Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 12 ottobre 2016, n. 43119

Delitto di appropriazione indebita

1) il mandatario che, violando le disposizioni impartitigli dal mandante, si appropri del denaro ricevuto per l’adempimento del suddetto mandato e lo utilizzi per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante.

2) il mandatario senza rappresentanza che si appropri delle cose ricevute durante l’esecuzione del mandato, con l’animus di trattenerle per se’ e di non ritrasferirle al mandatario, a meno che egli non abbia legittimo diritto di ritenzione per la natura del mandato conferitogli (mandato in rem propriam) o, limitatamente ai crediti, per soddisfarsi delle spese e dei compensi cui ha diritto (articolo 1721 c.c.).

Per un maggior approfondimento sul mandato cliccare sull’immagine seguente
Il mandato

Suprema Corte di Cassazione

sezione II penale
sentenza 12 ottobre 2016, n. 43119

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente
Dott. ALMA Marco Maria – Consigliere
Dott. FILIPPINI Stefano – Consigliere
Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere
Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari del 3 novembre 2014, RG n. 593/2013;
Sentita la relazione svolta dal consigliere dott. Cosimo D’Arrigo;
udito il Sostituto Procuratore Generale, in persona del dott. Ciro Angelillis, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 3 novembre 2014, ha confermato la condanna inflitta a (OMISSIS) dal Tribunale di Oristano in data 21 dicembre 2012 per il delitto di appropriazione indebita consistita nel essersi appropriato della somma complessiva di Euro 30.986,00 che egli aveva riscosso nell’interesse della (OMISSIS) s.r.l., di cui era agente.
L’imputato propone ricorso per cassazione, deducendo:
– inosservanza di norme processuali, con riferimento all’articolo 525 c.p.p., commi 1 e 2, e articolo 178 c.p.p., lettera a), per violazione del principio di concentrazione, dal momento che la sentenza di primo grado non e’ stata pronunziata immediatamente dopo la chiusura del dibattimento, bensi’ dopo due rinvii immotivati;
– mancata assunzione di una prova decisiva, con specifico riferimento all’omessa escussione della teste (OMISSIS), la quale avrebbe dovuto riferire delle modalita’ di riscossione dei crediti della (OMISSIS) s.r.l.;
– erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di appropriazione indebita pur in carenza del requisito della “altruita’” delle somme in questione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
In relazione al primo motivo, va richiamato quanto affermato da questa Corte: l’inosservanza del principio sancito dall’articolo 525 c.p.p., comma 1, – per il quale la sentenza deve essere deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento – non determina alcuna nullita’, in difetto di espressa previsione di legge (Sez. 6, n. 25148 del 31/01/2005; v. pure Sez. 3, n. 4721 del 12/12/2007). Del resto, la ratio della regola dell’immediatezza della decisione risponde all’esigenza che quest’ultima sia adottata, quanto piu’ possibile, nella diretta e contestuale percezione delle risultanze dibattimentali e della discussione. Tale esigenza non risulta pregiudicata da brevi rinvii disposti – come nella specie – per esigenze processuali (in dettaglio, il primo rinvio e’ stato disposto al solo fine di consentire alle parti di replicare e il secondo rinvio per acquisire un casellario giudiziale aggiornato).
La seconda censura e’ infondata con riferimento al carattere della decisivita’ della prova: la corte d’appello osserva che la produzione, da parte dell’imputato, delle e-mail intercorse con la (OMISSIS) rendeva obiettivamente superfluo l’escussione della prova testimoniale. Trattasi di una valutazione di merito che immune da vizi logici e giuridici – non e’ censurabile in questa sede.
L’esame del terzo motivo di ricorso merita una breve premessa. L’ordinamento civile conosce due forme di mandato: con e senza rappresentanza. Nella prima ipotesi in mandatario agisce in nome e per conto del mandante e gli acquisti effettuati dal primo si accrescono direttamente nel patrimonio nel secondo (articoli 1704 e 1388 c.c.). Nel caso di mandato senza rappresentanza, il mandante agisce in nome proprio, ma pur sempre nell’interesse del rappresentato, il quale infatti ha facolta’, entro certi limiti, di acquisire comunque direttamente alcuni effetti giuridici dell’operato del mandatario. In particolare, il mandante, sostituendosi al mandatario, puo’ esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato (articolo 1705 c.c., comma 2) e puo’ rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio (articolo 1706 c.c., comma 1).
La differenza fra le due figure non presenta alcuna rilevanza nell’ambito penale, con particolare riferimento al delitto di appropriazione indebita commesso dal mandatario sulle cose o sul denaro ricevuti durante l’esecuzione del mandato.
Infatti, se nel caso del mandato con rappresentanza e’ di palmare evidenza che il mandatario si appropria di cose o denaro di cui ha il possesso, ma che sono gia’ entrate a far parte del patrimonio del mandatario, non diversamente accade – a ben vedere – anche nel caso di mandato senza rappresentanza. Anche in questo caso, infatti, le cose o il denaro ricevuti in esecuzione del mandato appartengono alla sfera giuridica del mandatario, sia per via delle facolta’ di riscossione (dei crediti) e di rivendica (delle cose mobili) riconosciutegli dalla legge pur in difetto di un acquisto diretto della titolarita’ dei diritti, sia perche’ il mandante – salvo che il mandato non sia in rem propriam – e’ comunque obbligato a ritrasferire al mandatario quanto acquisito nel corso del mandato.
Questa Corte, infatti, ha gia’ affermato che commette il delitto di appropriazione indebita il mandatario che, violando le disposizioni impartitigli dal mandante, si appropri del denaro ricevuto per l’adempimento del suddetto mandato e lo utilizzi per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante (Sez. 2, n. 46256 del 17/10/2013; Sez. 2, n. 50156 del 25/11/2015).
Ad integrazione del principio di diritto sopra riportato e’ possibile aggiungere che commette il delitto di appropriazione indebita anche il mandatario senza rappresentanza che si appropri delle cose ricevute durante l’esecuzione del mandato, con l’animus di trattenerle per se’ e di non ritrasferirle al mandatario, a meno che egli non abbia legittimo diritto di ritenzione per la natura del mandato conferitogli (mandato in rem propriam) o, limitatamente ai crediti, per soddisfarsi delle spese e dei compensi cui ha diritto (articolo 1721 c.c.).
Dunque, anche l’ultimo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
All’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro 1.500,00 a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *