Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 2 agosto 2016, n. 33723

L’elemento di discrimine tra ricettazione ed estorsione viene individuato nella presenza di un interesse assolutamente coincidente con quello della vittima perché – in mancanza – la stessa condotta fornirebbe un contributo alla pressione morale ed alla coazione psicologica nei confronti della vittima e quindi determinerebbe un apporto causativo all’evento. Ed è proprio alla sussistenza di una minaccia di una coartazione anche larvata che deve farsi riferimento per valutare la diversità dell’interesse

Suprema Corte di Cassazione

sezione II penale

sentenza 2 agosto 2016, n. 33723

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza 3 giugno 2015, la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Brindisi degli odierni imputati S.L., B.D., M.S. alla pena ritenuta di giustizia per una estorsione avvenuta in Brindisi in data 3 febbraio 2003. Contestualmente la Corte di appello dichiarato estinto per prescrizione l’ulteriore reato di ricettazione avvenuto il 1 febbraio dello stesso anno. In particolare, la vicenda oggetto del giudizio si sostanzia nel fatto che la parte offesa, per recuperare della merce ed un’automobile rubata, ha dovuto pagare una somma agli odierni imputati. La Corte ha fondato la condanna sul principio per cui il soggetto che assume la veste di intermediario fra gli estorsori alla vittima, anche se per incarico di quest’ultima, non risponde di concorso nel reato soltanto se agisce nell’esclusivo interesse della vittima e che di conseguenza colui che conduca le trattative rivolte a far ottenere al derubato la restituzione della refurtiva contro il pagamento di una somma ovvero colui che agisca anche nell’interesse degli autori del furto contribuisce con la sua condotta l’opera di pressione nei confronti del derubato e quindi ben può ritenersi responsabile di concorso in estorsione.
Nel caso in esame, il derubato si è rivolto all’imputato S. che, a sua volta si è rivolto all’imputato B.. Parlando con questi, ha indicato il prezzo che i ladri potevano ricevere, ha concordato insieme al B. di prendere a prestito del danaro per poter risolvere la mancanza di liquidità del derubato. Dal canto suo, il B. dava indicazioni al terzo imputato, il M., affinché tenesse € 100 dei 2500 complessivi.
2. Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione l’imputato S. a mezzo del proprio difensore lamentando:
2.1 vizio di motivazione nella parte in cui si è ritenuto illogico che l’autore dell’estorsione si sia offerto di pagare il prezzo della restituzione della cosa oggetto di furto al posto della vittima; che l’intermediario abbia chiesto all’estorsore uno sconto; che la presa di profitto sia stata soltanto di terzi e non anche a carico di coloro che avrebbero svolto funzione di intermediari. Ancora, il ricorrente contesta che non poteva ritenersi rilevante il rapporto di amicizia tra il derubato ed il S.; che non poteva ritenersi che il S. conoscesse già il fatto che il furto fosse avvenuto al momento della richiesta della vittima; che non può ritenersi sia stato il S. ad ipotizzare il prezzo del riscatto; che comunque il S. non aveva intascato una lira.
2.2 Travisamento della prova, con particolare riferimento all’intercettazione n. 3213 delle 17. 37 del 2 febbraio 2003;
2.3 violazione di legge di logica motivazione nella parte in cui è stato ritenuto prescritto il delitto di ricettazione e il S. non è stato assolto anche da tale titolo.
3. Propone inoltre ricorso per cassazione l’imputato B.D. a mezzo del proprio difensore lamentando:
3.1 violazione di legge e contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui è stata escluso il ruolo di mero intermediario nelle trattative del ricorrente nonché nella parte in cui è stato ritenuto che il B. avesse intascato alcunché, dovendo tra l’altro evidenziarsi che il fatto di pagare qualche cosa i ladri per riottenere la refurtiva non poteva certo ritenersi illogico.
3.2 Violazione di legge con riferimento all’articolo 629 del codice di rito e contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in difetto di qualsivoglia elemento di conferma delle valutazioni presuntive operate dalla Corte territoriale al fine di attribuire alle intercettazioni un significato ulteriore rispetto a quello letterale.
4. Ricorre infine per cassazione l’imputato manca a mezzo del primo difensore lamentando:
4.1 nullità della sentenza per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui sono stati delineati dei ruoli dei protagonisti addirittura diversi da quelli disegnati dal Tribunale di Brindisi e secondo una ricostruzione assolutamente apodittica ed assertiva peraltro addirittura sganciata dal significato letterale delle intercettazioni in particolare, con riferimento al fatto dell’anticipo del danaro operato dallo stesso intermediario e con riferimento al fatto che lo stesso M. assai poco poteva sapere degli accordi presi con la parte offesa.

Considerato in diritto

5. Questa Corte si è espressa nel senso della sussistenza del concorso di persone nel reato di estorsione anche quando il contributo del correo sia limitato alla fase finale dell’attività delittuosa e, in particolare, nella fase di riscossione della somma frutto dell’estorsione, dovendosi escludere la configurabilità del delitto di favoreggiamento personale, la cui condotta agevolatrice costituisce un “posterius” rispetto alla commissione del reato (Sez. 2, 25 gennaio 2002, dep. 14 marzo 2002, n. 10778).
In base alla corretta riqualificazione del fatto quale concorso nel delitto di estorsione, occorre verificare se, in base alle prove acquisite, si abbia certezza che la condotta del correo in concreto, oltre al contributo causale alla verificazione dell’evento, sia connotata dall’indispensabile consapevolezza di consentire in via esclusiva agli autori del furto i quali, suo tramite, avevano formulato la richiesta di danaro per la restituzione della cosa sottratta, di ottenere il danaro.
È principio pressoché uniforme che colui che, per i legami con l’autore del furto, conduca le trattative rivolte a far ottenere al derubato la restituzione della refurtiva contro il pagamento di una somma, ben può ritenersi responsabile di estorsione, ovvero di concorso in essa, quando agisca anche nell’interesse del ladro, contribuendo in tal caso con la sua condotta all’opera di pressione nei confronti del derubato oppure sia intervenuto nelle trattative per lucrare una somma di danaro (Sez. 2, 27 aprile 1988, dep. 25 luglio 1989, n. 10491; Sez. 2, 8 aprile 1988, dep. 19 ottobre 1988, n. 10176).
Ne discende che non risponde di concorso in estorsione colui che, per incarico della vittima di un furto e nell’esclusivo interesse di quest’ultima, si metta in contatto con gli autori del reato, per ottenere la restituzione della cosa sottratta mediante esborso di denaro, senza conseguire alcuna parte del prezzo.
6. La difesa afferma che la prova del ruolo non esclusivamente a favore della parte offesa viene sulla base di una motivazione assolutamente contraddittoria.
7. Tale assunto appare fondato nei limiti di seguito precisati.
È infatti indubbio che gli odierni ricorrenti si siano interposti al fine di fare riacquistare al legittimo proprietario merce rubata. È altrettanto indubbio che tale condotta integri gli estremi della ricettazione per cui vi è stata già condanna. L’intera struttura delle decisioni di fatto poggia sul presupposto che gli odierni imputati nulla avevano a che vedere con gli autori del furto.
L’elemento ulteriore che ha determinato la condanna per il reato di estorsione oggetto del presente giudizio è costituito dal fatto che, secondo la ricostruzione della corte territoriale, i ricorrenti non avrebbero agito nell’esclusivo interesse del derubato ma avrebbero perseguito una utilità propria che sarebbe stata imposta al derubato stesso.
Sotto l’aspetto motivazionale, tale elemento emergerebbe da una serie di dati e segnatamente: la pregressa conoscenza da parte del S. dell’avvenuto furto tanto da poter fare riferimenti assolutamente criptici a tale episodio; il fatto di aver concordato un corrispettivo e di averne stabilito l’entità; il fatto di aver tenuto nascosto alla parte offesa la presenza di intermediari ulteriori (segnatamente il B., che aveva preso i soldi in prestito); il fatto di avere sollecitato la parte offesa palesando una fretta dei ladri non riscontrata nelle intercettazioni; il fatto di non aver adempiuto al mandato della parte offesa che aveva chiesto uno sconto sul corrispettivo; il fatto di aver inscenato un ritrovamento casuale del rinvenimento della merce; il fatto che – a colui che aveva tenuto i contatti con i ladri – era stato detto dall’intermediario “precedente” di tenersi 100 €.
Deve osservarsi che tale apparato motivazionale non appare in alcun modo sufficiente a far ritenere la sussistenza di un interesse proprio degli intermediari e di una qualche minaccia, seppure larvata e implicita, da parte di costoro, al fine di ottenere un ingiusto profitto.
Deve infatti ricordarsi che l’elemento di discrimine tra ricettazione ed estorsione è stato individuato nella presenza di un interesse assolutamente coincidente con quello della vittima perché – in mancanza – la stessa condotta fornirebbe un contributo alla pressione morale ed alla coazione psicologica nei confronti della vittima e quindi determinerebbe un apporto causativo all’evento (v. Sez. 6, Sentenza n. 41359 del 21/10/2010, Cuccaro e altri, Rv. 248734). Ed è proprio alla sussistenza di una minaccia di una coartazione anche larvata che deve farsi riferimento per valutare la diversità dell’interesse.
L’individuazione di un interesse diverso da quello della parte offesa non corrisponde dunque alla individuazione di un carattere filantropico dell’agire dell’imputato ma corrisponde alla individuazione di una forma di coazione esercitata nei confronti della parte offesa.
Va allora rilevato come la situazione oggetto del presente giudizio sia assolutamente particolare.
Va innanzitutto sottolineata la diversità di tale situazione con quella in cui versi ricettatore che chieda un compenso per restituire le cose illegittimamente ricevute. Non può infatti dubitarsi che richiesta da parte del ricettatore di una somma di denaro al derubato, per restituirgli la cosa sottratta, anche se a titolo di rimborso del prezzo pagato per ricettarla, costituisce pertanto tentativo di estorsione (Sez. 2, Sentenza n. 2919 del 25/06/1982 – dep. 11/04/1983 – Rv. 158306), posto che appare evidente la minaccia implicita in questo caso connessa la mancata restituzione se non a fronte del pagamento del prezzo. Nel caso in esame invece non risulta essere nemmeno stata presa in considerazione nella ricostruzione dei fatti la possibilità che gli intermediari fossero persone che avevano rifiutato la merce e tantomeno che potessero essere persone che avevano commesso il furto. Del resto, nelle intercettazioni, gli indagati parlano degli autori del furto come se fossero persone diverse da loro e nella stessa ricostruzione dei giudici di merito risulta che nessuno dei ricorrenti avesse la disponibilità immediata della merce al momento delle intercettazioni medesime.
Tale preliminare osservazione rende particolarmente evidente che il fatto che il furto fosse elemento notorio nelle conversazioni non può avere rilevanza se non si ritenga (come nel caso di specie) che le persone che si propongono come intermediari siano contestualmente i ladri o i ricettatori.
Nemmeno può considerarsi coartazione implicita il fatto che l’intermediario abbia segnalato la necessità di fare in fretta in relazione al fatto che i ladri avrebbero potuto vendere la merce. Se, infatti, tale necessità non emerge direttamente dalle conversazioni intercettate fra gli intermediari, nemmeno è possibile dimenticare che risulta assolutamente corrispondente alla normalità dei fatti la che coloro che avevano commesso il furto avessero e che quindi fosse opportuno chiudere la trattativa in tempi brevi. Non può allora ritenersi tale “raccomandazione” qualificante la sussistenza di interesse eterogeneo rispetto a quello della parte offesa ovvero una larvata minaccia per superare le (non risultanti) resistenze della parte offesa.
Ancora, il fatto di aver concordato un corrispettivo e di averne stabilito l’entità costituisce – nella stessa ricostruzione della Corte di merito – svolgimento del mandato ricevuto. Risulta allora contraddittorio ritenere tale circostanza sia esplicazione del mandato sia elemento da cui desumere un interesse proprio, anche in relazione al fatto che non vi sono elementi per ritenere che gli intermediari siano di scostati dalle istruzioni ricevute dalla parte offesa se non nell’unico elemento riguardante il mancato tentativo di contrattare con i ladri. Tuttavia, anche tale circostanza non contribuisce alla rappresentazione di una coartazione a carico della parte offesa quanto piuttosto rappresenta un atteggiamento concretamente prudente da parte del mandatario stesso, il che ulteriormente esclude che tale elemento possa essere decisivo ai fini di ravvisare un’effettiva coartazione, dovendosi nel caso di specie ribadire che non risponde di concorso in estorsione solo il soggetto che, per incarico della vittima di un furto e nell’esclusivo interesse di quest’ultima, si metta in contatto con gli autori del reato, per ottenere la restituzione della cosa sottratta mediante esborso di denaro, senza conseguire alcuna parte del prezzo (Sez. 6, Sentenza n. 41359 del 21/10/2010, Cuccaro e altri, Rv. 248734; Sez. 6, 20 novembre 2007, n. 1705, Di Giacomo; Sez. 2, 16 febbraio 1995, n. 5845, Martino).
Contraddittoria, sotto questo aspetto, la valenza assegnata nella decisione impugnata al fatto che la somma necessaria per il pagamento sia stata anticipata dagli stessi intermediari. Infatti, tale circostanza appare difficilmente qualificabile alla stregua di elemento sintomatico di un interesse proprio nella vicenda, diverso da quello della parte offesa ed anzi sintomatico di una coartazione alla volontà della parte offesa medesima.
Proprio il fatto che fossero gli intermediari ad avere anticipato il danaro impone una rivalutazione anche dell’unico elemento che in qualche modo potrebbe far ritenere esistente una diversità di interessi tra parte offesa intermediari e cioè il fatto che ad uno degli intermediari (il M.) sia stato detto di tenersi € 100 per il disturbo. Tuttavia, proprio la successione dei fatti per come ricostruita la sentenza impugnata evidenzia che lo stesso M. mai aveva richiesto somme per il proprio agire; che tale dazione risultata essere stata conseguenza di un’iniziativa assolutamente unilaterale del B., lo stesso soggetto che aveva anticipato i soldi; che tale dazione abbia una valenza piuttosto incerta se vista nell’ottica di individuare una coartazione della volontà della parte offesa.
8. Dalle considerazioni sopra esposte, risulta una strutturale contraddittorietà della motivazione che determina l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce per nuovo esame in relazione al seguente principio di diritto: non risponde di concorso in estorsione solo il soggetto che, per incarico della vittima di un furto e nell’esclusivo interesse di quest’ultima, si metta in contatto con gli autori del reato, per ottenere la restituzione della cosa sottratta mediante esborso di denaro, senza conseguire alcuna parte del prezzo. In tale contesto, la presenza di un interesse coincidente con quello della vittima può essere desunto dalla mancanza di un contributo alla pressione morale ed alla coazione psicologica nei confronti della parte offesa.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Lecce per nuovo giudizio.

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