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ToggleIl D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, così come il precedente D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 18 stabilisce che i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento debbano essere redatti per iscritto a pena di nullità, ma già la L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6, lett. c), poneva il medesimo requisito di forma per la stipulazione del “contratto quadro” . La univocità e la continuità interpretativa delle norme che si sono succedute in ordine alla qualificazione giuridica dell’obbligo di forma scritta, facilitano l’esame della censura e rendono irrilevante l’individuazione applicabile a tutto il rapporto, al suo momento genetico, al suo sviluppo attuativo.
L’obbligo in questione, dettato, secondo la prevalente opinione, a fini protettivi dell’investitore, non è incompatibile con la formazione del contratto attraverso lo scambio di due documenti, entrambi del medesimo tenore, ciascuno sottoscritto dall’altro contraente. Non v’è difatti ragione di discostarsi dall’insegnamento più volte ribadito, secondo cui il requisito della forma scritta ad substantiam è soddisfatto anche se le sottoscrizioni delle parti sono contenute in documenti distinti, purchè risulti il collegamento inscindibile del secondo documento al primo, “sì da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo”.
Ne consegue che vertendosi in tema di forma scritta sotto pena di nullità, in caso di formazione dell’accordo mediante lo scambio di distinte scritture inscindibilmente collegate, il requisito della forma scritta ad substantiam in tanto è soddisfatto, in quanto entrambe le scritture, e le corrispondenti dichiarazioni negoziali, l’una quale proposta e l’altra quale accettazione, siano formalizzate. E, insorta sul punto controversia, vale la regola generale secondo cui, con riguardo ai contratti per i quali la legge prescrive la forma scritta a pena di nullità, la loro esistenza richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa scrittura .
La stipulazione del contratto non può viceversa essere desunta, per via indiretta, in mancanza della scrittura, da una dichiarazione quale quella nella specie sottoscritta dall’investitore: “Prendiamo atto che una copia del presente contratto ci viene rilasciata debitamente sottoscritta da soggetti abilitati a rappresentarvi”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Sentenza 27 aprile 2016, n. 8395
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPPI Aniello – Presidente –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27563-2012 proposto da:
P.G., (c.f. (OMISSIS)), G.A.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA T. CAMPANELLA 41, presso l’avvocato LAILA PERCIBALLI, rappresentati e difesi dall’avvocato VALENTINO FIORIO, giusta procura in calce al ricorso; – ricorrente –
contro
BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI CASALGRASSO E SANT’ALBANO STURA SOC. COOP. A R.L.; – intimata –
nonchè da:
BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI CASALGRASSO E SANT’ALBANO STURA SOC. COOP. A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SANT’ANDREA DELLA VALLE 6, presso l’avvocato NICOLA PALOMBI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GINO CAVALLI, MASSIMILIANO BIANCHI, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale; – controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
P.G., G.A.M.; – intimati –
avverso la sentenza n. 1024/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 05/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/02/2016 dal Consigliere Dott. MARIA AFTFRNO;
udito, per i1 ricorrente, l’Avvocato M. E RECHICHI, con delega, che si riporta;
udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato N. PALOMBI che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
Svolgimento del processo
P.G. ed G.A.M. hanno convenuto in giudizio la Banca di Credito Cooperativo di Casalgrasso e Sant’Albano Stura deducendo che tra il 7 agosto 1997 ed il 29 gennaio 2001 essi avevano operato presso la banca 19 acquisti di obbligazioni argentine per il controvalore di Euro 879.498,10 senza che i singoli ordini fossero preceduti da un valido contratto quadro avente ad oggetto la prestazione del servizio di negoziazione. Inoltre la banca aveva agito in conflitto d’interessi, aveva violato l’obbligo di segnalazione della inadeguatezza delle operazioni nonchè gli obblighi informativi relativi alle caratteristiche ed ai rischi effettivi connessi agli investimenti eseguiti.
La Banca ha ritenuto l’esistenza di un contratto quadro del tutto valido avendo provveduto a produrlo ancorchè sottoscritto soltanto dagli investitori.
Ha inoltre precisato che nel 2001 era stato sottoscritto un nuovo contratto quadro con relativa scheda di profilatura nella quale gli attori avevano dichiarato di avere intenti speculativi, media esperienza e alta propensione al rischio.
Il Tribunale ha accolto la domanda di nullità del contratto ed ha condannato al pagamento dell’intera somma investita.
Su impugnazione della banca intermediaria, la Corte d’appello ha invece ritenuto che il contratto quadro fosse valido ed efficace sulla base delle seguenti argomentazioni:
il contratto quadro in considerazione è quello stipulato il giorno (OMISSIS);
il contratto non può ritenersi nullo per mancanza di forma scritta in quanto prodotto dalla banca nella copia sottoscritta dagli investitori. Nel testo è contenuta la seguente formulazione:
“prendiamo atto che un esemplare del presente contratto ci viene rilasciato debitamente sottoscritto dai soggetti abilitati a rappresentarvi”.
Da tale formula si deve desumere che il contratto si sia perfezionato mediante scambio di corrispondenza comportante secondo la prassi il trattenimento presso ciascuna parte della copia sottoscritta dall’altra.
La sottoscrizione da parte degli investitori, unita all’effettiva successiva instaurazione di un rapporto di negoziazione che è stato regolarmente eseguito, depone per l’effettivo incontro delle volontà negoziali delle parti. Deve, pertanto, escludersi che l’attività di negoziazione sia posta in essere in mancanza di un corrispondente e consapevole consenso dei clienti.
Peraltro vi è la dichiarazione scritta degli investitori di essere in possesso di una copia del contatto sottoscritta dalla banca.
Infine la L. n. 1 del 1991, art. 1 non prevedeva l’obbligo di forma scritta ad substantiam; nè tale obbligo è stato previsto dalle fonti comunitarie (Direttiva n. 93/22/CE del 10 maggio 1993; Direttiva 2004/39/CE del 21/4/2004).
Solo a partire dal D.Lgs. n. 415 del 1996 (art. 18) e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 è stata prevista la sanzione della nullità da intendersi in modo diverso da quello codicistico derivante dagli artt. 1350 e 1418 cod. civ., in quanto da intendersi in modo non formale ma funzionale alla rimozione dell’asimmetria informativa riguardante la posizione dell’investitore. Anche la rilevabilità soltanto da parte del cliente ne è un indice. Si tratta pertanto di nullità di protezione produttive non propriamente d’invalidità ma d’inefficacia.
In conclusione, ritiene la Corte d’Appello che, quando la volontà negoziale si sia pacificamente perfezionata ed abbia trovato attuazione nel corso del tempo, gli obiettivi normativi risultino soddisfatti dalla sottoscrizione del contatto ad opera del cliente.
Non si ravvisa peraltro la nullità del contratto per mancata indicazione della controprestazione a carico degli investitori, in quanto tale elemento contrattuale è del tutto determinabile.
Infine la nullità denunciata non può che investire l’intero rapporto. Non può essere consentito all’investitore, pena l’inammissibile esercizio strumentale ed abusivo del diritto, di limitare ad alcuni investimenti gli effetti della invocata invalidità del contratto quadro.
Viene, invece, accolta la domanda relativa all’accertamento dell’inadempimento della banca agli obblighi informativi e di astensione dall’investimento se non adeguato nonchè del diritto al risarcimento del danno da responsabilità contrattuale. Il rifiuto del cliente di fornire alla banca le informazioni richieste sul proprio profilo finanziario non elide gli obblighi sopra illustrati e la profilatura del 2001 in quanto successiva all’esecuzione degli acquisti è irrilevante. Le diciture stampigliate sul retro di alcuni ordini di acquisto nei quali gli investitori si limitavano a dare atto del legame tra elevata redditività dell’investimento e rischio non costituiscono informazioni specifiche sulla tipologia di investimento; il documento sui rischi generali non dà conto dei rischi specifici propri delle operazioni riguardanti i bond argentini.
I capitoli di prova richiesti sono stati ritenuti generici ed ininfluenti non risultando indicate quali compiute informazioni erano state fornite al cliente.
Il rilievo secondo il quale inizialmente le obbligazioni argentine non erano problematiche poteva valere solo gli investimenti eseguiti nel 97/98. Dal gennaio 1999 il compendio informativo attingibile dal mercato evidenziava una situazione di elevata rischiosità dell’investimento, non comunicata al cliente. In particolare era già noto che il rating era basso (BB, BA3, BB) ed i titoli erano compresi nella tipologia puramente speculativa a futuro incerto.
Si trattava pertanto di operazioni inadeguate, non solo per tipologia ma anche per dimensione e frequenza che potevano essere realizzate solo dietro ordine scritto specifico del cliente. Il “warning” dell’operazione, deve, infatti, corrispondere a canoni di effettività e concretezza e non all’adempimento d’incombenze meramente formali.
Nella specie, la banca non ha provato che la scarna stampigliatura sul retro di taluni ordini trovasse fondamento nell’effettiva rappresentazione ai clienti dei profili di speciale rischiosità del titolo. Peraltro l’inesistenza di una profilatura oltre che un pregresso dossier titoli caratterizzato da investimenti assolutamente prudenziali avrebbe dovuto indurre ad una rigorosa informazione. Al contrario, quasi a ridosso del default furono fatti acquisti numerosi e con frequenza infrannuale.
Sussiste in conclusione un plurimo inadempimento della banca.
Il quantum è stato determinato nell’ammontare degli investimenti detratto quanto realizzato a titolo di cedole e di realizzo al valore residuo di mercato.
Il nesso causale è stato ritenuto provato in via presuntiva da tutti gli indici già evidenziati in ordine al non assolvimento degli obblighi informativi e alla non adeguatezza delle operazioni. Tali elementi hanno condotto univocamente a ritenere che se informati gli investitori non avrebbero consentito a tali operazioni.
Sull’importo dovuto che integra un debito di valore deve essere riconosciuta la rivalutazione secondo gli indici ISTAT dalla data della costituzione in mora alla liquidazione oltre ad un ulteriore 1% a titolo di maggior danno.
Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione P. G. e G.A.M. affidati a sei motivi. Ha resistito con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi la Banca di Credito Cooperativo di Casalgrasso e Sant’Albano Stura. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Nel primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 18; D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23; artt. 1326, 1350 e 1418 cod. civ. per non avere la Corte d’Appello dichiarato la nullità del contratto di quadro in quanto non sottoscritto da entrambi i contraenti. Secondo le parti ricorrenti la disciplina normativa applicabile ratione temporis è il D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 18 che contiene la previsione dell’obbligo della forma scritta. La norma è stata sostanzialmente nel successivo art. 23.
Alla luce di questo univoco quadro normativo di riferimento deve ritenersi che la dichiarazione scritta unilaterale pur se ricognitiva di una sola delle parti del rapporto non è idonea ad integrare il requisito di validità richiesto dalla legge. Rispetto a tale preciso obbligo di forma risulta irrilevante la previsione contrattuale relativa allo scambio dei documenti contrattuali sottoscritti unilateralmente dall’altra parte e che il rapporto scaturente dal contratto quadro abbia avuto ampia esecuzione. Ciò che manca è, infatti, la conoscenza o conoscibilità per iscritto del contenuto della dichiarazione negoziale sottoscritta e fatta propria dalla banca. Precisano le parti ricorrenti che la funzione dell’obbligo della forma scritta non si esaurisce nella tutela della trasparenza, come affermato nella sentenza impugnata, ma risponde all’esigenza di dotare una disposizione di volontà di particolare rilievo economico della necessaria certezza e ponderazione che solo la forma scritta può assicurare. Oltre all’assolvimento degli obblighi informativi cui deve conformarsi la condotta dell’intermediario vi è un contenuto minimo del contratto quadro desumibile dagli elementi indicati nell’art. 30 del Regolamento Consob che viene garantito con l’obbligo di redazione del testo per iscritto contenuto anche nelle norme in vigore anteriormente all’art. 23.
Infine sottolinea la parte ricorrente che la corte d’Appello ha escluso che si possa far valere la nullità del contratto quadro solo rispetto ad alcuni ordini e non dell’intero rapporto. L’uso selettivo della nullità è coerente con il peculiare regime giuridico delle nullità di protezione. L’investitore che non può interferire nella formazione del contratto a causa dell’asimmetria negoziale che ne costituisce una delle principali caratteristiche, è libero di decidere di avvalersi dell’eccezione di nullità e di limitarne gli effetti restitutori senza travolgere per intero gli investimenti eseguiti.
Nel secondo motivo viene dedotto il vizio di omessa pronuncia ed in subordine di violazione di legge in ordine all’invocata nullità di quattro ordini perchè non redatti per iscritto.
Nel terzo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di omessa pronuncia ed in subordine di violazione di legge per non avere la Corte d’Appello considerato che la forma scritta per la redazione dei singoli ordini era anche imposta dal contratto quadro (art. 2 proposta del contratto di negoziazione) in quanto gli investimenti avevano ad oggetto prodotti negoziati fuori dei mercati regolamentati.
Nel quarto e quinto motivo viene censurata sia sotto il profilo del vizio di motivazione che sotto il profilo dell’omessa pronuncia e della violazione di legge l’illegittima esclusione degli ordini relativi agli investimenti eseguiti nel 1997/98, trattandosi di 19 operazioni che per dimensioni ed entità del rischio dovevano ritenersi inadeguate.
Nel sesto motivo viene censurata sotto il profilo della violazione degli artt. 1123, 1224 e 1226 cod. civ. la illegittima decorrenza della rivalutazione monetaria dalla messa in mora e non dall’inadempimento da identificarsi nel momento del default.
Nel settimo motivo viene svolta analoga censura con riferimento alla quantificazione del danno da lucro cessante in misura pari all’1% sulla somma via via rivalutata, e non invece in misura pari al tasso medio dei titoli di stato o degli interessi legali, dovendosi applicare il criterio del cumulo d’interessi e rivalutazione.
Nel primo motivo di ricorso incidentale viene dedotto il vizio d’insufficiente motivazione riscontrato nella sentenza impugnata in ordine al nesso causale tra gli inadempimenti addebitati alla banca e il danno dubito dai ricorrenti, non essendo stata considerata l’elevata propensione al rischio e gli intenti speculativi degli investitori reiteratamente sottolineati dalla parte controricorrente nel giudizio di merito e riconosciuti dai ricorrenti medesimi nel profilo di rischio del 2001.
Nel secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 1223, 1224 e 1226 cod. civ. per non avere la Corte d’Appello fissato la decorrenza degli interessi riconosciuti a titolo di lucro cessante dalla data di deposito della sentenza, secondo i principi stabiliti dalle S.U. nella pronuncia n. 26008 del 2008.
La questione formante oggetto del primo motivo è stata affrontata in una recentissima pronuncia di questa Corte (Cass. n. 5919 del 2016) con orientamento pienamente condivisibile così illustrato: “Il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, così come il precedente D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 18 stabilisce che i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento debbano essere redatti per iscritto a pena di nullità, ma già la L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6, lett. c), secondo quanto più volte ribadito da questa Corte, poneva il medesimo requisito di forma per la stipulazione del “contratto quadro” (Cass. 7 settembre 2001, n. 11495; Cass. 9 gennaio 2004, n. 111; Cass. 19 maggio 2005, n 10598). La univocità e la continuità interpretativa delle norme che si sono succedute in ordine alla qualificazione giuridica dell’obbligo di forma scritta, facilitano l’esame della censura e rendono irrilevante l’individuazione applicabile a tutto il rapporto, al suo momento genetico, al suo sviluppo attuativo.
L’obbligo in questione, dettato, secondo la prevalente opinione, a fini protettivi dell’investitore (Cass. 22 marzo 2013, n. 7283), non è incompatibile con la formazione del contratto attraverso lo scambio di due documenti, entrambi del medesimo tenore, ciascuno sottoscritto dall’altro contraente. Non v’è difatti ragione di discostarsi dall’insegnamento più volte ribadito, secondo cui il requisito della forma scritta ad substantiam è soddisfatto anche se le sottoscrizioni delle parti sono contenute in documenti distinti, purchè risulti il collegamento inscindibile del secondo documento al primo, “sì da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo” (Cass. 13 febbraio 2007, n. 3088; Cass. 18 luglio 1997, n. 6629; Cass. 4 maggio 1995, n. 4856).
Ne consegue che vertendosi in tema di forma scritta sotto pena di nullità, in caso di formazione dell’accordo mediante lo scambio di distinte scritture inscindibilmente collegate, il requisito della forma scritta ad substantiam in tanto è soddisfatto, in quanto entrambe le scritture, e le corrispondenti dichiarazioni negoziali, l’una quale proposta e l’altra quale accettazione, siano formalizzate. E, insorta sul punto controversia, vale la regola generale secondo cui, con riguardo ai contratti per i quali la legge prescrive la forma scritta a pena di nullità, la loro esistenza richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa scrittura (Cass. 14 dicembre 2009, n. 26174).
La stipulazione del contratto non può viceversa essere desunta, per via indiretta, in mancanza della scrittura, da una dichiarazione quale quella nella specie sottoscritta dall’investitore: “Prendiamo atto che una copia del presente contratto ci viene rilasciata debitamente sottoscritta da soggetti abilitati a rappresentarvi”.
