Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza  23 giugno 2014, n. 27177

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 11/11/2013, il Tribunale del riesame di Bologna, in riforma dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna in data 14/10/2013, ha applicato a V.C. la misura cautelare di cui all’art. 282 bis cod. proc. pen. Rileva il Tribunale del riesame che: V.C. è sottoposto ad indagini preliminari per il reato di cui all’art. 612 bis, commesso in (omissis) dal settembre 2011 fino alla data della richiesta di applicazione della misura cautelare (17/09/2013); il G.I.P. aveva dato atto della ravvisabilità di un solido quadro probatorio in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma aveva rigettato la richiesta ritenendo che la misura dell’allontanamento dell’indagato dall’abitazione familiare fosse misura non applicabile nel caso di specie, riguardando esclusivamente i reati commessi in ambito familiare; avverso l’ordinanza di rigetto ha proposto appello il pubblico ministero.
Nei confronti dell’indagato, rileva il Tribunale bolognese, sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di atti persecutori nei confronti dei vicini di casa B.C. e di M.S. , nonché il concreto pericolo di reiterazione dell’attività criminosa.
Contrariamente a quanto sostenuto dal G.I.P. ritiene il Tribunale del riesame che non sia di ostacolo all’applicazione della misura dell’allontanamento dalla casa familiare il fatto che non si sia in presenza di un delitto commesso in ambito familiare, in quanto: l’art. 280 cod. proc. pen., che delimita l’area dei reati ai quali sono applicabili le misure coercitive, non contiene alcuna specifica previsione a proposito della misura di cui all’art. 282-bis cod. proc. pen., che, a sua volta, non contiene alcuna indicazione dalla quale desumere l’applicabilità della misura ivi disciplinata solo ove si proceda per un delitto commesso in ambito familiare; la diversa conclusione non può essere argomentata sulla base della previsione, nel comma 3 dell’art. 282-bis cod. proc. pen., della possibilità che sia ordinato il versamento di un assegno a favore delle persone conviventi rimaste prive di mezzi adeguati poiché la disposizione, diretta a garantire al cautelato – sia o meno persona offesa dal reato ascritto all’indagato – un’adeguata provvista economica, non può avere rilevanza nel definire l’ambito applicativo della misura in questione; un’indicazione a favore della tesi sostenuta si ricava dal comma 6 dell’art. 282-bis cod. proc. pen., che, nel precisare come la deroga all’art. 280 cod. proc. pen. operi solo qualora le persone offese siano prossimi congiunti o il convivente, indica che il legislatore ha reputato che la misura in esame sia applicabile non soltanto in caso di procedimenti per reati commessi in ambito familiare, ma in tutte le ipotesi in cui sono applicabili le misure coercitive; ritenere non applicabile la misura de qua ad un caso come quello di specie si rifletterebbe negativamente sull’indagato, dovendosi applicare la più gravosa misura del divieto di dimora.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Bologna ha proposto ricorso per cassazione, nell’interesse di V.C. , il difensore avv. Cesarina Mitaritonna, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Violazione dell’art. 282-bis cod. proc. pen. L’art. 280 cod. proc. pen. ha una portata generale rispetto a tutte le misure, sicché è logico che fissi principi comuni che necessariamente prescindono dalla particolarità delle singole misure. Il contenuto della prescrizione è quello di lasciare la casa familiare o di non farvi rientro: la casa familiare è presa in considerazione quale luogo in cui si estrinseca la condotta delittuosa nei confronti dei congiunti conviventi o rispetto ai quali è cessata la convivenza. La precisazione contenuta nel comma 2 dell’art. 282-bis cod. proc. pen. presuppone la coincidenza tra persona offesa e soggetti appartenenti alla cerchia familiare dell’indagato. L’art. 282-bis cod. proc. pen. ha introdotto due misure, l’una di carattere coercitivo, l’altra di carattere patrimoniale: l’obiettivo è quello di eliminare ogni possibile occasione di contatti da cui possono derivare ulteriori condotte illecite. Anche dalla giurisprudenza di legittimità si evince la scelta di limitare l’operatività dell’art. 282-bis cod. proc. pen. ai soli reati commessi in ambito familiare. L’interpretazione estensiva (rectius, analogica) proposta dal Tribunale del riesame non può considerarsi in bonam partem, né in astratto, né in concreto: non può affermarsi che la misura di cui all’art. 282 bis cod. proc. pen. sia l’unica alternativa all’applicazione della più grave misura di cui all’art. 283 cod. proc. pen., residuando la misura coercitiva del divieto di avvicinamento a determinati luoghi. L’applicazione della misura all’indagato, data la ridottissima estensione del comune di residenza, lo obbligherebbe ad abbandonare il territorio comunale, analogamente a quanto sarebbe avvenuto in applicazione del divieto di dimora (comunque non richiesto dal pubblico ministero).
