Nella “divisio inter liberos” è escluso che possa trovare applicazione l’istituto della collazione, considerato che lo stesso, essendo diretto ad accrescere la massa che deve effettivamente dividersi tra gli eredi, può operare soltanto nei rapporti in cui tra i coeredi si instauri una comunione; il che non si verifica nella divisione suddetta, con la quale il testatore abbia già provveduto, a propria discrezione, tenendo conto dei bisogni e delle attitudini di ciascun erede, a determinare le quote loro spettanti, che (fatto salvo il rispetto delle riserve in favore dei legittimari), possono essere anche disuguali.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II
SENTENZA 23 maggio 2013, n.12830
Ritenuto in fatto
Con atto notificato il 3.9.98 G..S. citò al giudizio del Tribunale di Grosseto i propri fratelli A. e C. , al fine di sentir definire i rapporti ereditari derivanti dalle successioni dei comuni genitori, S.M. e C.R. , rispettivamente deceduti in (omissis) ed il …, lasciando alcuni immobili e quote di comproprietà di altri, siti in … e nell’isola suddetta, oltre a depositi postali, ciascuno avendo redatto un testamento olografo.
Costituitisi separatamente i convenuti, non si opposero alla divisione, purché limitata ai beni lasciati in comunione ereditaria, diversi da quelli formanti oggetto di rispettive disposizioni a titolo particolare, contestarono entrambi l’ammontare del saldo del libretto postale, esistente alla data del decesso della madre, indicandolo in L. 10.000.000, anziché in quello di L. 50.000.000 esposto dall’attore; A. propose, poi, domanda riconvenzionale in relazione all’importo di L. 237.000.000 circa che assumeva aver dato in prestito ai genitori.
Il tribunale adito, sulla scorta delle risultanze documentali e dell’interrogatorio formale dei convenuti, con sentenza non definitiva del 21.2-29.4.02, dichiarava esclusi dalla comunione i beni immobili di cui i testatori avevano disposto con rispettivi “prelegati”, al riguardo desumendo la volontà dei predetti, di nominare eredi universali i tre figli, dall’aver disposto che i rimanenti beni venissero divisi in quote uguali, accertava in L. 10.000.000 l’importo della somma lasciata su un libretto al portatore e disponeva il prosieguo del giudizio per le operazioni di scioglimento della comunione e per la prestazione, da parte di A. , di giuramento suppletorio sulla circostanza che egli avesse mutuato la somma di L. 237.000.000 ai genitori.
Proposto appello da G..S. , resistito sia da S.A. da C. , la Corte di Firenze, con sentenza del 21.1-23.5.05 rigettava il gravame, con condanna dell’appellante alle spese, sulla base delle seguenti argomentazioni:
a) non avendo la validità dei testamenti formato oggetto del giudizio di primo grado ed essendo pertanto inammissibile una domanda al riguardo in grado di appello, era da escludere che il primo giudice avesse affermato con efficacia di giudicato l’inesistenza di eventuali nullità di tali atti, dovendosi la relativa affermazione di validità considerare quale assenza di impedimenti alla divisione, sicché restava impregiudicata la facoltà di chiedere in altra sede “la verifica della autenticità della sottoscrizione della testatrice C. “;
b) quanto all’importo dei titoli postali, in difetto di diversa prova incombente sull’appellante, tale non potendo ritenersi il mero elenco informale prodotto da parte di quest’ultimo, correttamente il primo giudice aveva accertato in L. 10.000.000 la relativa consistenza, nei limiti di quanto ammesso dai convenuti;
c) avendo i testatori, come loro consentito dall’art. 734 c.c., voluto disporre una divisio inter liberos, anziché dare disposizioni per la futura divisione dell’asse ereditario, andava confermata pur con diversa motivazione, la decisione del primo giudice, che aveva escluso dalla comunione i beni oggetto di singole assegnazioni nelle due schede testamentarie, che non consentivano incertezze circa la volontà dei testatori di disporne “in favore non già dei chiamati, globalmente considerati, bensì di ciascuno degli stessi, mantenendo invece la comunione ereditaria per gli altri immobili…per i quali l’attribuzione è stata fatta in parti uguali”, divisione avente l’effetto di impedire la nascita della comunione ereditaria e quello ulteriore di rendere “neppure ipotizzabile l’applicazione dell’art. 733 c.c. giacché i testatori non hanno inteso affatto stabilire modalità di divisione tra gli eredi, al fine della formazione delle singole quote”;
d) il motivo relativo all’ammissione del giuramento suppletorio era inammissibile, in quanto attinente ad un’ordinanza, che non avrebbe potuto pregiudicare l’esito della causa, restando al rimessa alla definitiva decisione del tribunale l’ammissibilità e rilevanza del mezzo istruttorio.
