Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 20 ottobre 2016, n. 44408

Tentata estorsione la minaccia di pubblicare il video hard di un assessore se non si fosse dimesso dalla carica.

Suprema Corte di Cassazione

sezione II penale

sentenza 20 ottobre 2016, n. 44408

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMMINO Matilde – Presidente
Dott. ALMA Marco Maria – Consigliere
Dott. FILIPPINI Stefano – rel. Consigliere
Dott. PARDO Ignazio – Consigliere
Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL 09/07/1982;

avverso l’ordinanza n. 25/2016 TRIB. LIBERTA’ di POTENZA, del 17/03/2016;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. STEFANO FILIPPONI;

sentite le conclusioni del PG Dott. Oscar Cedrangolo per l’inammissibilita’ del ricorso;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS) che si riporta ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18/2/2016 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza disponeva l’applicazione della misura degli arresti domiciliari nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato di tentata estorsione in concorso tra piu’ persone riunite per aver minacciato (OMISSIS) di divulgare un video che lo ritraeva durante un atto di autoerotismo se non si fosse dimesso dalla carica di assessore presso il Comune di Potenza, con l’obiettivo di subentrare – quale primo dei candidati non eletti – nel consesso comunale (cfr. imputazione provvisoria come riassunta a pag. 1 dell’ordinanza impugnata).

1.1. Avverso tale provvedimento proponeva istanza di riesame l’indagato, contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari. In particolare lamentava: – la complessita’ del meccanismo normativo che regola la nomina ad assessore renderebbe inidonea l’attivita’ posta in essere dall’indagato e la fattispecie dovrebbe essere ricondotta nell’alveo dell’articolo 49 c.p.; – il quadro probatorio incerto dovrebbe portare alla derubricazione del fatto nell’ambito della di violenza privata; – le esigenze cautelari si fondano sulla errata valutazione dei precedenti dell’indagato.

1.2. Il Tribunale di Potenza, sezione del riesame, rigettava il ricorso.

2. Ricorre per Cassazione l’indagato, per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi:

2.1. violazione di legge in relazione agli articoli 521 cod.proc.pen. correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza – e 273 cod.proc.pen. – gravita’ indiziaria -, rispetto al reato di estorsione tentata, posto che la condotta e’ stata ritenuta finalizzata ad ottenere un presupposto dello scopo perseguito e il vantaggio e’ stato individuato nella nomina a consigliere comunale o in altri vantaggi legati a soluzioni diverse, mentre nella contestazione si fa esclusivo riferimento allo scopo di subentrare nel consesso comunale. Dunque il Tribunale del riesame avrebbe recuperato episodi non posti a fondamento della misura cautelare e le dimissioni del (OMISSIS), assessore esterno, non avrebbero consentito comunque l’ingresso del (OMISSIS) nel Consiglio Comunale poiche’ a tal fine sarebbe stata necessaria la nomina da parte del Sindaco di altro soggetto, tale (OMISSIS), eletto nell’ambito della stessa lista del (OMISSIS), secondo un meccanismo avallato da recente giurisprudenza di legittimita’ (Cass., sez. 1, n. 36762 del 2 luglio 2015, RV 264567). Ne’ sarebbero ravvisabili vantaggi patrimoniali diretti ed immediati, comunque non contestati, dato che l’accusa parla solo dell’ingresso in consiglio comunale. L’assenza di vantaggio patrimoniale, o la violazione della necessaria corrispondenza con l’accusa, determina la necessita’ di derubricare il fatto ai sensi dell’articolo 610 c.p..

Con nota datata 2.9.2016 l’indagato dava atto della cessazione dell’esecuzione della misura, affermando tuttavia il perdurare del proprio interesse all’impugnazione di legittimita’ in prospettiva di una riparazione per ingiusta detenzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato.

1. E’ anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilita’ da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla liberta’ personale. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui e’ stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonche’ del tribunale del riesame. Il controllo di legittimita’ sui punti devoluti e’, percio’, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimita’: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di illogicita’ evidenti, ossia la congruita’ delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 6 n. 2146 del 25.05.1995, Rv. 201840; sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760). Inoltre il controllo di legittimita’ sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della liberta’ personale e’ diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilita’ delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non puo’ essere sindacato dalla Corte di legittimita’, quando non risulti “prima facie” dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalita’ della motivazione sulle questioni di fatto. (Sez. 1 n. 1700 del 20.03.1998, Barbaro, Rv. 210566). Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso il provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o illogicita’ motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza tenutasi a norma dell’articolo 309 c.p.p., comma 8, (Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003, Rv 227110).

1.1 Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi quanto segue. Il provvedimento impugnato non presenta i vizi denunciati con il ricorso. Specificamente nell’ordinanza si da’ atto adeguatamente della sussistenza del presupposto cautelare di cui all’articolo 273 c.p.p., sul quale principalmente si concentra il ricorso, rilevandosi come il fatto enunciato nella provvisoria imputazione emerga all’esito di un’approfondita analisi del materiale indiziario, dal quale si desumono sia i gravi indizi di commissione di atti idonei ad ottenere le dimissioni del (OMISSIS) dalla carica rivestita, sia le aspirazioni del (OMISSIS), che il Tribunale del riesame riferisce essere contestate come rivolte ad ottenere l’ingresso nel “consesso comunale”, nozione quest’ultima tanto ampia da abbracciare sia gli ambiti relativi alla Giunta che al Consiglio. Dunque, in considerazione della ampiezza della contestazione, nessuna violazione dell’articolo 521 c.p.p., puo’ ravvisarsi. Ne’ il ricorrente con adeguata precisione illustra eventuali fraintendimenti del collegio del riesame rispetto alla contestazione come riportata a pag. 1 dell’ordinanza impugnata.

1.2 Neppure puo’ parlarsi di reato impossibile ai sensi dell’articolo 49 c.p., posto che, in tema di tentativo, l’idoneita’ degli atti non va valutata con riferimento ad un criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensi’ in relazione alla possibilita’ che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi invece un reato impossibile per inidoneita’ degli atti, ai sensi dell’articolo 49 c.p., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, di modo che l’azione, valutata “ex ante” e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacita’ di attuare il proposito criminoso (Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015, Rv. 264567).

Nel caso di specie, proprio in considerazione dell’ampiezza della contestazione come sopra evidenziata, la condotta appare astrattamente idonea al raggiungimento dell’obiettivo dell’inserimento nel consesso comunale.

2. Quanto al profilo della pretesa derubricazione, osserva il collegio che, secondo il consolidato orientamento di legittimita’ cui si aderisce, e’ configurabile il delitto di estorsione e non quello di violenza privata, nel caso in cui l’agente, al fine di procurare a se’ o ad altri un ingiusto profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri un danno economico. (Sez. 2, n. 5668 del 15/01/2013, Rv. 255242). Nella fattispecie, non pare dubitabile che la finalita’ cui il (OMISSIS) mirava comportasse sia un danno economico per il (OMISSIS) (perdita di compensi o indennita’ legati al ruolo ricoperto), sia vantaggi economici per l’agente (i corrispettivi legati alle possibili cariche nel consesso comunale cui aspirava).

3. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. Occorre inoltre dettare cautele opportune ad evitare la diffusione delle generalita’ del ricorrente e della persona offesa, atteso l’oggetto del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 198 del 2008, articolo 52, in quanto disposto d’ufficio

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