Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 11 aprile 2014, n. 8611
Svolgimento del processo
L’Archivio Notarile Distrettuale di Roma chiedeva l’avvio del procedimento disciplinare nei confronti del notaio V.G. in quanto:
– 1) l’atto n. 23012 ricevuto il 28-7-2011, costituente procura speciale, era stato rogato in lingua italiana, ponendo in calce al medesimo la traduzione in lingua inglese in un contesto in cui il procuratore Q.A.A.A. aveva dichiarato di conoscere la lingua inglese, conosciuta anche dal notaio;
– 2) nel corso dell’ispezione ordinaria biennale degli atti, repertori e registri relativa al biennio 2010-2011 in 280 atti di compravendita immobiliare urbana, ricevuti dal notaio, era stata omessa la dichiarazione degli intestatari della conformità allo stato di fatto dei dati catastali, menzione prevista a pena di nullità dell’atto dall’art. 29 comma 1 bis della L. 27-2-1985 n. 52, comma aggiunto dalla L del 2010 n. 122; né vi era la dichiarazione di conformità a firma del tecnico abilitato.
Nel contraddittorio del V. e dell’Archivio Notarile Distrettuale la COREDI del Lazio con decisione del 23-10-2012 dichiarava il V. responsabile della violazione degli artt. 54 e 138 nonché 28 e 138 L. N. e, applicate le attenuanti di cui all’art. 144 L. N., gli comminava la sanzione pecuniaria di complessivi Euro 9.800,00.
Proposta impugnazione da parte del V. , nella contumacia dell’Archivio Notarile Distrettuale di Roma, la Corte di Appello di Roma con ordinanza del 13-5-2013 ha rigettato il reclamo.
Per la cassazione di tale ordinanza il V. ha proposto un ricorso affidato a due motivi seguito successivamente da una memoria cui l’Archivio Notarile Distrettuale di Roma ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 24 secondo comma – 111 primo e secondo comma Cost. e 112 c.p.c. in relazione all’art. 26 quinto comma D. LGS. 1-9-2011 n. 150, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 54-58 e 138 L.N..
Il V. rileva anzitutto che l’ordinanza impugnata ha violato il principio del contraddittorio, il principio di difesa e comunque il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, atteso che, a fronte della decisione della COREDI, che aveva ritenuto l’esponente responsabile, con riferimento alla procura sopra menzionata, di aver invertito l’ordine delle forme prescritte dagli artt. 54 e 55 L.N. dell’atto in cui intervenga un comparente che non conosca la lingua italiana (ovvero italiano – inglese anziché inglese – italiano), la Corte territoriale ha respinto il reclamo invocando a sostegno di tale decisione un diverso addebito (ovvero la mancanza dell’indicazione chiara della ragione per la quale l’atto non era stato redatto in lingua italiana) non sanzionato dalla COREDI e non oggetto di contraddittorio tra le parti.
Il ricorrente rileva comunque l’erroneità dell’assunto dell’ordinanza impugnata secondo cui l’esponente non avrebbe espresso la ragione per la quale l’atto non era stato redatto in lingua italiana; invero l’art. 54 L. N. non prescrive alcun obbligo a carico del notaio di enunciare in un atto notarile redatto nella lingua italiana ed in una lingua straniera la dichiarazione delle parti o di una parte di ignorare la lingua italiana, mentre in effetti, ove venga adottata una lingua diversa da quella italiana, deve ritenersi implicita la mancata conoscenza di questa lingua da parte del dichiarante nell’utilizzo della forma prescritta dall’art. 54 secondo comma L. N..
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha premesso che la procura speciale ricevuta dal notaio V. il 28-7-2011 e rilasciata da Q.A.A.A. era stata redatta dapprima in lingua italiana con la sottoscrizione del procuratore e del notaio, e poi in lingua inglese ugualmente sottoscritta come sopra, ed ha aggiunto che essa recava, dopo le generalità del procuratore, la seguente indicazione: “cittadino italiano, il quale dichiara di conoscere la lingua inglese, conosciuta anche da me Notaio”; ha quindi ritenuto che tale procura non era stata redatta in conformità dell’art. 54 della L. N., che impone l’uso della lingua italiana, propria dell’ordinamento giuridico del quale fa parte, poiché essa normalmente consente alle parti di comprendersi reciprocamente ed al notaio di comprendere le parti, e che prevede la possibilità, ove le parti non conoscano l’italiano, ma conoscano un’altra lingua, conosciuta dal notaio e dai testimoni, di redigere l’atto nella lingua straniera conosciuta, poiché tramite essa si raggiungono i suddetti scopi, ed i testimoni sono messi in grado di comprendere il contesto al quale devono assistere, naturalmente osservando le modalità della traduzione e della sua collocazione imposte dalla suddetta norma.
