Corte di cassazione – Sezione I civile – sentenza 17.10.2011, n. 21398.L’azione revocatoria può essere proposta anche a tutela di una legittima aspettativa di credito
La Massima
L’azione revocatoria può essere proposta non solo a tutela di un credito certo, liquido ed esigibile, ma in coerenza con la sua funzione di conservazione dell’integrità del patrimonio del debitore, quale garanzia generica delle regioni creditizie, anche a tutela di una legittima aspettativa di credito.
Il testo integrale sentenza 17 ottobre, n. 21398
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I
Svolgimento del processo
La Co.Ge.F. s.p.a. in liquidazione agiva in giudizio nei confronti di R.G. e M.P., per ottenere la declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c., dell’atto a rogito notaio C. di Padova del 21/9/1989, di costituzione di usufrutto vitalizio da parte del R. ed a favore della M., sugli immobili di proprietà siti in (OMISSIS), siccome compiuto in pregiudizio delle ragioni creditorie vantate dalla società attrice nei confronti del R., per finanziamenti allo stesso concessi.
I convenuti si costituivano, contestavano la fondatezza della domanda, sull’assunto che i crediti, per la conservazione delle cui garanzie era stata esercitata l’azione, erano sorti nel 1991, e quindi successivamente alla costituzione dell’usufrutto, che, comunque, aveva ad oggetto un bene che non esauriva il patrimonio del debitore.
Veniva disposta C.T.U., per valutare la consistenza del patrimonio del R. anteriormente alla costituzione dell’usufrutto nonchè per valutare il valore dell’usufrutto costituito a favore della M..
Il giudizio veniva interrotto a seguito della declaratoria del fallimento del R., socio illimitatamente responsabile; la causa veniva proseguita ad impulso del Fallimento P. s.r.l. e R. G., intervenuto in causa ex art.43 L.F., facendo propria la domanda della Co.Ge.F. s.p.a. in liquidazione; si costituivano sia detta società che la M..
Il Tribunale dichiarava la sopravvenuta carenza di legittimazione attiva della Co.Ge.F. s.p.a. in liquidazione ed accoglieva la domanda, dichiarando l’inefficacia nei confronti del Fallimento della P. s.r.l. e del R. dell’atto di costituzione di usufrutto in favore della M..
Avverso detta pronuncia interponeva appello la M.;
si costituivano il Fallimento e la Co.Ge.F. s.p.a. in liquidazione, che proponeva appello incidentale.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza 29 agosto 2005, ha respinto l’appello principale, accolto l’incidentale e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, ha condannato la M. alla rifusione alla Co.Ge.F. s.p.a. delle spese del primo grado, ed ha regolato le spese del secondo grado secondo il principio della soccombenza, gravando delle stesse la M..
La Corte del merito ha ritenuto che il Fallimento era intervenuto per la prosecuzione del processo, sostituendosi alla Co.Ge.F. e non al debitore fallito, per cui erano infondate le eccezioni di novità della domanda e di prescrizione; che la costituzione di ipoteca volontaria del 13/3/1991 sui beni del R., e, per quello di cui è causa, limitato alla nuda proprietà, in data successiva all’atto di cui si tratta, non provava che alla creditrice fosse noto l’atto di disposizione, con accettazione dei riflessi sulla garanzia patrimoniale, atteso che la circostanza invocata era successiva sia al sorgere del credito che all’atto di cui si chiedeva l’inefficacia;
che la costituzione di usufrutto era avvenuta senza corrispettivo, come provato dallo stesso tenore dell’atto, nè poteva servire a confutare ciò la generica affermazione dell’appellante, di avere versato 100 milioni di lire, circostanza non provata; che era pertanto irrilevante che il terzo beneficiario fosse o meno consapevole del pregiudizio; che il credito era provato dai documenti prodotti dall’attrice, copie dei contratti di finanziamento e quietanze sottoscritte dal R., ed inidonea a contrastare detta prova la prova orale della M.; che, quanto alla dedotta natura di garanzia dell’obbligazione, mancava la prova di tale deduzione, e non era il creditore ma il debitore a dover provare l’estinzione dell’obbligazione; che era irrilevante che l’atto di disposizione non esaurisse l’intero patrimonio immobiliare del debitore, sufficiente essendo la variazione anche solo qualitativa dello stesso. La Corte territoriale ha accolto l’appello incidentale sulle spese proposto dalla Co.Ge.F..
Propone ricorso per cassazione la M., sulla base di sei motivi.
Si difendono con controricorso il Fallimento P. s.r.l. e R. G., nonchè la Co.Ge.F. s.p.a. in liquidazione, che ha depositato anche la memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1.1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione dell’art. 2901 c.c., in relazione alla proponibilità della domanda, “mancando la previsione di cui al n. 1, ipotesi seconda”. Secondo la ricorrente, vi è prova documentale agli atti che il presunto credito della Co.Ge.F. è successivo all’atto di cui si tratta, e pertanto, sulla base dell’art. 2901 c.c., n. 1, occorre la prova della dolosa preordinazione, del tutto carente, ed anzi sussistono elementi in senso opposto: la costituzione di usufrutto era giustificata, in quanto correlata alla nascita del figlio della coppia, avvenuta il (OMISSIS); il valore dell’immobile, che era già residenza della famiglia, costituiva circa un sesto dell’intero patrimonio del R..
1.2.- Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’esistenza della situazione debitoria.
Secondo la M., tale situazione non si può ritenere provata dal successivo fallimento del R.; in ogni caso, nella fase prefallimentare la Cogef aveva prodotto i contratti di finanziamento, mentre avrebbe dovuto produrre anche gli effetti cambiari ed altra documentazione, attestanti l’insolvenza; il R. non è stato posto in grado di avere certezza della propria situazione debitoria, nè di sapere il quantum del preteso debito e di riscuotere dai finanziatori le somme garantite personalmente, nè toccava a detta parte provare l’inesistenza del debito, ma alla Co.Ge.F. o alla Curatela.
1.3.- Con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione ed erronea applicazione delle norme in materia di ammissibilità della riassunzione da parte del Curatore e di prescrizione ordinaria ex art. 2903 c.c., e fallimentare L. Fall., ex art. 66.
Anche a ritenere esperita la revocatoria ordinaria, il Fallimento si è sostituito al preteso creditore, se mai poteva sostituirsi al fallito per proporre le sue stesse domande e non diverse e diametralmente opposte.
1.4.- Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, (travisamento del fatto) e n.5(contraddittoria motivazione ed illogicità manifesta, sotto il profilo della compartecipazione al consilium fraudis.
La Co.Ge.F. aveva chiesto ed ottenuto il 13/3/1991 dal R., che aveva emesso effetti cambiari, e per garantire il buon fine degli effetti dei terzi che avevano ottenuto finanziamenti, ipoteca convenzionale di lire 1.104.100.000 sugli altri beni e sulla nuda proprietà di quello di cui si tratta, e nell’atto di costituzione di ipoteca si faceva espresso riferimento alla proprietà gravata di usufrutto generale vitalizio a favore della M.: in tale situazione, secondo la ricorrente, non è ipotizzabile il consilium fraudis.
1.5.- Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ed illogicità manifesta della pronuncia, per il mancato riconoscimento della non contestata costituzione dell’usufrutto a titolo oneroso.
La M. ha sostenuto di avere versato al R. 100 milioni di lire, si trattava di risparmi, anche in parte di somme donate dal R.: sul punto, non vi è stata alcuna difesa, e pertanto deve considerarsi il dato come acquisito al processo.
1.6.- Con il sesto motivo, la ricorrente denuncia vìzio di violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.;
anche la Co. Ge.F. andava condannata alle spese e non solo verso la Curatela; l’importo è inoltre esagerato, visto che il Curatore si è costituito nel 1997, dopo che era stata celebrata buona parte del processo.
2.1.- Il primo motivo è inammissibile.
La Corte territoriale ha ritenuto la Co.Ge.F. creditrice del R., in forza delle copie dei contratti e delle quietanze sottoscritte da questi, ritenendo non provato che si trattasse di obbligazioni di garanzia, ed ha considerato l’atto oggetto di revocatoria quale atto a titolo gratuito ed anteriore al sorgere del credito della Co.Ge.F. Orbene, con il primo motivo, la M. intende denunciare vizio di violazione di legge, sul presupposto della insussistenza della dolosa preordinazione dell’atto, di cui al n. 1), seconda ipotesi dell’art. 2901 c.c., comma 1, che riguarda l’atto anteriore al sorgere del credito, senza censurare la statuizione della Corte territoriale in relazione alla ritenuta anteriorità del credito rispetto all’atto: la censura è evidentemente inidonea di per sè a condurre al risultato voluto dalla parte, non occorrendo fornire la prova della “dolosa preordinazione” del debitore ai fini dell’accoglimento della revocatoria in oggetto, ma della semplice conoscenza del pregiudizio.
2.2.- Il secondo motivo è infondato.
La ricorrente intende censurare la pronuncia della Corte del merito, sotto il profilo della ritenuta esistenza del credito della Co.Ge.F., ritenendo insufficiente il mero deposito dei contratti di finanziamento, sostenendo che sarebbe stato necessario provare l’insolvenza di coloro ai quali erano stati concessi i finanziamenti, anche considerandosi il R. come garante.
A riguardo, richiamato il costante orientamento, secondo il quale l’azione revocatoria può essere proposta non solo a tutela di un credito certo, liquido ed esigibile, ma in coerenza con la sua funzione di conservazione dell’integrità del patrimonio del debitore, quale garanzia generica delle regioni creditizie, anche a tutela di una legittima aspettativa di credito (così tra le ultime, Cass. 5359/2009, 20002/2008, 3981/2003 ), nella specie deve rilevarsi che la Corte del merito ha avuto riguardo ai contratti di finanziamento ed alle quietanze in atto,sottoscritte dal R., ed ha escluso che questi avesse assunto la qualità di garante, in quanto non provata: avverso dette statuizioni, la ricorrente, che nulla ha dedotto in relazione alla sottoscrizione da parte del R. delle quietanze, non ha nel resto addotto specifiche censure in relazione a quanto statuito dalla Corte del merito, limitandosi a sostenere che non vi era stata la quantificazione dei debiti, che parte attrice avrebbe dovuto provare 1’insolvenza dei finanziati e che il R. era garante, senza sul punto contrapporre alcuna argomentazione rispetto a quanto ritenuto dal Giudice del merito.
Del tutto generiche sono infine le doglianze sulle prove dedotte e non assunte, indicate come relative ad “una serie di circostanze che potevano essere utili per la decisione”, peraltro non accompagnate da alcuno specifico motivo.
2.3.- Il terzo motivo è infondato.
E’ a riguardo dirimente rilevare che, come tra le ultime ritenuto da Cass. 12513/2009 e dalla pronuncia delle S.U. 29420/2008, qualora sia stata proposta un’azione revocatoria ordinaria per far dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore, a seguito del fallimento del debitore, sopravvenuto in pendenza del relativo giudizio, il Curatore può subentrare nell’azione, in forza della legittimazione accordatagli dalla L. Fall., art. 66, assumendo la posizione dell’attore, restando l’interesse del singolo creditore assorbito in quello della massa dei creditori, per conto della quale sta ora in causa il Curatore medesimo; di conseguenza, trattandosi di un’azione che il Curatore trova nella massa fallimentare e che si identifica con quella che i creditori avrebbero potuto esperire prima del fallimento, la relativa prescrizione, anche nei confronti della Curatela decorre, ai sensi dell’art. 2903 c.c., dalla data dell’atto impugnato.
2.4. – Il quarto motivo è inammissibile.
La ricorrente infatti articola il motivo avuto riguardo alla ritenuta anteriorità dell’atto rispetto al credito ed al carattere di atto a titolo oneroso, dando per presupposti tali circostanze, senza censurare le differenti statuizioni della Corte del merito: il motivo è pertanto incongruo rispetto alla decisione.
2.5. – Il quinto motivo va ritenuto in parte inammissibile, in parte infondato.
La parte sostiene che non avendo la Co.Ge.F. proposto “alcuna domanda ulteriore” rispetto alla revocatoria ordinaria o “mai contestato successivamente l’avvenuto versamento della somma”, tale circostanza costituirebbe dato acquisito al processo, e prospetta la censura di vizio di violazione di legge quale “travisamento dei fatti” e di motivazione, quale “illogicità manifesta”. Quanto alla prima censura, anche a tacere della genericità della deduzione, è comunque palese l’inammissibilità, atteso che il “travisamento dei fatti” di cui la ricorrente intende dolersi, quale inesatta percezione da parte del Giudice di circostanza presupposta come base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risultante in atti, costituisce errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, e non come vizio di violazione di legge (sul principio, vedi le pronunce 15702/2010, 4056/2009, 213/2007, 830/2006, tra le tante).
Quanto alla censura di vizio di motivazione, la stessa è infondata, atteso che la Corte territoriale ha concluso per la natura gratuita dell’atto, considerando sia il tenore letterale dell’atto che la genericità dell’affermazione della M., di avere versato lire 100 milioni, circostanza non provata, ed ha quindi argomentato in modo completo,coerente e logico.
2.6.- Il sesto motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
La Corte del merito, con statuizione non impugnata da alcuna delle parti, ha ritenuto la Co.Ge.F. legittimata all’intervento adesivo dipendente, quindi parte processuale ed ha accolto l’appello incidentale della stessa in punto spese, per cui non si vede come detta parte possa essere ritenuta soccombente.
Quanto alla doglianza della ricorrente sul quantum delle spese di lite, la stessa è inammissibile, per non avere la ricorrente censurato la liquidazione delle spese con la specifica indicazione delle voci in ordine alle quali il Giudice del merito sarebbe incorso in violazione di legge superando il massimo della tariffa, limitandosi a far valere del tutto genericamente l’eccessiva onerosità della liquidazione e l’argomento che si sarebbe trattato di unica attività per il giudizio, da parte della Co.Ge.F. e della Curatela (all’evidenza, del tutto infondatamente, trattandosi di due parti processuali, ritenute ambedue legittimate al processo).
3.1.- Conclusivamente, il ricorso va respinto.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite al Fallimento Patris s.r.l. e R.G., liquidate in Euro 3000,00, oltre Euro 200,00 per spese, ed a favore della Co.Ge.F. s.p.a. in liquidazione, liquidate in Euro 4000,00, oltre Euro 200,00 per spese; oltre spese generali ed accessori di legge.
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