banca

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 23 luglio 2014, n. 16740

Svolgimento del processo

1. La Corte d’appello di Venezia ha accolto l’appello proposto da Veneto Banca scpa (ora Veneto Banca Holding scpa e prima ancora Veneto Banca scarl) avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza con la quale era stata, a sua volta, accolta la domanda revocatoria proposta dal commissario liquidatore della società Raffaello 80 Spa (già Gruppo Zanini Holding SpA) in LCA e la prima condannata al pagamento, in favore della seconda, di una somma di danaro, previa dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 67, comma 2, lf, della rimessa (di £ 1.270.000.000, eseguita in data 17.7.1992) effettuata dalla società collegata, Gruppo Zanini Italia SpA, nell’anno anteriore alla apertura della procedura di liquidazione coatta, sul conto corrente intrattenuto dalla società insolvente con la predetta Banca, eliminando il debito pari alla scopertura del conto.
In particolare, la società collegata, senza essere in alcun modo obbligata, aveva compiuto l’operazione di giroconto della somma ancora dovuta alla Banca dalla propria consociata sulla base dell’operazione – compiuta con la stessa Banca creditrice – di sconto di un rilevante numero di effetti commerciali, per un ammontare di gran lunga superiore a quel debito, rimasti tutti insoluti.
2. Secondo la Corte territoriale, poiché la banca non consentiva più al correntista l’utilizzazione del conto, avendolo “revocato”, né gli consentiva più la movimentazione ma solo “l’annotazione degli addebiti ordinari”, il pagamento effettuato dal terzo, a tacitazione di un suo debito, senza l’impiego di denaro suo, ovvero senza l’utilizzazione di somme proprie del terzo recuperate, in via di rivalsa, prima dell’apertura della procedura concorsuale, sarebbe stato non revocabile perché atto neutro, non incisivo della par condicio creditorum, e conferente al solvens solo il diritto di insinuarsi al passivo della procedura concorsuale per la somma corrispondente a quanto pagato.
3. Avverso tale decisione la Curatela ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
4. La Banca resiste con controricorso.
In prossimità dell’udienza, entrambe le parti hanno depositato, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., memoria contenente note illustrative.

Motivi della decisione

1.1. Con il primo mezzo di ricorso (Erronea equiparazione della revoca dell’apertura di credito – regolata in conto corrente bancario – allo scioglimento del contratto di conto corrente bancario; Difetto di motivazione; Erronea individuazione nella Banca, anziché nel correntista, del destinatario del pagamento eseguito mediante accreditamento bancario su conto corrente scoperto) la ricorrente ha censurato la decisione della Corte d’Appello ed ha chiesto di pronunciarsi sul seguente quesito plurimo:
“Allorché un’apertura di credito sia regolata in conto corrente, il recesso della banca dall’apertura di credito determina di per sé lo scioglimento altresì del rapporto di conto corrente? Ovvero lo scioglimento del rapporto di conto corrente può determinarsi, anche in questo caso, esclusivamente in virtù di altro atto o fatto idoneo a determinare lo scioglimento? Nel comportamento della banca, che receda dall’apertura di credito ma non receda espressamente dalla convenzione d’assegno, non estingua il conto corrente, e accetti di ricevere per conto del cliente accreditamenti disposti a favore del conto corrente a lui intestato, può ravvisarsi un recesso della banca dal rapporto di conto corrente rebus ipsis ac factis? Il pagamento eseguito mediante rimessa proveniente da un terzo su conto corrente bancario scoperto può qualificarsi come pagamento a favore della banca, ovvero la soddisfazione del credito della banca avviene in tal caso in virtù della compensazione del credito della banca verso il correntista per le somme riscosse per suo conto in virtù dell’accreditamento eseguito dal terzo?”.
Secondo la ricorrente, la Corte veneziana avrebbe immotivatamente ed erroneamente equiparato la revoca dell’apertura di credito in conto corrente allo scioglimento del rapporto costituito con la convenzione relativa al conto corrente, in quanto il primo accede alla seconda, senza confondersi con essa. Venuta meno l’apertura di credito, per effetto del recesso della banca, non per questo era cessato il rapporto di conto corrente in sé stesso.
Nel protrarsi di tale rapporto, pertanto, la somma accreditata sul conto, ancora in essere, sarebbe andata a compensare il debito della società poi fallita, solo per il tramite di quel conto e con somme divenute della società correntista, dopo il relativo accreditamento.
1.2. Con il secondo motivo (Erronea individuazione dei presupposti della revocabilità della rimessa su conto corrente eseguito dal terzo – Violazione del principio dell’onere della prova – Difetto di motivazione) la ricorrente ha chiesto di pronunciarsi sul seguente, articolato, quesito:
“La rimessa sul conto corrente bancario dell’imprenditore poi fallito, che sia eseguita da un terzo, deve sempre equipararsi alla fattispecie del pagamento da parte del terzo, ai fini del giudizio sulla soggezione o meno della rimessa alla revocatoria fallimentare? Ovvero la circostanza che la rimessa affluisca sul conto corrente intestato al fallito determina l’imputazione al fallito, in via di principio, del pagamento che, in virtù della rimessa, ne consegua a favore della banca, per effetto della corrispondente riduzione del saldo passivo del conto? Ai fini dell’equiparazione al pagamento del terzo della rimessa eseguita da un terzo su un conto scoperto, è necessario che la banca provi che il terzo esegui la rimessa esclusivamente e specificamente al fine di estinguere un proprio obbligo verso la banca? In difetto, è sufficiente la prova della circostanza che il conto fosse scoperto (di modo che fosse presumibile che l’effetto della rimessa sarebbe stato costituito da una riduzione, o dall’estinzione, del debito del correntista verso la banca) ? Ovvero, difettando la prova che il terzo intendeva soddisfare un credito della banca nei suoi confronti, è necessario che la banca provi, quanto meno, che il terzo sapeva che il conto era scoperto, e che intendeva favorire il correntista debitore, senza animo di rivalsa nei suoi confronti?”.
Secondo la Curatela, la Corte veneziana avrebbe frainteso l’insegnamento di questa Corte, riguardo alle rimesse eseguite da un terzo sul conto del fallito, non applicando correttamente il principio dell’onere della prova.
Infatti, la rimessa del terzo, di regola, non si sottrarrebbe alla revocatoria, salvo che si provi che la medesima sia stata effettuata non per porre le somme a disposizione del correntista, ma in adempimento di un proprio obbligo verso la banca (es. in caso di fideiussione), che nella specie difettava. Avendo accreditato la somma sul conto della debitrice, il relativo pagamento non era imputabile al terzo ma al fallito. Né vi sarebbe stata la prova che il terzo fosse a conoscenza che delle somme versate avrebbe profittato la banca creditrice. Sarebbe stato onere della banca dimostrare che si era in presenza del pagamento di un terzo, insuscettibile di revocatoria.
2. I due motivi, tra loro strettamente connessi, in quanto diretti a provocare una ricognizione delle linee interpretative sviluppate da questa Corte a proposito della revocabilità del pagamento eseguito dal terzo, meritano una trattazione unitaria, anche in ragione della proposizione articolata e plurima dei quesiti di diritto proposti dalla curatela ricorrente.
2.1. Va premesso che la questione del pagamento del terzo ha agitato la giurisprudenza di questa Corte nel corso degli anni ’90 e fino alla risoluzione dei contrasti, insorti in quel lasso di tempo, ad opera del noto arresto delle Sezioni Unite (la Sentenza n. 16874 del 2005).
Prima di allora, alcune pronunce avevano affermato, in contrasto con l’orientamento largamente prevalente che, nell’ipotesi in cui il terzo aveva compiuto un versamento sul conto corrente dell’imprenditore, quest’ultimo acquistava la titolarità della rimessa, con conseguente assoggettabilità dei versamenti alla regola per la quale la revocabilità è condizionata alla funzione solutoria e non meramente ripristinatoria della provvista nei confronti della banca (tra le altre, Cass. n. 11520 del 1998). In tal caso, nell’operazione, si sarebbe inserito “il diaframma del rapporto di conto corrente, nel quale il versamento del terzo viene attratto, venendo – per effetto di quello – a costituire non altro che una variazione quantitativa del conto, una posta attiva, cioè del correntista, nella cui titolarità l’importo accreditato viene quindi a confluire”.
2.2. La sentenza n. 13479 del 2002, tra le altre, aveva efficacemente reagito contro tale révirement ed era tornata a riaffermare il principio secondo cui, le rimesse effettuate dal terzo non fideiussore sul conto corrente dell’imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell’art. 67, secondo comma, legge fall., quando risulti che, attraverso la rimessa, il terzo non ha posto la somma nella disponibilità giuridica e materiale del debitore ma, senza – perciò – utilizzare una provvista dello stesso debitore e senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento, ha adempiuto, in qualità di terzo, l’obbligazione del debitore principale o quella dell’eventuale fideiussore.
Infatti, secondo tale condivisibile indirizzo, quando il credito della banca è esigibile, la rimessa effettuata da un terzo sul conto corrente del debitore poi fallito è, ai fini della revocatoria fallimentare, un “atto neutro”, come è dimostrato dal fatto che la rimessa può trovare giustificazione tanto nell’adempimento di una obbligazione nei confronti del correntista, tanto in un atto di liberalità nei suoi confronti, quanto nell’adempimento di una propria obbligazione, se chi effettua la rimessa ha garantito l’esposizione del correntista, quanto ancora nell’adempimento di terzo dell’obbligazione del correntista. Insomma, la rimessa deve essere valutata assieme alle ragioni che hanno determinato il terzo ad effettuarla (causa del pagamento).
Né si può utilmente obiettare che, comunque, il versamento di danaro, in quanto bene fungibile, è di per sé sufficiente a farne acquistare la disponibilità al correntista, riconducendo ad una posta attiva del suo conto la corrispondente riduzione del credito della banca. La disponibilità, in questo caso, è meramente contabile e non ha alcuna autonomia rispetto all’estinzione del debito del correntista.
Quindi, il “diaframma” ipotizzato dalla ricordata sentenza n. 11520/1998 è soltanto apparente poiché non comporta in nessun momento la disponibilità materiale o giuridica della somma da parte del correntista, ma l’accredito svolge solo una funzione contabile ed agevolatrice dello stesso pagamento estintivo: il simulacro di tale “diaframma”, insomma, è solo un aspetto della modalità prescelta per l’estinzione del debito.
In tale prospettiva è evidente l’assenza di una qualsiasi lesione della par condicio creditorum, quando il credito della banca è soddisfatto da una rimessa del terzo in alcun modo collegabile con il patrimonio del debitore.
2.3. L’indicato ripristino dell’originario orientamento interpretativo della legge e dei fenomeni economici sottostanti il pagamento del terzo (la sua causa variabile) ha trovato pieno accoglimento da parte delle Sezioni unite, che con la già citata Sentenza n. 16874 del 2005, hanno condiviso la non revocabilità delle rimesse effettuate dal terzo fideiussore sul conto corrente dell’imprenditore, quando risulti che, attraverso la rimessa, il terzo non ha posto la somma nella disponibilità giuridica e materiale del debitore, ma – senza utilizzare una provvista del debitore e senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento – ha adempiuto in qualità di terzo fideiussore l’obbligazione di garanzia nei confronti della banca creditrice. Né la modalità del pagamento determina, di per sé, l’acquisizione della disponibilità della somma da parte del titolare del conto corrente, perché essa è soltanto contabile ed è priva di autonomia rispetto all’estinzione del debito da parte del terzo, né la violazione della par condicio creditorum.
2.4. La giurisprudenza successiva ha pienamente confermato tale dictum ed anzi, a conferma della pluralità della cause concrete che possono sottostare al giroconto o bonifico del terzo sul conto del debitore della Banca, a conferma del suo carattere neutro e non alterativo della par condicio creditorum, ha ribadito la possibilità che tale pagamento corrisponda ad interessi affatto diversi rispetto a quello, statisticamente più frequente, della coobbligazione del terzo (come nel caso, tipico, del fideiussore). Si sono così, ad esempio, considerate (Sez. 1, Sentenza n. 13092 2008) non revocabili ai sensi dell’art. 67, secondo comma, legge fall., le rimesse effettuate dal terzo sul conto corrente dell’imprenditore, poi fallito, quando risulti che attraverso tali atti il terzo ha adempiuto ad un’obbligazione, per quanto già gravante sul debitore, in relazione ad un rapporto esistente con la banca creditrice, per evitare le conseguenze cui l’esporrebbe l’inadempimento, dunque nel proprio interesse (pagamento effettuato in favore della banca creditrice del fallito da un terzo acquirente di immobili ipotecati in favore della banca stessa, al fine di ottenere la cancellazione dell’ipoteca).
2.5. Nel caso che ci occupa, invece, è pacifico tra le parti che, il solvens ha corrisposto il pagamento sul conto “congelato” (perché l’affidamento era stato revocato) allo scopo di liberare il debitore del saldo passivo esigibile relativo al conto corrente intrattenuto con la banca, attraverso un meccanismo espromissorio, il cui interesse è stato concretamente manifestato dalla stessa società pagatrice e che si riassume nello scopo, proclamato ma anche evidente, di concentrare sul proprio conto il debito relativo all’intero gruppo di società (disponibilità ottenuta, peraltro, dalla stessa Banca, attraverso l’anticipazione della valuta sullo sconto di effetti e titoli, tornati poi insoluti). Un interesse che, per quanto non correlato ad un debito proprio, è pienamente compatibile con il meccanismo del pagamento del terzo non revocabile, la cui causa può essere onerosa ma anche gratuita, e che esige soltanto, quale condizione per non alterare la par condicio creditorum, che attraverso essa non si utilizzi una provvista dello stesso debitore né ci si rivalga nei suoi confronti prima del fallimento.
2.6. Quanto al riparto dell’onere probatorio tra le parti, questa Corte ha già stabilito (Sez. 1, Sentenza n. 22247 del 2012), ed in questa sede deve ribadire, che il creditore convenuto in revocatoria è onerato della sola prova della provenienza del pagamento dal terzo, configurandosi la relativa allegazione come un’eccezione in senso proprio, mentre invece incombe sul curatore, una volta accertata l’avvenuta effettuazione di detto pagamento, la dimostrazione, anche mediante presunzioni semplici, che la corrispondente somma sia stata fornita dal fallito.
2.6.1. Nel caso di specie, è pacifico che il saldo passivo del conto, “congelato”, sia stato compensato attraverso il bonifico o giroconto del terzo, ciò che ne ha eliminato il “diaframma” (del conto) ed ha consentito l’estinzione del debito della fallita per mezzo del pagamento del terzo (e non del debitore), atto neutro che non ha comportato alcuna alterazione della par condicio creditorum.
3. Il ricorso va, pertanto, respinto e la ricorrente curatela condannata al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida,, in complessivi Euro 16.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali, stabilite nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

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