell’esecuzione delle opere e per “gli abbandoni di cantiere”, diffida comportante la risoluzione “pleno iure” del contratto;
4) violazione o falsa applicazione di norma di diritto e/o omessa, insufficiente della controversia in relazione al “quantum” dovuto per le opere eseguite, tenuto conto che le opere extra contratto non era state assentite per iscritto ex articolo 1659 c.c., e considerato che il teste Piazza aveva contestato all’impresa appaltatrice danni da infiltrazioni e l’esecuzione di lavori senza previo assenso scritto del committente;
5) violazione o falsa applicazione di norma di diritto e/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa punto decisivo della controversia, avuto riguardo all’esito della C.T.U., posto che le opere in economia erano state conteggiate dal C.T.U. sulla base di documentazione indicata dal C.T. dell’impresa, senza che sul punto fosse stata svolta attivita’ istruttoria e benche’ dette opere non fossero state autorizzate dalla Direzione dei lavori e dalla committente;
6) violazione o falsa applicazione di norma di diritto e/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’accoglimento della domanda di danni ai sensi dell’articolo 1224 c.c.; erroneamente la Corte di merito aveva attribuito natura di credito di valore al residuo credito liquidato in favore della impresa (OMISSIS), pur trattandosi di credito di valuta insuscettibile di rivalutazione monetaria, avendo l’appaltatrice agito per ottenere il corrispettivo di lavori edili oggetto del contratto.
Il primo motivo di ricorso, sotto il profilo della inosservanza del termine minimo a comparire, e’ infondato.
La Corte di merito ha disatteso il motivo di appello sul punto, affermando che l’atto di citazione era stato notificato al convenuto “a mani proprie”, ex articolo 138 c.p.c., presso il suo domicilio in (OMISSIS) e, precisamente, nella sua casa di abitazione “ove il (OMISSIS) ha mostrato di avere un centro stabile di interessi patrimoniali e di vita (come vieppiu’ attestato dalla stessa vertenza contrattuale oggetto di lite e concernente la ristrutturazione della casa da lui cola’ posseduta e personalmente abitata)”.
Sulla base di tale accertamento in fatto, sorretto da congrua motivazione, come tale incensurabile in sede di legittimita’, correttamente il giudice di appello ha ritenuto rituale la notificazione suddetta, evidenziando che il maggior termine a comparire di cui all’articolo 163 bis c.p.c., non andava concesso al convenuto sol perche’ cittadino straniero, avuto riguardo alla “ratio” di tale norma che prevede un termine a comparire maggiore solo se “il luogo di notificazione” si trova non Italia ma all’estero, dovendosi presumere la necessita’ di un maggior tempo per apprestare, dall’estero, una congrua difesa in Italia. Nella specie, quindi, una volta accertato che il convenuto aveva un proprio domicilio anche in (OMISSIS), avendo ivi stabilito il proprio centro stabile di interessi patrimoniali e di vita, in aderenza a detta “ratio”, occorre avere riguardo, ai fini del termine di comparizione, non ai luoghi delle possibili notificazioni, bensi’ al luogo in cui il cui la notificazione e’ realmente e validamente avvenuta (V. Cass. n. 1616/1987; 7978/1991).
Deve, comunque, ribadirsi la validita’ della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio eseguita a mani proprie del destinatario, posto che, secondo la testuale previsione dell’articolo 138 c.p.c., (“l’ufficiale giudiziario esegue la notificazione di regola mediante consegna della copia nelle mani proprie del destinatario… ovunque lo trovi”), la notificazione a mani e’ sempre valida, a prescindere dal fatto che essa non sia avvenuta presso la casa di abitazione anagrafica del destinatario (Cfr. Cass. n. 12373/2002; n. 1887/06), stante l’idoneita’ di tale forma di notificazione “a sanare ogni nullita’ della notificazione stessa” (Cass. n. 3015/1986) ed a garantire l’immediata e sicura conoscenza dell’atto da parte del destinatario.
