SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II
SENTENZA 22 gennaio 2015, n.1184
Ritenuto in fatto
Con ricorso al tribunale di Perugia, sezione distaccata di Città di Castello, la “E.DA.CO.” s.n.c. esponeva che aveva provveduto alla tenuta della contabilità della “R.C.E. di R.E. ” per il periodo compreso tra il 1993 e il 31.12.1994; che il saldo del corrispettivo, pari a lire 5.310.735, era rimasto insoluto.
Chiedeva ingiungersi ad R.E. il pagamento della complessiva somma di lire 5.390.735 – di cui lire 80.000 per spese per estratti autentici – oltre accessori.
Pronunciata con decreto in data 14.12.2000 l’ingiunzione, R.E. con atto di citazione notificato il 27.1.2001 proponeva opposizione.
Deduceva, “sostenendo l’avvenuta estinzione dell’obbligazione per intervenuto pagamento, (…) la prescrizione presuntiva del credito ex art. 2956 n. 2 c.c.” (così ricorso, pag. 1).
Chiedeva pertanto la revoca del decreto opposto.
Costituitasi, la ricorrente instava per il rigetto dell’avversa domanda.
Adduceva “l’infondatezza della dedotta prescrizione per non essere, a suo dire, l’istituto richiamato applicabile al caso concreto in virtù della qualità di società della creditrice” (così ricorso, pag. 2); soggiungeva che la sua prestazione non aveva “carattere di prestazione professionale ma quello tipico del contratto d’opera di cui all’art. 2222 c.c.” (così ricorso, pag. 2).
Con sentenza n. 138/2003 il tribunale di Perugia accoglieva l’opposizione, dichiarava e dava atto dell’intervenuta prescrizione dell’azionata pretesa, revocava l’ingiunzione e condannava la ricorrente – opposta a rimborsare a controparte le spese di lite.
Interponeva appello l’”E.DA.CO.” s.n.c..
Resisteva R.E. .
Con sentenza n. 411/2008 la corte d’appello di Perugia accoglieva l’esperita impugnazione, rigettava, in totale riforma della gravata sentenza, l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta in prime cure e condannava R.E. a rimborsare a controparte le spese di ambedue i gradi di giudizio.
Puntualizzava previamente la corte distrettuale che l’appellato non aveva contestato la propria obbligazione; indi, esplicitava che la prescrizione presuntiva triennale di cui all’art. 2956, n. 2), c.c. “si riferisce ai crediti dei professionisti (…) non ai crediti per prestazioni, almeno latamente intellettuali, da chiunque rese” (così sentenza d’appello, pag. 2); che pertanto “la norma sottopone (…) alla prescrizione (…) i crediti dei singoli professionisti e non delle società commerciali quale è la s.n.c. opposta” (così sentenza d’appello, pag. 2); che, ai fini della corretta esegesi del termine “professionisti”, poteva “farsi riferimento alla sentenza n. 5002/2000 della Corte di Cassazione, relativa al privilegio (…) previsto dall’art. 2751 bis n. 2 cod. civ.” (così sentenza d’appello, pag. 2); che, “pacifico il credito della s.n.c., esclusa la prescrizione, privo di prova l’adempimento” (così sentenza d’appello, pag. 2), doveva essere respinta l’opposizione esperita in primo grado avverso la pronunciata ingiunzione.
Avverso tale sentenza R.E. ha proposto ricorso a questa Corte di legittimità; ne ha chiesto la cassazione sulla scorta di unico motivo con ogni susseguente statuizione in ordine alle spese di lite.
La “S.E.D.EL. s.a.s. di Giammarioli, Patrizi & C.” (già “E.DA.CO. s.n.c. di Patrizi L. e Giammarioli G. “) ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del grado di legittimità.
La “S.E.D.EL.” s.a.s. ha depositato, altresì memoria ex art. 378 c.p.c..
Con l’unico motivo il ricorrente deduce in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3), c.p.c. la violazione dell’art. 2956, n. 2), c.c..