La decisione impugnata ha quindi affermato che la procura speciale in oggetto non rispettava tale disposizione, posto che in essa ci si limitava a dare atto della conoscenza, da parte del procuratore, della lingua inglese, senza dare atto della sua mancata conoscenza della lingua italiana, così non comprendendosi la ragione della redazione dell’atto in lingua inglese, posto che, se il Q. , pur conoscendo l’inglese, avesse conosciuto anche l’italiano, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 54 primo comma L. N.; se invece il procuratore avesse conosciuto soltanto la lingua inglese, lingua conosciuta anche dal notaio, l’unica certezza che egli avesse potuto esprimere la volontà di rilasciare la procura nei termini risultanti dall’atto e che il notaio lo avesse ben compreso, si sarebbe avuta se l’atto fosse stato redatto in inglese, previa dicitura che il Q. non conosceva l’italiano, bensì l’inglese, al pari del notaio, con la successiva traduzione in italiano, come previsto nel menzionato art. 54; del resto tali forme erano state osservate nella successiva procura rilasciata sempre dal Q. il 14-5-2012.
Il giudice di appello ha pertanto concluso che la questione oggetto della controversia riguardava l’indicazione chiara della ragione per cui l’atto viene redatto non in lingua italiana (ovvero la mancata conoscenza della lingua italiana da parte del comparente), indicazione mancante nella specie, e la conseguente previsione normativa in ordine alla possibilità della redazione dell’atto nella lingua straniera conosciuta dalla parte e dal notaio cui si accompagni la traduzione nei modi descritti nella norma al solo scopo di rendere evidente che la volontà sia stata, rispettivamente, ben espressa dalla parte e ben compresa dal notaio ricevente l’atto.
Orbene, premesso che dallo stesso svolgimento del procedimento disciplinare contenuto nella decisione della COREDI del Lazio trascritto nel controricorso si rileva che all’udienza del 10-10-2012 il dirigente dell’Archivio Notarile, nel ribadire le ragioni della richiesta del procedimento disciplinare nei confronti del notaio V. , aveva fatto riferimento, oltre alla violazione della norma che impone un preciso ordine formale dell’atto redatto in lingua straniera dal notaio che conosce tale lingua, anche “alla mancata dichiarazione, nell’atto rogato dal Notaio incolpato, da parte del comparente straniero, della non conoscenza della lingua italiana…”, è assorbente rilevare che la contestata violazione dell’art. 54 della LN. comporta necessariamente nei confronti del notaio V. l’elevazione dell’addebito della omessa indicazione della ragione della mancata redazione dell’atto nella lingua italiana, omissione invero pacifica; invero il secondo comma dell’art. 54 ora citato espressamente dispone che “Quando però le parti dichiarino di non conoscere la lingua italiana, l’atto può essere rogato in lingua straniera, sempre che questa sia conosciuta dai testimoni e dal notaro. In tal caso deve porsi di fronte all’originale o in calce al medesimo la traduzione in lingua italiana, e l’uno e l’altra saranno sottoscritti come stabilito nell’art. 51”.
È quindi evidente che l’eventualità della redazione dell’atto in lingua straniera e con le modalità sopra enunciate, ponendosi come una deroga alla regola generale prevista dall’art. 54 primo comma secondo cui “Gli atti notarili devono essere scritti in lingua italiana”, è espressamente subordinata alla dichiarazione delle parti di non conoscere la lingua italiana, costituendo quindi tale dichiarazione un presupposto formale imprescindibile per l’operatività del secondo comma dell’art. 54; in altri termini solo una dichiarazione del genere giustifica la redazione dell’atto nella lingua straniera, nella sussistenza degli altri requisiti ivi richiesti al riguardo.