Quanto all’altro profilo del motivo in esame, la Corte di merito ha congruamente motivato la conoscenza della lingua italiana da parte del (OMISSIS) con riferimento al risalente insediamento in (OMISSIS) ove questi riceveva abitualmente, tra l’altro, la corrispondenza in italiano, alla redazione in lingua italiana del contratto di appalto da lui sottoscritto senza l’assistenza di un interprete o traduttore di lingua tedesca,alla sua presenza personale, senza richiesta di interprete,a talune udienze del giudizio di primo grado ecc… (V. pag. 9-10 sent. imp.); risulta, pertanto, rispettato il disposto dell’articolo 122 c.p.c., laddove prevede che la lingua degli atti del processo e’ quella italiana e che alla eventuale traduzione debba farsi luogo solo nel caso in cui il convenuto non conosca quella lingua, verifica, peraltro, demandata in via esclusiva al giudice di merito,previa necessaria specifica denuncia dell’interessato ed insindacabile in sede di legittimita’ ove, come avvenuto nel caso in esame, la valutazione al riguardo sia immune di vizi logici e giuridici (Cass. n. 11038/2004).
Quanto alla seconda censura e’ sufficiente rilevare che la Corte di merito ha dato conto della insussistenza del lamentato difetto di contraddittorio in ordine all’espletamento della C.T.U., evidenziando, fra l’altro, che era stata disposta una relazione suppletiva, “ritenuta necessaria proprio a seguito delle osservazioni dedotte dal (OMISSIS) alla consulenza tecnica di ufficio 19.10.02”.
Priva di fondamento e’ la terza doglianza, posto che la risoluzione del contratto di appalto fra le parti e’ stata confermata, dal giudice di appello sulla base dell’accertato grave inadempimento del (OMISSIS), per non avere questi dato seguito all’accordo sotteso alla lettera racc. 18.5.99, omettendo il versamento di un ulteriore acconto di lire 20.000.000.
Con riferimento al quesito formulato in relazione al quarto motivo (se “puo’ l’appaltatore richiedere il pagamento di opere extracontratto ove non assentite per iscritto dalla committenza ex articolo 1669 c.c.) e’ sufficiente rilevare che la Corte territoriale ha, sulla base di una corretta interpretazione della clausola contrattuale n. 5, che prevedeva l’esecuzione di lavori aggiuntivi “solo dopo autorizzazione della Decreto Legge o del committente”, consentiva la possibilita’ di disporre anche solo verbalmente delle varianti e dei lavori extracapitolato. Per pacifica giurisprudenza, del resto, l’appaltatore puo’ provare, con ogni mezzo di prova ed anche in via presuntiva, che le variazioni dell’opera appaltata siano state richieste dal committente,essendo richiesta la prova scritta dell’autorizzazione di quest’ultimo solo ove le variazioni delle opere siano dovute ad iniziativa dell’appaltatore (Cass. 3040/95; n. 7242/2001).
Il quinto motivo concernente le risultanze della C.T.U. in ordine alla quantificazione dell’importo delle opere eseguite, non individua le ragioni della decisione, laddove la sentenza ha evidenziato, nel conformarsi alle conclusioni del C.T.U., che il rinnovo della C.T.U. richiesta dall’appellante mirava a sovvertire risvolti tecnici ed economici “gia’ ampiamente scandagliati in primo grado ne’ l’appellante aveva dedotto elementi idonei a disattendere quanto accertato dalla C.T.U. e relativa integrazione”. Il motivo e’, quindi, inammissibile in quanto si risolve nella contestazione di un accertamento in fatto e nella pretesa al rinnovo della C.T.U., possibilita’ rientrante nei poteri discrezionali del giudice di merito, senza che il provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimita’ quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza in base alle risultanze probatorie gia’ acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti la superfluita’ dell’indagine richiesta (Cass. n. 20227/2003; n. 20227/2010).
Va, infine, disatteso il sesto motivo,posto che la sentenza ha correttamente qualificato come credito di valore la somma ancora dovuta dal committente per i lavori eseguiti dall’impresa appaltatrice, ravvisandone la natura risarcitoria in relazione alla pronuncia di risoluzione del contratto di appalto ex articolo 1453 c.c., riconoscendo, di conseguenza, la rivalutazione monetaria di detta somma, in aderenza alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui in caso di risoluzione del contratto per inadempimento, e’ fatto salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno da svalutazione monetaria sul corrispettivo dovuto dalla parte inadempiente, costituendo essa una forma di risarcimento, corrispondente alla liquidazione del danno complessivo, avuto riguardo al turbamento delle aspettative economiche della parte adempiente (Cass. n. 14213/1999; n. 5002/94).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 3.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

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