2.2. Vizio di motivazione in ordine al pericolo concreto di reiterazione dell’azione criminosa. La massima prospettata dal Tribunale del riesame -incentrata sulla condizione psicologica del prevenuto – non ha fondamento e dalla certificazione sanitaria presa in considerazione non può desumersi la descrizione di un tipo di autore. L’ordinanza è inoltre viziata da totale mancanza di motivazione in ordine al pericolo di reiterazione dell’azione, desunto unicamente dalle modalità della condotta.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
I principi di stretta legalità, tassatività e tipicità ai quali si conforma la disciplina delle misure cautelari (Sez. U, n. 29907 del 30/05/2006 – dep. 12/09/2006, La Stella) impongono di disattendere la tesi accolta dall’ordinanza impugnata. Il perimetro applicativo della misura di cui all’art. 282-bis, comma 1, cod. proc. pen. risulta, infatti, definito dal riferimento normativo all’allontanamento dalla “casa familiare”, riferimento, questo, che non consente una dilatazione della sfera di operatività della misura tale da ricomprendervi fattispecie – come quella in esame – caratterizzate dall’insussistenza di una “situazione per cui all’interno di una relazione familiare si manifestano condotte in grado di minacciare l’incolumità della persona” (Sez. 6, n. 25607 del 04/02/2008 – dep. 23/06/2008, P.M. in proc. Bigliardi, Rv. 240773, secondo cui il presupposto della misura cautelare di cui all’art. 282-bis cod. proc. pen., non è la condizione di coabitazione “attuale” dei coniugi, ma l’esistenza di una situazione – che non deve necessariamente verificarsi all’interno della casa coniugale – per cui all’interno di una relazione familiare si manifestano condotte in grado di minacciare l’incolumità della persona). L’osservazione dell’ordinanza impugnata, secondo la quale l’art. 282-bis cod. proc. pen. non conterrebbe indicazioni circa l’applicabilità della misura solo ove si proceda per un delitto commesso in ambito familiare, comporta una rilettura del sintagma “casa familiare” come sinonimo, in buona sostanza, di “casa di abitazione” dell’indagato, rilettura che svilisce il dato normativo, anche alla luce della sua interpretazione sistematica.
L’art. 282-bis cod. proc. pen. è stato introdotto dall’art. 1, comma 2, della legge 4 aprile 2001, n. 154; molteplici profili confermano la finalizzazione complessiva della novella verso la predisposizione di “misure contro la violenza nelle relazioni familiari”, per riprendere la formulazione della rubrica legislativa: l’art. 2 ha introdotto, nel libro I del codice civile, il Titolo IX bis che disciplina gli “ordini di protezione contro gli abusi familiari”, mentre l’art. 5, primo periodo, stabilisce che le norme della legge si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente, ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente. La disciplina e l’impianto complessivo della L. n. 154 del 2001 offrono, dunque, significativa conferma della delimitazione dell’ambito oggettivo della misura in esame a fattispecie di reato verificatesi all’interno di una relazione familiare, nel senso delineato dalla citata sentenza n. 25607 del 2008 di questa Corte.
Nella stessa direzione convergono ulteriori argomenti di ordine sistematico rinvenibili nella stessa disciplina dettata dall’art. 282-bis cod. proc. pen., quali la previsione di cui al comma 3, che, diversamente da quanto sostenuto dall’ordinanza impugnata, è indirizzata alla tutela dei familiari così come la misura personale di cui al comma 1: affermando il principio di diritto in forza del quale la misura patrimoniale del pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi è accessoria alla sola misura cautelare personale dell’allontanamento dalla casa familiare, non potendo pertanto essere applicata in relazione a misura personale di tipo diverso, la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato come detta limitazione risponda ad una specifica ratio dato che “a seguito dell’applicazione della misura dell’allontanamento dalla casa familiare, la persona ad essa sottoposta conserva intatte le sua capacità reddituali, sicché sarebbe paradossale farne derivare un effetto penalizzante per i familiari, che sono i soggetti che la misura personale tende a tutelare dalla condotta antigiuridica del congiunto” (Sez. 6, n. 30736 del 12/05/2009 – dep. 23/07/2009, P.M. in proc. D.S., Rv. 244400).
Né in senso contrario può invocarsi la disciplina di cui al sesto comma dell’art. 282-bis cod. proc. pen.: facendo leva su un “catalogo” di reati, in relazione ai quali è destinato ad operare il regime derogatorio, la norma ha precisato le persone offese dagli stessi (“in danno dei prossimi congiunti o del convivente”) allo scopo di rendere incontrovertibilmente omogenea la previsione dello stesso sesto comma rispetto alla definizione del perimetro applicativo della misura cautelare affidata, nel primo comma, alla sola descrizione dei contenuti prescrittivi della misura stessa; la specificazione offerta dal sesto comma della disposizione in esame, dunque, non smentisce, ma conferma la ricostruzione dell’ambito oggettivo della misura dell’allontanamento dalla casa familiare nei termini indicati.
Alla conclusione sostenuta dall’ordinanza impugnata non può, infine, giungersi sulla base dell’argomento – per così dire, in bonam partem – incentrato sui riflessi negativi per l’indagato che deriverebbero dall’inapplicabilità della misura in questione: come messo in luce – in riferimento ad un rilievo di analogo segno “sostanzialista” – dalla già citata sentenza La Stella delle Sezioni Unite, osta a una siffatta conclusione il “fondamentale principio di tipicità e tassatività delle misure cautelari personali che, costituzionalmente presidiato, sottende al sistema disegnato dal legislatore, quale parametro degli spazi di discrezionalità del giudice cautelare”.
Il primo motivo di ricorso, pertanto, è fondato, sicché, restando assorbito l’ulteriore motivo, l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *