Suprema Corte di Cassazione,
sezione II
sentenza 23 giugno 2014, n. 27081
Svolgimento del processo
Con sentenza del 13.6.2012, il Tribunale di Arezzo dichiarò O.L. responsabile dei reati di cui agli artt. 497 bis, 477, 482, 648, 494, 640 c.p., e disposto l’aumento per la recidiva, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, lo condannò alla pena di anni due mesi sei di reclusione ed Euro 2000,00 di multa.
Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 19.2.2013, confermava la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo l’errata interpretazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 lett. b) c.p.p., in riferimento all’art. 337 co. 3 c.p.p. avendo la Corte errato nel non pronunciare il proscioglimento dell’imputato per difetto di querela, in relazione al reato di truffa, in quanto presentata da soggetto non legittimato. Nell’ipotesi in cui il reato offenda una persona giuridica (nella fattispecie Poste Italiane spa), la titolarità del diritto di querela spetta, infatti, all’organo munito dei poteri di gestione secondo le norme legali e statutarie; tale qualifica non poteva ritenersi sussistere in capo al direttore di filiale dell’Ente Poste Italiane spa.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato, e va rigettato.
Non difetta, nella specie, la condizione di procedibilità. La querela proposta, nel caso di specie, dal direttore di una filiale di Poste spa, deve infatti ritenersi valida, in quanto proveniente da persona a tanto legittimata.
Il diritto di querela, secondo il disposto dell’art. 120 c.p., spetta alla persona offesa dal reato, la quale va individuata nel titolare dell’interesse direttamente protetto dalla norma penale e la cui lesione o esposizione a pericolo costituisce l’essenza dell’illecito.
Per comprendere la ragione di tale affermazione è necessario mettere a fuoco il concetto di persona offesa, al quale il legislatore ha dedicato un capo intero del codice penale, senza tuttavia darne una vera e propria definizione. Dottrina e giurisprudenza, peraltro, non sono del tutto concordi nel chiarire tale concetto, identificando la persona offesa dal reato, alcuni nel titolare dell’interesse immediatamente leso dalla norma penale, altri nella persona che dal reato viene direttamente e immediatamente offesa, e altri ancora nel titolare dell’interesse la cui offesa costituisce l’essenza del reato. È stato altresì sostenuto che offeso è anche lo status del possesso dei diritti, inteso come stato di fatto per cui una persona si trova nella possibilità di esercitare il contenuto di un qualsiasi diritto in quanto titolare della “apparentia iuris”.
Vi è, invece, assoluta concordia nel distinguere la posizione della persona offesa da quella del danneggiato civilmente, che è colui il quale – pur non essendo titolare del bene leso o messo in pericolo dall’azione criminosa – in conseguenza del reato, ha subito un danno risarcibile.
Fatta questa premessa, e ribadito che, in tema di titolarità del diritto di querela, e dunque di individuazione della persona offesa, cui tale diritto compete, deve intendersi quale soggetto passivo del reato colui che subisce la lesione dell’interesse penalmente protetto, rileva il Collegio che vi sono fattispecie nelle quali ben possono coesistere più soggetti passivi di un medesimo reato (cfr. Cass. Sez. II, sent. n. 2869/1999 Rv. 212766).
Recentemente, questa Corte, nel suo superiore consesso (v. Cass. S.U., Sentenza n. 40354 del 18/07/2013 Rv. 255975 con la quale è stato riconosciuto al responsabile di un supermercato la legittimazione a proporre querela, per via del pregiudizio socialmente protetto che questi subisce per effetto della sottrazione del bene che gli è affidato), ha ribadito tale principio, evidenziando che anche dal punto di vista dogmatico non si scorgono ragioni che impediscano di delineare plurime lesioni del bene giuridico e diversi soggetti titolari dell’interesse protetto, in presenza di situazioni nelle quali gli interessi e le relazioni che si trovano nella multiforme fenomenologia sono scomposti e si configurano in capo a diversi soggetti. In siffatte ipotesi “disconoscere la posizione di uno dei soggetti lesi, non riconoscergli la legittimazione a promuovere la protezione penale, risulterebbe riduttivo e privo di giustificazione razionale”.
Nel caso per cui è processo, l’imputato previa esibizione di carta di identità intestata a S.G. induceva in errore il direttore dell’Ufficio Postale di (omissis) , che quindi apriva sotto il falso nome in questione il libretto di deposito postale n. (omissis) , sul quale veniva versato un assegno dell’importo di Euro 6.879,00, donato dall’originale.
Nessun dubbio che, nella fattispecie, il pagamento di somme solo apparentemente esistenti sul libretto di deposito a seguito del versamento di un assegno “inesistente”, in quanto donato dall’originale e regolarmente incassato dal beneficiario, avrebbe creato una sicura perdita economica da parte dell’Ente pagatore. Considerato che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice in oggetto è il patrimonio, mediante la previsione della punibilità di condotte atte a ledere la libera formazione del consenso nei negozi giuridici patrimoniali, mediante artifizi e raggiri, e che il direttore dell’ufficio postale (sul incombe altresì l’osservanza dell’obbligo di diligenza, da cui discende la sua responsabilità per eventuali indebiti pagamenti) non solo ha in custodia le somme dell’Ente in questione, ma è altresì la persona deputata ad effettuare, in nome e per conto dell’Ente medesimo, tutte le operazioni ad esso demandate, tra cui l’apertura di un libretto postale (o di un rapporto di conto corrente), non può razionalmente disconoscersi in capo al medesimo la titolarietà del bene leso o messo in pericolo dall’azione criminosa e quindi la legittimazione a proporre querela.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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