Premette che nel caso di specie è necessario stabilire unicamente se la disposizione di cui all’art. 2956, n. 2), c.c. “sia o meno applicabile (…) anche a quei professionisti costituiti in forma societaria e/o di associazione professionale” (così ricorso pag. 5) e soggiunge che la medesima disposizione “non pone alcuna restrizione nell’interpretazione del termine professionista né, ovviamente, ne specifica il significato” (così ricorso pag. 6).
Adduce che “non v’è dubbio che (…) l’attività dell’E.DA.CO. si fondi sul lavoro intellettuale dei soci e che questo sia elemento essenziale e prevalente rispetto all’organizzazione dei fattori produttivi” (così ricorso pag. 6); che “è consequenziale, dunque, che la prestazione intellettuale resa al cliente è imputabile al professionista e non all’organizzazione, in virtù della personalità del servizio reso dal socio stesso nell’ambito dell’incarico ricevuto dalla società” (così ricorso pag. 6); che “nel caso concreto (…) l’attività dell’E.DA.CO. (o rectius dei suoi soci) è un’attività intellettuale che è sicuramente prevalente rispetto a quella dell’elaborazione elettronica poiché nel suo espletamento vengono manifestate cognizioni specialistiche personali e professionali, attività in cui l’elaborazione rappresenta solo lo strumento materiale per l’ottenimento di maggiore velocità nell’esecuzione della prestazione stessa” (così ricorso pagg. 6 – 7); che del resto “i professionisti – soci sono iscritti in appositi albi professionali, iscrizione conseguente ad abilitazione” (così ricorso pag. 7); che “in conclusione, (…) il soggetto destinatario dell’art. 2956 n. 2 c.c. possa essere il professionista, nell’accezione più ampia del termine” (così ricorso pag. 8).
La quaestio iuris che la vicenda contenziosa de qua agitur involge, si prospetta alla stregua di una questione di massima di particolare importanza.
Il che suggerisce l’appello al Primo Presidente, perché valuti, ai sensi dell’art. 374, 2 co., c.p.c., se disporre che questa Corte di legittimità pronunci al riguardo a sezioni unite.
E, ben vero, ai fini della sollecitazione che con la presente ordinanza si intende rivolgere al Primo Presidente, si formulano i seguenti.
Rilievi in diritto
Si premette che la medesima società personale controricorrente riconosce espressamente di aver ‘prestato alla ditta R.C.E. di R.E. (…) i servizi di tenuta della contabilità fiscale, amministrativa e contabile’ (così controricorso, pag. 2).
Siffatta attività risulta da ascrivere alle previsioni degli artt. 1 e 2 del dec. lgs. 28.6.2005, n. 139, intitolato ‘costituzione dell’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, a norma dell’art. 2 della legge 24.2.2005, n. 24’.
Più esattamente, ai sensi dell’art. 1 del dec. lgs. n. 139/2005 agli iscritti nella sezione ‘B’ – esperti contabili – dell’albo è riconosciuta competenza tecnica per l’espletamento, tra le altre, dell’attività di tenuta e redazione dei libri contabili, fiscali e del lavoro nonché dell’attività di controllo della documentazione contabile.
Più esattamente, ai sensi dell’art. 2 del medesimo decreto legislativo, ai fini dell’esercizio delle professioni di cui all’art. 1, è necessario che il dottore commercialista, il ragioniere commercialista e l’esperto contabile siano iscritti nell’albo.
Nei termini esposti, dunque, non interferisce nel caso di specie l’insegnamento di questa Corte (citato dal controricorrente a pag. 15 del controricorso) n. 15530 dell’11.6.2008 (alla cui stregua nelle materie commerciali, economiche, finanziarie e di ragioneria, le prestazioni di assistenza o consulenza aziendale non sono riservate per legge in via esclusiva ai dottori commercialisti, ai ragionieri e ai periti commercialisti, non rientrando fra le attività che possono essere svolte esclusivamente da soggetti iscritti ad apposito albo professionale o provvisti di specifica abilitazione).
Si rileva, per altro verso, che la locuzione ‘attività economica’, di cui all’art. 2247 c.c., è nozione più ampia di ‘attività d’impresa’, ovvero dell’attività, qualificata in forma soggettiva, di cui all’art. 2082 c.c..
In tal guisa l’esercizio di un’attività professionale intellettuale, in quanto attività economica, ancorché ex art. 2238, 1 co., c.c. attività non d’impresa, ben può in linea di principio esser assunta ad oggetto di un organismo collettivo, segnatamente societario, ben può, cioè, in linea di principio, essere esercitata in forma collettiva, societaria.
L’insegnamento giurisprudenziale nondimeno ha in forma sostanzialmente unanime (beninteso con la significativa eccezione delle società di engineering: cfr. Cass. 29.11.2007, n. 24922, Cass. 1.10,1999, n. 10872; Cass. 21.3.1989, n. 1405) disconosciuto l’ammissibilità di siffatta tipologia di società ‘senza impresa’. In special modo, con riferimento alle cosiddette attività professionali ‘protette’, per il cui esercizio ossia è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi (art. 2229, 1 co., c.c.).
In particolare gli ostacoli all’esercizio in forma societaria dell’attività professionale intellettuale sono stati scorti, da un canto, nella previsione dell’art. 2 della legge 23.11.1939, n. 1815, a tenor della quale è – recte, era – ‘vietato costituire, esercitare o diligere, sotto qualsiasi forma diversa da quella di cui al precedente articolo, società, istituti, uffici, agenzie od enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria’ (cfr. in tal senso Cass. 8.9.1999, n. 9507; Cass. 10.6.1994, n. 5648; Cass. 7.1.1993, n. 79; Cass. 13.5.1992, n. 5656; Cass. sez. lav. 29.7.1986, n. 4870); dall’altro, nella previsione dell’art. 2232 c.c. – ‘il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto’ – e, quindi, nel carattere rigorosamente personale della prestazione (cfr. in tal senso Cass. 13.7.1993, n. 7738; Cass. 7.1.1993, n. 79).
Tal ultimo argomento, in verità, pur in epoca successiva all’abrogazione, ad opera dell’art. 24 della legge n. 266 del 7.8.1997, dell’art. 2 della legge n. 1815/1939, ha continuato ad avvalorare (tanto più in considerazione dell’omessa emanazione della normativa secondaria di attuazione della legge n. 266/1997) l’opzione esegetica favorevole alla persistenza del tradizionale ostacolo alla configurabilità di società tra professionisti aventi ad oggetto l’esercizio in comune di professioni intellettuali ‘protette’ (cfr. in tal senso G.F. Campobasso, Diritto Commerciale 2 Diritto delle società, a cura di M. Campobasso, Torino, 2006, 13 ss.).
Lo scenario normativo, tuttavia, a decorrere dall’inizio dello scorso decennio è significativamente mutato.
Va segnalato, in primo luogo, che l’art. 16, 1 co., del dec. lgs. n. 96 del 2.2.2001 ha consentito espressamente l’esercizio in forma comune dell’attività professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio seppur in via esclusiva merce il tipo di società tra professionisti denominata società tra avvocati (il 2 co. dell’art. 16 cit. dispone che la società tra avvocati è regolata dalle norme di cui al titolo li dello stesso dec. lgs. e, ove non diversamente disposto, dalle norme che regolano la società in nome collettivo; statuisce, inoltre, che, ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese, è istituita una sezione speciale relativa alle società tra professionisti; il 3 co. del medesimo art. 16, a sua volta, puntualizza che la società tra avvocati non è soggetta a fallimento).
Va segnalato, in secondo luogo, che l’art. 2, 1 co., lett. c), della legge n. 248 del 4.8.2006, recante conversione in legge del decreto legge n. 223 del 4.7.2006, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte, tra l’altro, di società di persone (la previsione della lett. c) soggiunge che le anzidette società di persone devono assumere in via esclusiva ad oggetto sociale la prestazione di attività libero – professionale, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità).
Va segnalato, in terzo luogo, che l’art. 10 della legge n. 183 del 12.11.2011, al 3 co., ha ammesso espressamente ‘la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V codice civile’ (l’art. 10 della legge n. 183/2011 è stato modificato dall’art. 9 bis – rubricato ‘società tra professionisti’ – della legge 24.3.2012, n. 27, che ha convertito con modificazioni il dec. leg. 24.1.2012, n. 1).
Più esattamente, in virtù dell’art. 10 cit. è ben possibile l’esercizio in forma societaria di una qualsivoglia attività professionale ‘protetta’ merce utilizzazione del tipo della società semplice, della società in nome collettivo, della società in accomandita semplice, della società per azioni, della società in accomandita per azioni, della società a responsabilità limitata e della società cooperativa (l’art. 10 cit. prosegue precisando, tra l’altro, al 4 co., lett. b), che possono far parte della società anche soggetti non professionisti per mere finalità di investimento, al 5 co., che la denominazione sociale deve contenere l’indicazione di società tra professionisti, al 6 co., che la partecipazione ad una società è incompatibile con la partecipazione ad altra società tra professionisti, all’8 co., che la società tra professionisti può essere costituita anche per l’esercizio di più attività professionali e, quindi, per attività interdisciplinari, al 9 co., che restano salve le associazioni professionali, nonché i diversi modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 183/2011).
Va segnalata, in quarto luogo, la legge 14.1.2013, n. 4, intitolata ‘disposizioni in materia di professioni non organizzate’, il cui art. 1 puntualizza, al 1 co., che la stessa legge è volta alla disciplina delle professioni non organizzate in ordini o collegi, al 2 co., che per ‘professione non organizzata in ordini o collegi’ si intende l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 c.c., delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative, al 5 co., che la professione è esercitata in forma individuale, in forma associata, societaria, cooperativa o nella forma del lavoro dipendente.
Non è fuor di luogo segnalare, da ultimo, l’art. 28, 1 co., della ‘riformata’ legge fallimentare, alla cui stregua possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore ‘società tra professionisti’.
Va rimarcato, sotto altro profilo, che R.E. giammai ha inteso dubitare della validità dell’atto genetico dell’obbligazione de qua agitur ed, ulteriormente, che l’eccezione di prescrizione presuntiva di certo non è incompatibile con l’assunto secondo cui il debito sia stato estinto per avvenuto pagamento (cfr. Cass. sez. lav. 17.8.1977, n. 3774).
Al cospetto dunque del quadro normativo dapprima tracciato si reputa opportuno che si vagli la necessità che le sezioni unite riflettano sul se e sui margini in cui la nuova figura di professionista – siccome destinata a connotarsi anche in forma societaria sia per le professioni ‘protette’ sia per le professioni ‘non protette’ – si riverberi sulla nozione di professionista di cui all’art. 2956, n. 2), c.c., sicché possa dilatarsi anche a siffatte nuove tipologie di professionista, qualora esercenti attività ‘protette’, l’insegnamento di questa Corte n. 3886 del 29.6.1985 (alla cui stregua nella categoria dei professionisti, i cui diritti per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative, sono assoggettati a prescrizione presuntiva triennale dall’art. 2956, n. 2, c.c., sono compresi soltanto coloro che esercitano una professione intellettuale di antica o di recente tradizione, nei cui confronti è ravvisabile il presupposto della prassi del pagamento senza dilazione per l’agevole determinabilità del credito ai sensi dell’art. 2233 c.c., sicché detta prescrizione non è applicabile al credito per il compenso nascente da un mero contratto d’opera) ovvero se, addirittura, si possano trascendere i limiti dell’insegnamento n. 3886/1985, sì da estendere la prescrizione presuntiva triennale di cui all’art. 2956, n. 2), c.c. anche ai crediti di qualsivoglia soggetto, pur costituito in forma societaria, esercente attività professionale ‘non protetta’.
P.Q.M.
si rimettono gli atti al Primo Presidente di questa Corte perché disponga – se reputa – che questo medesimo Giudice di legittimità pronunci a sezioni unite in ordine al presente ricorso
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