SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I
SENTENZA 11 aprile 2016, n. 7068
Ritenuto in fatto
D.M.L. proponeva ricorso ex art. 19 Dlgs n. 5/2003, nei confronti della Banca Passadore & C. SPA, chiedendo dichiararsi la nullità del “contratto di borsa”, per vizio di forma, e la restituzione della somma di Euro 24.903,71, impiegata nell’acquisto di Bond Argentini.
Costituitosi il contraddittorio, la banca chiedeva il rigetto della domanda.
Il G.I. disponeva il mutamento del rito, assegnando i termini di cui all’art. 6 del predetto decreto legislativo.
Con sentenza in data 03/07/2007, il Tribunale di Genova dichiarava la nullità per vizio di forma del contratto di acquisto dei Bond Argentini e condannava la convenuta alla restituzione della somma di Euro 24.903,71, ordinando all’attrice di restituire alla banca i titoli suindicati.
Proponeva appello la banca. Costituitosi il contraddittorio, l’appellata ne chiedeva il rigetto. La Corte di Appello di Genova, con sentenza in data 28/01/11, in riforma della sentenza appellata, rigettava le domande della D.M. e la condannava a restituire le somme a lei versate dalla Banca, in esecuzione della sentenza del Tribunale.
Ricorre per cassazione la D.M. .
Resiste, con controricorso, la banca.
Entrambe le parti hanno depositato memoria per l’udienza.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 99, 112, 336, 342 cpc per vizio di ultrapetizione e violazione del principio tantum devolutum quantum appellatum, nonché del principio relativo alla decadenza dalla richiesta di restituzione, ove l’appello sia proposto successivamente all’esecuzione della sentenza di primo grado.
Con il secondo, subordinatamente, violazione dell’art. 329 c.p.c., per omessa motivazione sulla mancanza di richiesta di restituzione di quanto pagato, e per violazione del principio per cui la sentenza costitutiva non è provvisoriamente esecutiva, e il trasferimento della proprietà dei titoli dalla ricorrente alla banca appare incompatibile con la volontà di avvalersi della impugnazione.
Con il terzo, subordinatamente, violazione degli artt. 2 e 6 Dlgs n. 3 del 2003, artt. 133, 134 c.p.c., nonché insufficiente motivazione ed interpretazione della domanda di nullità ex art. 23 T.U.F. del contratto quadro per mancanza di forma scritta, censurandosi l’affermazione circa l’affermata tardiva eccezione, contenuta nella comparsa conclusionale in primi grado; violazione degli artt. 1322, Il comma e 1323 c.c. e del principio dei negozi funzionalmente collegati.
Con il quarto, violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., nonché del giudicato interno, non essendo stata impugnata per intero la motivazione della sentenza di primo grado, essendo così passate in giudicato le affermazioni per cui la produzione in giudizio del contratto sostituirebbe la sottoscrizione solo nel caso che non fosse stata manifestata la volontà di revoca, e comunque determinerebbe il perfezionamento del contratto, ex nunc (nella specie, in tempo successivo agli acquisti de quibus).
Con il quinto, subordinatamente, violazione dell’art. 1350 n. 13 e dell’art. 23 T.U.F. con vizio di motivazione ed extra-petizione ex art. 112 c.p.c., avendo l’atto di appello censurato la sentenza di primo grado solo sul fatto che il contratto di negoziazione era stato effettuato in forma di corrispondenza tra le parti, e la Corte di Appello aveva invece parlato di validità di un unico documento.
Con il sesto, subordinatamente, violazione dell’art. 29 Reg. Consob e vizio di motivazione sugli effetti di inadeguatezza per dimensione dell’investimento.
Con il settimo, subordinatamente, violazione dell’art. 21 T.U.F., 1453, 2043 c.c., là dove la Corte di Appello aveva escluso la prevedibilità nel 2000 del default argentino, nonché la necessità di informazione successiva e di comunicazione del rating.
Il ricorso appare ammissibile.
Seppure in modo assai stringato, sono sufficientemente evidenziate tanto lo svolgimento del processo che le questioni dedotte e dibattute, e, dalla narrativa e dalla trattazione dei motivi, emerge con chiarezza il contenuto del contratto quadro.
Passando all’esame dei motivi e delle questioni in essi trattate, va precisato che dall’atto di appello della banca e dalle conclusioni di essa contenute nella sentenza impugnata, emerge che la banca stessa intendeva che fossero rigettate tutte le domande formulate dalla D.M. , con restituzione ad essa della somma trasferita alla cliente, in virtù della provvisoria esecutività della pronuncia di nullità del contratto. Nell’appello della banca era specificamente indicato che, in pendenza del termine per l’impugnazione, essa aveva dato esecuzione alla sentenza, con riserva di impugnarla, ricevendo in restituzione i titoli, e trasferendo, come si diceva, alla D.M. il prezzo di acquisto maggiorato degli interessi. Bene aveva fatto dunque il giudice a quo, rigettando le domande della D.M. ta condannarla alla restituzione della somma, senza violazione alcuna dell’art. 112 c.p.c..
Va altresì precisato che le argomentazioni indicate dalla ricorrente, per cui la produzione in giudizio del contratto sostituirebbe la sottoscrizione solo nel caso che non fosse stata manifestata la volontà di revoca, e comunque determinerebbe il perfezionamento del contratto, ex nunc (nella specie, in tempo successivo agli acquisti de quibus) non sono capi della sentenza bensì come si diceva, mera argomentazioni di diritto, prive di autonoma individualità. Non si può quindi parlare di passaggio in giudicato relativamente a tali profili.
Va invece accolta la tesi della ricorrente che aveva tempestivamente eccepito la nullità del contratto quadro per vizio di formate non solo la nullità degli ordini di acquisto. Dal contenuto del ricorso ex art. 19 emergeva la richiesta di dichiarazione di nullità del ‘contratto di borsa’ per assenza di sottoscrizione, richiesta ad substantiam, richiamandosi l’assenza di contratto scritto (violazione dell’art. 23 T.U.F.) e denunciandosi che non vi era stato alcun contratto di intermediazione né alcun ordine scritto. Errata è dunque l’affermazione che l’odierna ricorrente avrebbe eccepito la nullità del contratto quadro in epoca successiva.
Va dunque esaminato se, nella specie, il contratto di negoziazione debba ritenersi nullo. Esso è stato prodotto dalla banca e reca la sottoscrizione della ricorrente, ma non del rappresentante della banca stessa.
Al momento della stipulazione erano vigenti la L. n. 1 del 1991 e il Dlgs n. 58 del 1998. Com’è noto, l’art. 6 L. n. 1/91, confermato dall’art. 23 Dlgs n. 58/98, introduceva il requisito di forma scritta ad substantiam per il contratto quadro (al riguardo Cass. N. 10598 del 2005; 11 del 2004).
È appena il caso di precisare che tale requisito richiede necessariamente che siano formalizzate le dichiarazioni negoziali di proposta ed accettazione, in un unico contesto ovvero anche in tempi e contesti diversi.
Sussistendo controversia, la prova dell’esistenza del contratto richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa, o delle relative scritture (Cass. N. 26174 del 2009). Al contrario, la stipulazione non può essere desunta, in via indiretta, da dichiarazioni di contenuto differente (ad es. di scienza, di ricognizione, ecc.). Né potrebbero all’evidenza, sopperire prove testimoniali, per presunzioni, il giuramento o la confessione (tra le altre, al riguardo Cass. N. 2 del 1997).
Orientamento consolidato di questa Corte (tra le altre: Cass. N. 22223 del 2006; n. 12711 del 2014) precisa che alla mancata sottoscrizione di una scrittura privata, può sopperirsi con la produzione in giudizio del documento stesso da parte del contraente non firmatario che se ne intende avvalere.
La giurisprudenza suindicata afferma che la produzione in giudizio, realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto ex nunc, salvo, in ogni caso, che l’altra parte abbia revocato la proposta ovvero sia deceduta, determinando la morte, l’estinzione automatica della proposta, che non sarebbe dunque impegnativa per gli eredi.
Giurisprudenza altrettanto consolidata di questa Corte (tra le altre, Cass. S.U. n. 5395 del 2007) afferma che, dopo la stipulazione del contratto di negoziazione, gli ordini di acquisto e le operazioni di compravendita danno luogo ad atti sicuramente negoziali, ma non a veri e propri contratti, per di più autonomi rispetto all’originale contratto quadro di cui essi costituiscono attuazione ed adempimento.
La nullità del contratto incide dunque sulla validità dei successivi ordini di acquisto stante anche l’esclusione di ogni forma di convalida del contratto nullo ex art. 1423 c.c..
Pertanto, nella specie, la produzione in giudizio del contratto di negoziazione da parte della banca, non rende validi retroattivamente gli ordini di acquisto e le operazioni di compravendita de quibus, con la conseguente necessità di restituzione della somma impiegata dal cliente e dei titoli alla banca.
Va pertanto accolto al riguardo il ricorso, rimanendo assorbita ogni altra questione proposta.
Va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Genova)in altra composizione, che pure deciderà sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Appello di Genova; in diversa composizione.
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