Contro tale sentenza ha proposto G..S. ricorso per cassazione affidato a quattro motivi di censura.
Hanno resistito S.A. e C. con controricorso, contenente ricorso incidentale con unico motivo.
A seguito del decesso di entrambi i difensori del ricorrente, il medesimo, in esito all’invito disposto con ordinanza interlocutoria dell’8.6.2012, si è ritualmente costituito con nuovo difensore, il quale ha ribadito la proposta impugnazione.
È stata, infine, depositata una memoria da parte del difensore dei controricorrenti.
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la riunione dei reciproci ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo di quello principale si deduce ‘omessa, insufficiente e quanto meno contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia’, con riferimento alla confermata limitazione in L. 10.000.000 dell’importo dei depositi postali, avendo la Corte d’Appello ‘scambiato e confuso il contante esistente nei libretti bancari dei de cuius con i buoni postali fruttiferi altrettanto esistenti nei patrimoni degli stessi’, senza tener conto delle ammissioni al riguardo delle controparti, che avrebbero riconosciuto l’esistenza sia di contanti, depositati in libretti bancari per circa L. 50.000.000, sia di buoni postali fruttiferi per circa Euro 104.938, 00.
Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello ha confermato, senza incorrere in alcuna contraddizione o lacuna argomentativa/correttamente applicando i principi in tema di onere della prova, il capo della decisione del primo giudice relativo all’ammontare dei depositi postali, che aveva accertato in dieci milioni di lire, nei limiti delle ammissioni dei convenuti, l’importo della relativa giacenza, al riguardo osservando che nessuna prova di diverso ammontare poteva ritenersi fornita dall’attore, che si era limitato a produrre un mero elenco informale, privo di alcuna attestazione dell’ente postale e, pertanto, di valore probatorio.
L’esame della comparsa di costituzione e risposta dei convenuti (reso possibile, in questa sede, dal profilo di censura nel quale sostanzialmente si adombra la violazione del principio processuale di ‘non contestazione’, derivante dall’art. 167 c.p.c.) smentisce, del resto, l’assunto del ricorrente, secondo cui vi sarebbe stato ‘il riconoscimento del deposito di contanti in conti bancari’, rilevandosi dal contenuto di tale atto difensivo che i comparenti ammisero soltanto l’esistenza di un libretto postale, precisandone in L. 10.000.000 il relativo saldo, senza alcun accenno ad eventuali buoni postali fruttiferi, precisazione che chiaramente implicava la negazione di qualsiasi diversa giacenza; né un’ammissione in tal senso potrebbe inferirsi dalle richieste, che si assumono, nel mezzo d’impugnazione, concordemente formulate dalle parti nel verbale d’udienza del 28.1.2000 (peraltro non prodottole rinvenibile in atti), posto che, come pur si deduce nel motivo, tali richieste riguardavano soltanto lo svincolo della somma di L. 10.000.000, vale a dire di quella ammessa dai convenuti nella comparsa di risposta.
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 661 e 734 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censurando l’argomentazione di cui sub c) in narrativa, poiché la corte di merito, pur inquadrando le attribuzioni testamentarie di beni nella previsione di cui all’art. 734 c.c. e non confermandone la qualificazione di ‘prelegati’, avrebbe errato nell’affermare che il risultato pratico non sarebbe cambiato relativamente alla formazione delle quote, non tenendo conto delle sostanziali differenze tra i due istituti, con le relative conseguenze sull’ammontare dell’attivo e passivo ereditario, in tema di responsabilità del legatario e di ammissibilità e necessità della collazione.
Il motivo non merita accoglimento, non risultando sorretto da alcun interesse concretamente meritevole di tutela evidenziato dal ricorrente, il quale, a parte le teoriche affermazioni esposte, non ha lamentato alcuna lesione dei propri diritti di erede legittimario, tale da giustificare la riduzione delle attribuzioni dei beni fatte dal testatore con la divisio inter liberos, che non contesta essere stata nella specie operata, tuttavia infondatamente richiamando la necessità di collazione.
Tale istituto, limitato al conferimento nella massa ereditaria delle donazioni non contenenti l’espressa dispensa, viene nella specie impropriamente richiamato, essendo incompatibile con la divisione ex art. 734 c.c., con la quale il testatore abbia ritenuto di effettuare direttamente la spartizione dei suoi beni (o di parte degli stessi) distribuendoli mediante l’assegnazione in singole e concrete quote, evitando la formazione della comunione ereditaria e, pertanto, la necessità di dar luogo al relativo scioglimento, in funzione del quale soltanto si giustificherebbe il conferimento nella massa previsto dagli artt. 724 e 737 c.c. Sulla base di tali considerazioni la giurisprudenza di legittimità, risalente ma non superata da successive pronunzie di segno contrario, ha escluso che nella divisio inter liberos possa trovare applicazione l’istituto della collazione, considerato che lo stesso, essendo diretto ad accrescere la massa che deve effettivamente dividersi tra gli eredi, può operare soltanto nei rapporti in cui tra i coeredi si instauri una comunione; il che non si verifica nella divisione suddetta, con la quale il testatore abbia già provveduto, a propria discrezione, tenendo conto dei bisogni e delle attitudini di ciascun erede, a determinare le quote loro spettanti, che (fatto salvo il rispetto delle riserve in favore dei legittimari), possono essere anche disuguali (in tal senso v. Cass. n.n. 2989/1957 e 1988/1969).
Sulla base di tali principi, cui il collegio ritiene di dare continuità, anche in armonia con la successiva giurisprudenza di questa Corte escludente il carattere della generalità ed inderogabilità dell’istituto della collazione (v. n. 3013/2006), il motivo va respinto. Con il terzo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 238, 240 e 242 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e quanto meno contraddittoria motivazione, per avere la corte di merito del tutto omesso di giudicare sulla validità o nullità del giuramento suppletorio, questione sulla quale, e non sulla relativa ammissibilità, l’appellante l’aveva investita, evidenziando la carenza delle condizioni di semipiena probatio ravvisate dal primo giudice.
Anche tale motivo deve essere respinto, avendo la corte di merito correttamente ritenuto l’inammissibilità del corrispondente mezzo di gravame, in quanto diretto avverso una statuizione non decisoria, ma istruttoria, che, sebbene contenuta nel corpo della sentenza non definitiva del primo giudice, per la sua natura di sostanziale ordinanza ammissiva di un mezzo di prova, come tale revocabile ex art. 177 c.p.c. con la decisione finale, non aveva alcuna diretta ed immediata attitudine a decidere, sia pure in parte o su questioni preliminari, la controversia, ed a passare eventualmente in giudicato.
Pertanto soltanto con la pronunzia della successiva sentenza, che sulla base del prestato giuramento avesse deciso in senso a lui sfavorevole il relativo capo della controversia, sarebbe sorto l’interesse dell’odierno ricorrente a dedurre, in funzione dell’impugnazione avverso la statuizione decisoria, motivi di doglianza avverso l’ammissione del mezzo di prova in questione.
Con il quarto motivo, infine, il ricorrente principale si duole, per falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., della subita condanna alle spese del giudizio, per non essersi tenuto conto dell’accoglimento di uno dei motivi di gravame, quello relativo alla questione sub c).
Il motivo è manifestamente infondato, considerato che il giudice di appello si è correttamente ed incensurabilmente (non essendo sindacabile, in sede di legittimità, il mancato esercizio del potere di compensazione delle spese) attenuto al criterio della prevalente soccombenza.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale si deduce ‘violazione ed errata applicazione degli artt.ll2, 324, 345 c.p.c.’, censurando la parte finale dell’argomentazione riportata sub a) in narrativa, per non aver tenuto conto che la validità delle schede testamentarie, non oggetto di alcuna contestazione da parte dell’attore e costituente un presupposto logico – giuridico della relativa domanda e della conseguente statuizione del Tribunale, avrebbe costituito un giudicato implicito; sicché la corte avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare inammissibili i primi due motivi di appello sul tema, astenendosi da ogni altra valutazione circa la proponibilità, ammissibilità, tempestività e rilevanza della questione della validità o meno del testamento C. .
Il motivo, già originariamente inammissibile per difetto d’interesse, in quanto impugnante un’argomentazione palesemente ultronea (obiter dictum) della corte di merito, non funzionale alla dichiarata inammissibilità, per novità ex art. 345 c.p.c., della domanda di accertamento della falsità del testamento, lo è ancor più, a seguito della desistenza dal ricorso, manifestata con la memoria illustrativa in data 1303.2013 dai difensori dei controricorrenti (muniti di mandato con ampi poteri, anche abdicativi), a seguito del riferito esito della suddetta domanda, proposta in separato giudizio e respinta dal Tribunale di Grosseto, con sentenza del 24.1.2012.
Le spese del presente giudizio, infine, tenuto conto dell’esito dei reciproci ricorsi, vanno interamente compensate.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il principale, dichiara inammissibile l’incidentale e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio.
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