stabilimento balneare

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 17 febbraio 2014, n. 3714

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato P.C. conveniva in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Sarzana R.U. esponendo di essere proprietario di una casa posta davanti all’arenile demaniale in località Fiumaretta di Ameglia ed in particolare di fronte allo stabilimento balneare gestito dal convenuto, che aveva in più occasioni tentato di precludergli la visuale del mare e da ultimo, pochi mesi prima dell’instaurazione del giudizio (ovvero nel 2000), aveva abusivamente realizzato un parcheggio nello spazio compreso tra il predetto stabilimento ed il giardino dell’abitazione dell’attore.
Il C. faceva altresì presente di aver già ottenuto un provvedimento ai sensi dell’art. 700 c.p.c. da parte del Tribunale di La Spezia sezione distaccata di Sarzana, che aveva ordinato l’immediata chiusura del parcheggio; chiedeva pertanto che, accertata la non normale tollerabilità delle immissioni provenienti dal parcheggio, venisse ordinato all’U. di astenersi dal parcheggiare o far parcheggiare le auto in tale area con sua contestuale condanna a risarcire i danni cagionati liquidati anche in via equitativa.
Si costituiva in giudizio alla seconda udienza il convenuto contestando il fondamento della domanda attrice di cui chiedeva il rigetto.
Con sentenza del 2-7-2003 il Giudice di Pace adito respingeva la domanda attrice, revocando l’ordinanza emessa dal Tribunale di La Spezia sezione distaccata di Sarzana del 16-8-2000 ai sensi dell’art. 700 c.p.c.
Proposta impugnazione da parte del C. cui resisteva l’U. il Tribunale di La Spezia sezione distaccata di Sarzana con sentenza dell’8-8-2007, in riforma della sentenza di primo grado, ha ordinato all’U. nella sua qualità di gestore dello stabilimento balneare denominato Bagno Italia l’immediata chiusura dello spazio utilizzato per il parcheggio delle autovetture contiguo alla proprietà C. ed alle sue pertinenze, inibendo l’accesso in detta area a qualsiasi veicolo a motore.
Per la cassazione di tale sentenza l’U. ha proposto un ricorso basato su tre motivi seguito successivamente da una memoria cui il C. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo ricorso il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 844 c.c., sostiene che il giudice di appello, nel ritenere l’intollerabilità ai sensi di tale norma delle immissioni provenienti dal parcheggio realizzato dall’esponente, ha fatto riferimento soltanto al criterio della normale tollerabilità da valutare con riguardo alle specifiche condizioni ambientali di tempo e di luogo, senza peraltro considerare che l’immobile di proprietà dei C. è situato in una zona turistica caratterizzata dall’alternarsi di stabilimenti balneari, parcheggi di auto e case di villeggiatura, tutte raggiungibili da strade percorse da veicoli; inoltre avrebbe dovuto tenersi conto che tale zona è caratterizzata da una vita particolarmente intensa soltanto per un determinato periodo dell’anno coincidente con la stagione balneare; neppure il giudicante ha valutato che il C. non è l’unica persona soggetta a subire immissioni acustiche, atteso che tutta la zona di Fiumaretta si distingueva per l’avvicendarsi di abitazioni private e di attività commerciali; in tale contesto il Tribunale di La Spezia sezione distaccata di Sarzana avrebbe dovuto anche applicare il secondo criterio previsto dall’art. 844 c.c. relativo al contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, criterio obbligatorio che consente di elevare la soglia di tollerabilità delle immissioni.
Con il secondo motivo l’U., denunciando erronea applicazione dell’art. 844 c.c., rilevato che la CTU aveva evidenziato l’inesistenza di qualsiasi immissione, assume che la sentenza impugnata ha errato nel fare riferimento al principio di discrezionalità in un contesto, come quello per cui è causa, in cui mancavano le condizioni stesse per la sua applicazione, ovvero il criterio oggettivo della tollerabilità.
Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, premesso che la CTU aveva escluso sostanzialmente la sussistenza di immissioni di gas di scarico e di immissioni rumorose nella proprietà del C., sostiene che il giudice di appello, nell’affermare che secondo detta consulenza era stata rilevata, quanto alle immissioni acustiche, una rumorosità pari a 51,5 Decibel, non ha considerato che tale coefficiente era stato soltanto ipotizzato dal CTU facendo riferimento ad una situazione abnorme e mai verificata, avuto riguardo ad un flusso veicolare in entrata ed in uscita di 18 autoveicoli e di 2 veicoli industriali; tale ipotesi, infatti, era stata prospettata dal CTU al fine di dimostrare che, anche all’eccesso, i limiti non sarebbero mai stati superati.
L’U. conclude quindi che la sentenza impugnata, essendosi discostato dalle conclusioni raggiunte dal CTU, avrebbe dovuto esprimere in maniera adeguata ed esauriente le ragioni di tale dissenso, mentre invece nella motivazione manca qualsiasi riferimento agli esiti degli accertamenti effettuati sul posto mediante esami e prove con strumenti idonei a qualsiasi valutazione.
Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.