Né per altro verso può aderirsi all’assunto del ricorrente secondo il quale dalla redazione dell’atto in una lingua diversa da quella italiana dovrebbe desumersi implicitamente la mancata conoscenza della lingua italiana da parte del dichiarante; in realtà, non potendosi certo escludere che la parte conosca, oltre la lingua italiana, anche una lingua straniera, è evidente che in tal caso la mera redazione dell’atto nella lingua straniera non legittimerebbe tale presunzione, dovendosi invece applicare anche in questa ipotesi il primo comma dell’art. 54 citato; inoltre soltanto l’espressa dichiarazione della parte di non conoscere la lingua italiana legittima la redazione dell’atto nella lingua straniera conosciuta dalla parte e dal notaio, seguita dalla traduzione dell’atto nella lingua italiana, in quanto solo detta dichiarazione costituisce requisito idoneo a garantire che la volontà della parte sia stata da un lato da quest’ultima regolarmente espressa e dall’altro lato correttamente recepita dal notaio; ciò spiega, come rilevato anche dalla Corte territoriale, la ragione della nullità prevista dall’art. 58 n. 4 LN. degli atti notarili redatti senza l’osservanza delle disposizioni, tra le altre, previste dall’art. 54, posto che tali violazioni impediscono o possono impedire all’atto di realizzare la finalità per la quale è stato redatto o creare equivoci sul suo effettivo contenuto.
Con il secondo motivo il V. , con riferimento al secondo addebito contestatogli, denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 29 primo comma bis della L. 27-2-1985 n. 52 e 28 L. N. nonché violazione degli artt. Ili sesto comma Cost. e 26 D. LGS. 1-9-2011 n. 150.
Il ricorrente anzitutto rileva che l’art. 29 primo comma bis menzionato ha carattere generico e risponde all’esigenza di assicurare nelle vendite immobiliari sia un miglioramento pubblicistico della banca dati immobiliari sia una tutela in favore della parte acquirente, considerata più debole; peraltro deve ritenersi che la formulazione sommaria della norma non richieda formule tassative o sacramentali, essendo sufficiente che risulti dal testo dell’atto in maniera inequivoca il contenuto prescritto riguardante la corrispondenza tra i dati dell’immobile riportati in catasto e la planimetria depositata con lo stato di fatto; orbene in tutti gli atti redatti dall’esponente si rinveniva la descrizione dell’immobile con i confini, i dati catastali e l’intestazione in capo ai venditori di cui gli stessi affermavano la conformità in quanto contenuti nella dichiarazione di alienare l’immobile con quei dati censuari, l’attestazione di costoro con richiamo specifico all’art. 29 primo comma bis della L. 27-2-1985 n. 52 come introdotto dall’art. 19 comma 14 del D. L. 31-5-2010 n. 78 convertito nella L. 30-7-2010 n. 122, e la dichiarazione di conformità dello stato di fatto dell’immobile alla planimetria catastale depositata.
Il ricorrente inoltre assume che la possibilità prevista nello stesso comma 1 bis del menzionato art. 29 che la predetta dichiarazione di conformità allo stato di fatto dei dati catastali sia rilasciata da un tecnico conferma che detta dichiarazione può essere resa in ogni modo a tal fine idoneo, e che quindi non è indispensabile che la dichiarazione suddetta venga rilasciata dalla parte.
Il V. poi sostiene che erroneamente l’ordinanza impugnata ha ritenuto la natura assoluta della nullità prevista dall’articolo suddetto senza accertare se la nullità fosse invece di carattere relativo, in quanto il suo contenuto offriva diverse possibilità interpretative; infine sostiene che avrebbe comunque dovuto escludersi l’applicabilità dell’art. 28 della L. N., in quanto le nullità che rilevano ai fini disciplinari devono essere non solo assolute, ma anche inequivoche.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale con riferimento al secondo addebito contestato al notaio V. ha rilevato che nei 280 atti di compravendita immobiliare urbana oggetto della sanzione era contenuta una clausola del seguente tenore: “Con riferimento alla norma di cui al comma 1 bis dell’articolo 29 della legge 27 febbraio 1985 n. 52, introdotto dall’art. 19 comma 14 del D. L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito in Legge 30 luglio 2010 n. 122, i venditori attestano che, in base alla vigente normativa in materia catastale, lo stato di fatto dell’immobile da essi venduto è conforme alla planimetria catastale, regolarmente depositata”; ha poi richiamato il comma 1 bis menzionato secondo cui “gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
L’ordinanza impugnata ha quindi affermato che, ai sensi di tale disposizione, la dichiarazione della conformità allo stato di fatto dei dati catastali che gli intestatari sono tenuti a rendere, deve essere contenuta negli atti a pena di nullità, e che essa non ammette equipollenti, ad eccezione della attestazione di conformità del tecnico quale espressamente disciplinata dalla norma; né, evidentemente, sarebbe sufficiente il mero richiamo, negli atti, al comma 1 bis suddetto, intendendo la norma garantire la cosiddetta coerenza oggettiva dell’immobile con i dati del catasto e mirando a far emergere eventuali fenomeni di elusione o evasione fiscale nel settore degli immobili urbani a causa del mancato aggiornamento dei dati oggettivi di tali immobili, ai quali può corrispondere una maggiore redditività reale rispetto a quella emergente dal catasto; l’altra finalità della norma era poi costituita dalla coerenza soggettiva, ovvero da un accertamento, spettante al notaio, della conformità tra titolari iscritti al catasto e le risultanze dei registri immobiliari, volendo in tal modo la legge contemporaneamente garantire la effettività dei dati emergenti dal catasto e dai pubblici registri immobiliari in vista dell’istituzione dell’Anagrafe Immobiliare Integrata, ovvero dell’allineamento delle banche date catastali con quelle della pubblicità immobiliare.
Infine la Corte territoriale ha rilevato che la predetta nullità era assoluta, essendo espressamente comminata dalla legge, e che del resto una norma di recente applicazione richiede una interpretazione il più possibile aderente alla sua lettera ed al suo spirito.
Ai fini della decisione è opportuno muovere dall’inquadramento della disposizione sopra richiamata – la cui violazione è all’origine della sanzione disciplinare irrogata al notaio V. – nell’ambito della disciplina normativa in cui è inserita.
Il testo del D. L. 31-5-210 n. 78 coordinato con la legge di conversione del 30-7-2010 recante: “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” prevede al titolo secondo disposizioni di “Contrasto all’evasione fiscale e contributiva”; l’art. 19 poi reca una disciplina relativa all’”Aggiornamento del Catasto” con l’istituzione dell'”Anagrafe Immobiliare Integrata” finalizzata all’attestazione, ai fini fiscali, dello stato di integrazione delle banche dati disponibili presso l’Agenzia del Territorio per ciascun immobile, individuandone il soggetto titolare di diritti reali (commi 1 e seguenti); vi è inoltre la previsione, per i titolari di diritti reali sugli immobili che non risultano dichiarati in Catasto individuati secondo le procedure previste dall’art. 2 comma 36 del D.L. 3-10-2006 n. 262 convertito in L. 24-11-2006 n. 286, dell’obbligo di procedere entro il 31-12-2010 alla presentazione, ai fini fiscali, della relativa dichiarazione di aggiornamento fiscale (comma 8) e, per i titolari di diritti reali sugli immobili oggetto di interventi edilizi che abbiano determinato una variazione di consistenza ovvero di destinazione non dichiarata in Catasto, dell’obbligo di procedere entro lo stesso termine alla presentazione, ai fini fiscali, della relativa dichiarazione di aggiornamento catastale (comma 9); inoltre, qualora i suddetti soggetti titolari di diritti reali sugli immobili non provvedono in proposito entro il suddetto termine, l’Agenzia del Territorio procederà all’attribuzione (comma 10) ed agli accertamenti di competenza (comma 11).
In tale contesto normativo, chiaramente finalizzato ad un rilevamento ed a un aggiornamento a fini fiscali dei dati catastali corrispondenti all’effettiva consistenza patrimoniale degli immobili, si iscrive il successivo comma 19 sopra riportato che prevede, con riferimento agli atti pubblici ed alle scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, a pena di nullità, “la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale”; orbene è indubitabile che tale disposizione, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, e come emerge dal tessuto normativo in cui è inserita, ha lo scopo di evidenziare eventuali vicende di elusione o di evasione fiscale nell’ambito della proprietà immobiliare urbana derivanti dal mancato aggiornamento catastale dello stato degli immobili, conformemente alle finalità che l’art. 19 citato si propone di perseguire.
Ciò posto, è anzitutto agevole rilevare che l’espresso onere in tal senso imposto agli intestatari non può certamente ritenersi assolto, come pure dedotto dal ricorrente, tramite la dichiarazione di conformità allo stato di fatto dell’immobile della sola planimetria catastale depositata, ovvero di un documento relativo essenzialmente alla descrizione grafica dell’immobile stesso, che evidentemente non può sopperire alla mancanza della dichiarazione di conformità allo stato di fatto dell’immobile anche del distinto requisito richiesto dalla norma e rappresentato dai dati catastali, soltanto questi ultimi costituendo gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali dell’immobile rilevanti a fini fiscali; neppure può ritenersi, in presenza di un onere previsto espressamente a pena di nullità e della evidente finalità di natura pubblicistica della disposizione in esame, che la suddetta dichiarazione possa essere espressa implicitamente con il mero richiamo all’art. 1 bis suddetto, come pure è agevole osservare che proprio l’espressa possibilità che la predetta dichiarazione possa essere sostituita da una attestazione di conformità da parte di un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale conferma che, fuori di tale deroga, vige il principio inequivocabile dell’obbligo della suddetta dichiarazione di conformità a carico degli intestatari degli immobili urbani.
Con riferimento poi all’ulteriore profilo di censura, riguardante la pretesa natura relativa della nullità comminata dalla norma predetta, occorre rilevare che tale ipotesi di nullità, pure denominate nullità speciali o di protezione, sono caratterizzate dalla finalità di una tutela limitata agli interessi soltanto di determinati soggetti (come ad esempio i contraenti deboli), evenienza del tutto estranea alla fattispecie, laddove le evidenziate finalità pubblicistiche di contrasto all’evasione fiscale delle disposizioni sopra richiamate, nel cui ambito è inserita e deve essere ricondotta la norma in oggetto, conducono logicamente a ritenere la natura assoluta della nullità ivi prevista.
Infine non può dubitarsi dell’applicabilità nella fattispecie dell’art. 28 primo comma della L.N., che vieta al notaio di ricevere o autenticare atti “espressamente proibiti dalla legge”; infatti, posto che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, detto divieto attiene ad ogni vizio che dia luogo ad una nullità assoluta dell’atto, con esclusione, quindi, dei vizi che comportano l’annullabilità o l’inefficacia dell’atto ovvero la stessa nullità relativa (Cass. 1-2-2001 n. 1394; Cass. 7-11-2005 n. 21493; Cass. 14-2-2008 n. 3526), ne consegue che nella fattispecie, in presenza di una nullità avente natura assoluta, la sanzione disciplinare inflitta al notaio V. ai sensi della menzionata norma della L. N. è stata legittimamente irrogata; né a diverse conclusioni può pervenirsi per il rilievo che il divieto per il notaio di ricevere atti nudi sussiste solo quando la nullità dell’atto sia inequivoca ed indiscutibile, dovendosi intendere l’avverbio “espressamente” che nel citato art. 28 qualifica la categoria degli “atti proibiti dalla legge” come “inequivocamente”; in tal senso è stato ritenuto che tale divieto si riferisce a contrasti dell’atto con la legge che risultino in termini in equivoci, anche se la sanzione della nullità deriva solo attraverso la disposizione dell’art. 1418 primo comma c.c. per effetto di un consolidato orientamento interpretativo giurisprudenziale o dottrinale (Cass. 11-3-2011 n. 5913); orbene nella fattispecie la questione è risolta in radice dal rilievo che, come sottolineato dalla Corte territoriale, la nullità è espressamente comminata dalla legge, e dunque risulta superfluo a tal fine ogni particolare sforzo interpretativo.
Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Infine ai sensi dell’art. 13 comma 1 – “quater” del D.P.R. 30-5-2002 n. 115 come inserito dall’art. 1 comma 17 della L. 24-12-2012 n. 228 (applicabile nella fattispecie “ratione temporis”) si deve dare atto della sussistenza dei presupposti di legge relativamente all’obbligo del ricorrente, all’esito del rigetto del ricorso, di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.
P.Q.M.
La Corte Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per esborsi e di Euro 3.000,00 per compensi.
Leave a Reply