Suprema Corte di Cassazione
sezione II
ordinanza interlocutoria 12 gennaio 2014, n. 223
Fatto e diritto
Ritenuto che, in data 28 febbraio 2008 e in data 10 marzo 2008, la società Rizzani de Eccher s.p.a. e la Zeudi s.r.l. stipulavano rispettivamente i contratti di subappalto n. (…) e di fornitura n. (…), aventi ad oggetto lavori di ammodernamento della S.S. (omissis) nel tratto compreso tra le località di (omissis) ;
che, a fronte di una serie di problematiche insorte durante l’esecuzione di detti contratti, in data 26 agosto 2008 le parti addivenivano ad una scrittura privata di transazione finalizzata, tra gli altri aspetti, ad una risoluzione consensuale dei summenzionati contratti;
che, con atto di citazione notificato in data 3 luglio
2009, la società Zeudi a r.l. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Udine la società Rizzani de Eccher p.a., per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 270.000 a titolo di omessa custodia e sorveglianza di alcuni mezzi meccanici di proprietà di essa attrice, oggetto di furto in data 4 luglio 2008 mentre si trovavano nel cantiere della convenuta;
che si costituì la convenuta, resistendo;
che il Tribunale adito, assunte le prove testimoniali richieste, con sentenza in data 30 agosto 2012 ha condannato la società Rizzani de Eccher al pagamento della somma di Euro 200.000 per violazione dell’obbligo di custodia e di diligenza;
che a tale conclusione il Tribunale è giunto sul rilievo che:
– tra le parti è stato concluso un distinto ed autonomo negozio, qualificabile quale comodato, in virtù del quale la società Rizzani ha ricevuto i mezzi predetti da utilizzare in via esclusiva, avvalendosi all’uopo di conducenti della società Zeudi;
– l’obbligo di custodia e di conservazione con la diligenza del buon padre di famiglia deriva ex lege dall’art. 1804 cod. civ.;
– la società Rizzani ha ricoverato i mezzi all’interno del proprio cantiere recintato nell’interesse proprio;
– il negozio transattivo si riferisce esclusivamente ai contratti di subappalto e fornitura ed ha un oggetto solo parziale, non essendo condivisibile la tesi della convenuta volta ad estendere la portata del negozio a tutti i rapporti in essere, ancorché non menzionati nell’atto, compresa la responsabilità contrattuale da custodia dei beni;
– con riferimento al contratto di comodato relativo ai menzionati mezzi, la società Rizzani era tenuta a custodire i beni adottando ogni misura idonea ad evitarne la perdita: la circostanza che il furto sia avvenuto in un’area detenuta e custodita in via esclusiva dalla società Rizzani, in assenza di qualsivoglia prova circa le cautele adottate per scongiurare i furti, porta a ravvisare la responsabilità del comodatario;
che la Corte di Trieste, con ordinanza in data 19 febbraio 2013, adottata ai sensi degli artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ., ha dichiarato inammissibile l’appello della Rizzani per non avere la proposta impugnazione una ragionevole probabilità di essere accolta;
che, a tal fine, la Corte territoriale ha rilevato: (a) che i testi hanno confermato che la società Zeudi (oggi Viterbo Costruzioni s.r.l.) “depositava in un’area del cantiere Rizzani, e di cui solo Rizzani aveva le chiavi, i mezzi di trasporto [poi] rubati”, i quali “non rientravano nelle attività di cui ai contratti inter partes (in atti) e servivano al trasporto delle gabbie in ferro nel luogo in cui dovevano essere poste in opera”; (b) che “la transazione (26 agosto 2008), successiva al furto, non ha ricompreso anche la vicenda oggetto di lite perché si riferisce soltanto ai contratti.., mentre il rapporto di cui si discute è ulteriore rispetto ai contratti scritti (contratti di subappalto e di subfornitura)”; (c) che i mezzi erano stati depositati “in un’area nel controllo della sola Rizzani”, “e ciò causa comunque la responsabilità di Rizzani”, a prescindere dal fatto che si trattasse di comodato (come ritenuto dal Tribunale) o di altro contratto;
che la società Rizzani ha proposto due ricorsi per cassazione;
che, con il primo atto di impugnazione (notificato il 1 marzo 2013, inscritto al NRG 6221 del 2013), la Rizzani ha proposto ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso l’ordinanza della Corte di Trieste in data 19 febbraio 2013 che ha dichiarato inammissibile l’appello;
che tale ricorso si articola in due motivi, con i quali ci si duole che la Corte territoriale non abbia motivato compiutamente il provvedimento assunto, da un lato omettendo di pronunciare in ordine ad uno dei motivi di gravame (in punto di quantum), dall’altro motivando in modo parziale o illogico sull’esistenza di un contratto (che “potrebbe essere comodato o altro”) giustificante l’obbligo di custodia;
che, con atto notificato il 13 marzo 2013, inscritto al NRG 7242 del 2013, la Rizzani ha proposto ricorso ordinario avverso la sentenza del Tribunale di Udine del 5 settembre 2012;
che questo secondo ricorso è affidato ad un motivo, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., per erronea interpretazione della portata della transazione, che ricomprenderebbe ogni rapporto di debito-credito tra le parti, ivi compreso quello derivante dal furto degli automezzi;
che l’intimata società Viterbo ha resistito con controricorso all’uno e all’altro ricorso;
che il ricorso avverso l’ordinanza della Corte d’appello è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio sulla base della proposta di definizione ex art. 380-Jbis cod. proc. civ., nel senso della inammissibilità, alla quale la parte ricorrente ha mosso, con la memoria illustrativa, osservazioni critiche;
che la Sesta sezione civile della Corte, con ordinanza interlocutoria 3 marzo 2014, n. 4959, ha disposto il rinvio alla pubblica udienza, avendo rilevato la mancanza dell’evidenza decisoria per la definizione del ricorso con il procedimento semplificato della camera di consiglio;
che in prossimità dell’udienza pubblica la società Viterbo Costruzioni ha depositato una memoria illustrativa.
Considerato che, preliminarmente, ricorrono i presupposti per disporre la riunione dei due ricorsi per cassazione – del ricorso ordinario avverso la sentenza del Tribunale di Udine e del ricorso straordinario avverso l’ordinanza della Corte di Trieste che ha dichiarato inammissibile l’appello nei confronti della sentenza del primo giudice -, trattandosi di impugnazioni contro provvedimenti giurisdizionali pronunciati tra le stesse parti e sussistendo ragioni di unitarietà sostanziale e processuale derivanti dal fatto che detti provvedimenti, emessi in gradi diversi, riguardano la medesima controversia;
che con il primo motivo del ricorso inscritto al numero 6221/2013 di registro generale si lamenta che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello abbia del tutto omesso di esaminare il quarto motivo di impugnazione, con cui era stato censurato il capo della sentenza inerente al quantum della condanna, rilevandosi che l’importo al quale la società Rizzani de Eccher era stata condannata non poteva in alcun modo ritenersi provato, non risultando da alcun documento scritto, né essendo stato il risultato di una c.t.u. (non espletata dal giudice istruttore) ed essendo, per contro, sempre stato contestato dalla parte convenuta;
che il mancato esame, da parte del giudice d’appello, di questo motivo di gravame determinerebbe, ad avviso della ricorrente, la sottrazione dell’accertamento del fatto compiuto dal primo giudice ad ogni possibilità di controllo diretto, non essendo una censura con un tale oggetto deducibile con il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado che l’ordinamento, con l’art. 348-ter cod. proc. civ., mette a disposizione della parte il cui appello non abbia superato il filtro di ammissibilità;
che questo motivo di ricorso pone la questione del se, ed eventualmente in che ambito, sia esperibile il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di inammissibilità dell’appello affetta da vizi propri per omessa pronuncia su un motivo di gravame con cui sia stata sollevata una censura di puro merito;
che sull’impugnabilità dell’ordinanza di filtro si registra un contrasto di giurisprudenza;
che, secondo un orientamento (Sez. VI-2, 27 marzo 2014, n. 7273), l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-ter cod. proc. civ., se emanata nell’ambito suo proprio, cioè per manifesta infondatezza nel merito del gravame, non è ricorribile per cassazione, non avendo carattere definitivo, giacché il terzo comma del medesimo art. 348-ter consente di impugnare per cassazione il provvedimento di primo grado; viceversa, tale ordinanza è ricorribile per cassazione ove dichiari l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali, essa avendo, in tal caso, carattere definitivo e valore di sentenza, in quanto la declaratoria di inammissibilità dell’appello per questioni di rito non può essere impugnata col provvedimento di primo grado e, ai sensi dell’art. 348-bis cod. proc. civ., deve essere pronunciata con sentenza;
che, secondo un altro orientamento (Sez. VI-3, 17 aprile 2014, n. 8940), il ricorso per cassazione, sia ordinario che straordinario, non è mai esperibile avverso l’ordinanza che dichiari l’inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis cod. proc. civ., e ciò a prescindere dalla circostanza che essa sia stata emessa nei casi in cui ne è consentita l’adozione, ovvero al di fuori di essi, ostando, quanto all’esperibilità del ricorso ordinario, la lettera dell’art. 348-ter, terzo comma, cod. proc. civ. (che definisce impugnabile unicamente la sentenza di primo grado), mentre, quanto al ricorso straordinario, la non definitività dell’ordinanza, dovendosi valutare tale carattere con esclusivo riferimento alla situazione sostanziale dedotta in giudizio, della quale si chiede tutela, e non anche a situazioni aventi mero rilievo processuale, quali il diritto a che l’appello sia deciso con ordinanza soltanto nei casi consentiti, nonché al rispetto delle regole processuali fissate dall’art. 348-ter cod. proc. civ.;
che, atteso il rilevato contrasto, il Collegio ritiene opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione dei ricorsi riuniti alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte, visto l’art. 374 cod. proc. civ., rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione dei ricorsi riuniti alle Sezioni Unite.
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