La sentenza impugnata, premesso che i parametri minimali fissati dalle norme speciali a tutela dell’ambiente non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, può anche discostarsene ai fini dei giudizio di tollerabilità ex art. 844 c.c., ha anzitutto rilevato che la CTU aveva rilevato una “ottima qualità dell’aria” nei luoghi di causa, smentendo così la situazione di generale degrado prospettata dall’appellato e dal giudice di primo grado; ha poi evidenziato l’avvenuto accertamento, sempre da parte della CTU, di un innalzamento dei livelli di inquinamento, seppure assai modesto, determinato dall’ingresso e dall’uscita dei veicoli dal parcheggio; inoltre il giudice di appello ha affermato, con riferimento alle immissioni acustiche, che il CTU aveva determinato presuntivamente una rumorosità pari a 51,5 Decibel, ovvero un livello che, seppure inferiore ai minimi fissati dal D.P.C.M. 14-11-1997, non poteva essere certamente qualificato come modesto, soprattutto in considerazione del luogo in cui veniva percepito (ovvero un’area pertinenziale destinata al riposo di una famiglia ed in particolare dei propri figli) nonché del fatto che tale livello di rumorosità parrebbe venir raggiunto per tutta la giornata ed in tutti i giorni di apertura dello stabilimento balneare (cioè in orari ed in giorni in cui si presume che venga fruito anche il giardino utilizzato dal C.).
Orbene il Collegio ritiene che il giudice di merito abbia svolto un accertamento di fatto sorretto da logica e congrua, seppure concisa, motivazione, come tale immune dalle censure sollevate dal ricorrente.
Anzitutto il riferimento alle caratteristiche della zona oggetto delle immissioni suddette induce ad affermare che la sentenza impugnata si è attenuta puntualmente al criterio comparativo previsto dall’art. 844 c.c. per accertare il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose, limite che non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona, e che quindi non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi, sicché la valutazione ex art. 844 c.c., diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita da un lato alla sensibilità dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale (Cass. 5-8-2011 n. 17051); in tale contesto non appare fondato il diverso assunto del ricorrente riguardo alle caratteristiche della zona oggetto delle immissioni per cui è causa, adibita ad una attività turistica balneare, e quindi a vocazione industriale, posto che tale destinazione turistica non può evidentemente comportare di per sé la liceità di immissioni in ipotesi pregiudizievoli per le persone che abitano in quella zona e che hanno comunque diritto ad una normale qualità della vita, che consenta tra l’altro il riposo anche di coloro che risiedono in quella località anche soltanto per un periodo limitato dell’anno, ovvero dei villeggianti; sotto tale profilo è pertinente il richiamo della sentenza impugnata alla percezione delle immissioni acustiche nella abitazione del C. e della sua famiglia ed anche al livello di rumorosità ivi sussistente per l’intera giornata e per tutti i giorni di apertura dello stabilimento balneare gestito dall’U. a servizio del quale quest’ultimo aveva realizzato un parcheggio nelle immediate vicinanze del giardino dell’abitazione del C.
Deve poi evidenziarsi che, contrariamente all’assunto del ricorrente, il giudice di appello ha proceduto, ai fini della valutazione di tollerabilità o meno delle immissioni in oggetto, al contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, avendo affermato che maggiori approfondimenti in ordine all’asserita irregolarità dell’intervento edilizio realizzato dall’U. avrebbero consentito di superare del tutto il problema relativo alla tollerabilità o meno delle suddette immissioni, richiamandosi all’indirizzo giurisprudenziale che qualifica illegittima qualsiasi immissione che provenga da una attività irregolarmente svolta; avendo presunto quindi legittima l’apertura del predetto parcheggio da parte dell’attuale ricorrente, la sentenza impugnata ha proceduto al suddetto contemperamento nei termini suindicati.
Sotto ulteriore profilo deve poi rilevarsi che correttamente il giudice di appello ha affermato che il livello rumorosità presuntivamente determinato dal CTU, pur essendo inferiore ai limiti fissati dal D.P.C.M. del 14-11-1997, non poteva essere considerato modesto, avuto riguardo alle caratteristiche del luogo di percezione di tali immissioni acustiche; invero in tale materia, mentre è senz’altro illecito il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi di cui all’art. 844 c.c., tenendo presente, fra l’altro, la vicinanza dei luoghi ed i possibili effetti dannosi per la salute delle immissioni (Cass. 25-1-2006 n. 1418; Cass. 17-12011 n. 939); pertanto il giudice di appello ha sufficientemente espresso le ragioni per le quali si è discostato dalle conclusioni dei CTU, facendo riferimento, come si è visto, alla condizioni dei luogo in cui venivano percepite le immissioni in oggetto; il fatto poi che il rilevamento da parte del CTU dei livello delle immissioni acustiche pari a 51,5 Decibel fosse soltanto frutto di una valutazione ipotetica è circostanza che è stata apprezzata dal giudice di appello, che invero ha richiamato un accertamento svolto dal suddetto ausiliare relativamente ad una rumorosità ” determinata presuntivamente”.
In definitiva il ricorso deve essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di euro 200,00 per spese e di euro 2.000,00 per compensi.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *