Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 14 marzo 2014, n. 6017
Fatto e diritto
Rilevato che:
1. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 1590/2008, ha dichiarato la separazione personale dei coniugi H.M.G. e P.A. rigettando le domande di addebito della separazione e determinando in Euro 4.800 la somma dovuta dal P. a titolo di assegno di mantenimento da corrispondere alla H. a decorrere dal febbraio 2008 e con rivalutazione annuale dal febbraio 2009.
2. Ha appellato la sentenza P.A. deducendo che le sue condizioni reddituali erano drasticamente peggiorate a seguito della cessazione delle funzioni di ambasciatore a Bratislava e del suo ritorno definitivo presso il Ministero degli Esteri che aveva determinato una forte contrazione dei suoi emolumenti mensili e la perdita di rilevanti benefici connessi all’incarico svolto all’estero. Ha aggiunto di non poter godere, per l’opposizione della H. , della comune abitazione in Roma e di aver appreso, dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, che la H. è titolare di un patrimonio immobiliare e mobiliare all’estero stimabile rispettivamente in circa 2.450.000 e in 500.000 dollari australiani. Ha chiesto pertanto la revoca dell’assegno di mantenimento contestandone i presupposti dato che il suo patrimonio immobiliare, preesistente al matrimonio, non è in grado né di raggiungere il valore di quello della H. né di realizzare una posizione di parità economica.
3. Si è costituita la H. e ha proposto appello incidentale al fine di ottenere la dichiarazione di addebito della separazione, per avere il P. provocato con una relazione extraconiugale ancora in corso la crisi del matrimonio, nonché l’elevazione dell’ammontare dell’assegno sino a 10.000 Euro mensili in considerazione del reddito accertato in misura ben più cospicua rispetto a quella rappresentata dal P. .
4. La Corte di appello di Roma ha accolto parzialmente l’appello principale riducendo a Euro 2.500 mensili l’assegno di mantenimento e ha rigettato l’appello incidentale. Ha compensato per un terzo le spese processuali del giudizio di appello ponendo a carico della H. la quota residua mentre ha confermato la integrale compensazione delle spese del giudizio di primo grado.
5. Ricorre per cassazione H.M.G. affidandosi a cinque motivi di impugnazione.
6. Si difende con controricorso P.A. .
7. Le parti depositano memorie difensive.
Ritenuto che:
8. Preliminarmente va rilevato che la pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, operando ex nunc dal momento del passaggio in giudicato, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale che sia iniziato anteriormente e sia tuttora in corso, ove esista l’interesse di una delle parti alla operatività della pronuncia e dei conseguenti provvedimenti patrimoniali (cfr. Cass. civ. sezione I n. 19555 del 26 agosto 2013). Nel caso in esame tale interesse sussiste sino alla data di emissione dei provvedimenti presidenziali temporanei e urgenti nel giudizio di divorzio, introdotto con ricorso del 7 luglio 2009,dato che tali provvedimenti, una volta emessi, non possono essere modificati con una decisione assunta in sede di giudizio di separazione (cfr. Cass. civ. sezione VI-1, ordinanza n. 17825 del 22 luglio 2013); peraltro i provvedimenti presidenziali hanno riprodotto le condizioni economiche fissate in sede di separazione.
9. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 342 c.p.c. e la omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La ricorrente ritiene che la Corte distrettuale avrebbe dovuto ritenere inammissibile l’appello perché non basato su una critica adeguata e specifica della decisione impugnata.
10. Il motivo è infondato. La Corte di appello ha già ampiamente risposto all’eccezione di inammissibilità dell’appello fondata sulle stesse argomentazioni con una motivazione che chiarisce analiticamente quale sia stato il contrasto portato dall’appellante alla motivazione di primo grado, sul quale si è basata la richiesta di esclusione del suo obbligo di contribuzione al mantenimento, e cioè la non adeguata valutazione delle condizioni economiche delle parti risultanti già dalle prove acquisite in primo grado e altresì da ulteriori prove non acquisibili in primo grado perché non disponibili e da circostanze sopravvenute.
11. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 143, 144, 145, 151 c.c. e 115 c.p.c. e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La ricorrente contesta la mancata dichiarazione di addebito della separazione sia con riferimento alla scrittura privata sottoscritta l’11 febbraio 2002 dai due coniugi e nella quale si dava atto della relazione extra-coniugale di cui era protagonista il P. , sia con riferimento al successivo comportamento consistito nella prosecuzione di tale relazione anche dopo l’inizio del giudizio di separazione e nell’abbandono del domicilio coniugale nel luglio 2002.
12. Il motivo è inammissibile perché ripropone censure attinenti al merito della decisione in presenza di una motivazione esauriente e priva di vizi logici con la quale la Corte di appello ha ritenuto che la relazione extraconiugale del P. non può essere considerata la causa della crisi coniugale dato che i coniugi erano disposti a proseguire la convivenza e a non chiedere la separazione nonostante fosse ben nota tale relazione, come risulta dalla scrittura privata del febbraio 2002 mentre il successivo allontanamento del P. è stato interpretato dalla Corte distrettuale come la presa d’atto della intollerabilità della convivenza che con la scrittura del mese di febbraio era stata concepita come mera conservazione formale dello status coniugale. Tale valutazione della Corte di appello appare ispirata al rispetto del principio più volte sancito dalla giurisprudenza secondo cui la violazione dei doveri coniugali non è sufficiente a fondare la pronuncia di addebito della separazione se non vi è altresì la prova che tale violazione abbia avuto una specifica efficienza causale nella determinazione della crisi coniugale e della intollerabilità della convivenza (Cass. civ. sez. I, n. 2059 del 14 febbraio 2012) e, relativamente a tale prova, la Corte di appello ha. ritenuto rilevante il contenuto della scrittura da cui ha dedotto un consolidato regime di formale convivenza.
13. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1321 e 1362 c.c. e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. nonché travisamento dei fatti che si traduce in vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c.. La ricorrente ritiene che la Corte di appello ha male interpretato la scrittura privata più volte citata ritenendo che con essa le parti avessero unicamente manifestato la volontà di “mettere una pietra sopra la relazione extraconiugale”, laddove invece la convenzione si collocava in una posizione di autonomia in quanto non era collegata al regime della separazione e l’intento comune delle parti era quello di regolare i propri rapporti economici senza rivolgersi al giudice.
14. Il motivo appare inammissibile in quanto non indica le specifiche violazioni dei canoni ermeneutici che imputa alla motivazione e, per altro verso, non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata che è stata proprio quella di interpretare la scrittura nel senso che le parti, nel tentativo di conservare il vincolo matrimoniale, vollero regolare i loro rapporti economici non in vista della separazione ma nella prospettiva di una prosecuzione del matrimonio.
Interpretazione da cui discende l’irrilevanza di tali accordi a seguito della constatazione della non proseguibilità della convivenza e della decisione di intraprendere la separazione.
15. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 156 c.c., 115 c.p.c. e 2697 c.c. e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La ricorrente lamenta che la Corte di appello non ha compiuto, ai fini dell’accertamento del suo diritto all’assegno di mantenimento, la ricostruzione concreta delle situazioni patrimoniali di entrambi i coniugi, del tenore di vita familiare durante il matrimonio, dei redditi dei coniugi e della idoneità del reddito della H. ad assicurarle il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
16. Il motivo è infondato. La Corte di appello compie nella sua motivazione una ricostruzione del reddito del P. , sino al suo pensionamento avvenuto nell’ottobre 2009, epoca da cui il controricorrente percepisce un reddito di 6.000 Euro mensili, e del reddito medio settimanale della H. di 450 dollari australiani, a fronte di una dichiarazione della stessa H. alla Family Court of Australia da cui risulta tale reddito da investimenti e una consistenza patrimoniale di 2.968.856 dollari australiani. La Corte da inoltre atto della impossibilità per la H. di percepire redditi da lavoro, in considerazione dell’età e della mancanza di una potenzialità lavorativa derivante dalla sua vita pregressa, e da atto, infine, della disponibilità da parte della H. della casa coniugale in XXXX, mentre il P. non dispone di un alloggio di proprietà ed è costretto a prenderlo in locazione. Sulla base di tutti questi elementi e del raffronto con quelli già accertati in primo grado, la Corte di appello è pervenuta a una rideterminazione dell’assegno in 2.500 Euro a partire dall’ottobre 2009 in considerazione della forte diminuzione del reddito da lavoro subita dal P. .
2 7. Con il quinto motivo di ricorso si deduce ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 146 c.c., e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo e controverso del giudizio. La ricorrente contesta l’affermazione della Corte di appello secondo cui l’allontanamento dalla residenza familiare da parte del P. non sia qualificabile come violazione di uno specifico dovere derivante dal matrimonio determinante l’impossibilità della prosecuzione della convivenza.
18. Il motivo è infondato,. La Corte di appello ha ricostruito, come si è detto in precedenza, il protrarsi, dopo la scrittura del febbraio 2002, della convivenza come un tentativo di mantenere in vita un vincolo ormai di natura formale e ha descritto l’abbandono del domicilio familiare da parte del P. come la presa d’atto dell’insuccesso di tale tentativo addebitando pertanto la crisi coniugale a fattori preesistenti che avevano determinato da tempo la fine dell’affectio conlugalls.
19. Il ricorso va pertanto respinto con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 3.200 Euro di cui 200 Euro per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.
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