La verifica del requisito della forma scritta ad substantiam si sposta sul piano della prova, ove trova applicazione la disposizione dettata dal codice civile che consente di supplire alla mancanza dell’atto scritto nel solo caso previsto dall’art. 2725 c.c., comma 2, che richiama l’art. 2724 c.c., n. 3: in base al combinato disposto di tali norme, la prova per testimoni di un contratto per la cui stipulazione è richiesta la forma scritta ad substantiam, è consentita solamente nell’ipotesi in cui il contraente abbia perso senza sua colpa il documento che gli forniva la prova del contratto.
E la preclusione della prova per testimoni opera parimenti per la prova per presunzioni ai sensi dell’art. 2729 c.c. nonchè per il giuramento ai sensi dell’art. 2739 c.c.. Interdetta è altresì la confessione (Cass. 2 gennaio 1997, n. 2; Cass. 7 giugno 1985, n. 3435) quale, in definitiva, sarebbe la presa d’atto, da parte della M., della consegna dell’omologo documento sottoscritto dalla banca.
D’altronde, la consolidata giurisprudenza di questa Corte esclude l’equiparazione alla “perdita”, di cui parla l’art. 2724 c.c., della consegna del documento alla controparte contrattuale. Nell’ipotesi prevista dalla norma, difatti, il contraente che è in possesso del documento ne rimane privo per cause a lui non imputabili: il che è il contrario di quanto avviene nel caso della volontaria consegna dell’atto, tanto più in un caso come quello in discorso, in cui non è agevole comprendere cosa abbia mai potuto impedire alla banca, che ha predisposto la modulistica impiegata per l’operazione, di redigere il “contratto quadro” in doppio originale sottoscritto da entrambi i contraenti.
E’ stato al riguardo più volte ripetuto che, in tema di contratti per cui è prevista la forma scritta ad substantiam, nel caso in cui un contraente non sia in possesso del documento contrattuale per averlo consegnato all’altro contraente, non si può fornire la prova del contratto avvalendosi della prova testimoniale, poichè non si verte in un’ipotesi di perdita incolpevole del documento ai sensi dell’art. 2724 c.c., n. 3, bensì di impossibilità di procurarsi la prova del contratto ai sensi del precedente n. 2 di tale articolo (Cass. 26 marzo 1994, n. 2951; Cass. 19 aprile 1996, n. 3722; Cass. 23 dicembre 2011, n. 28639, la quale ha precisato che l’esclusione della prova testimoniale opera anche al limitato fine della preliminare dimostrazione dell’esistenza del documento, necessaria per ottenere un ordine di esibizione da parte del giudice ai sensi dell’art. 210 c.p.c.; per completezza occorre dire che c’è un precedente di segno diverso, Cass. 29 dicembre 1964, n. 2974, ma si tratta di un’affermazione assai remota, isolata e per di più concernente una fattispecie in parte diversa).
Resta allora da chiedersi se la validità del “contratto quadro” possa essere ricollegata alla produzione in giudizio da parte sua del medesimo documento ovvero a comportamenti concludenti posti in essere dalla stessa banca e documentati per iscritto.
I ricorrenti hanno più volte richiamato, in proposito, nel ricorso per cassazione, l’autorità di Cass. 22 marzo 2012, n. 4564 (massimata ad altro riguardo) nella quale si trova affermato, con riguardo ad una vicenda simile, pure involgente la stipulazione di un contratto bancario da redigersi per iscritto:
i) che la dicitura contenuta nel documento mancante della sottoscrizione proveniente dalla banca, secondo cui “un esemplare del presente contratto ci è stato da voi consegnato”, rendeva ragionevole affermare che l’esemplare consegnato recasse per l’appunto la sottoscrizione della banca;
ii) che la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, muovendo dalla premessa che nei contratti per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam non è necessaria la simultaneità delle sottoscrizioni dei contraenti, ha più volte ribadito il principio secondo cui tanto la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l’ha sottoscritta, quanto qualsiasi manifestazione di volontà del contraente che non abbia firmato, risultante da uno scritto diretto alla controparte, dalla quale emerga l’intento di avvalersi del contratto, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante;
iii) che, nella specie considerata, anche in mancanza di una copia del contratto firmata dalla banca, l’intento di questa di avvalersi del contratto risultava comunque, oltre che dal deposito del documento in giudizio, dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel corso del rapporto, da cui si evidenziava la volontà di avvalersi del contratto (bastando a tal fine le comunicazioni degli estratti conto) con conseguenze perfezionamento dello stesso.
Ritiene però la Corte che al precedente non possa darsi continuità.
E’ stato più volte ribadito che la mancata sottoscrizione di una scrittura privata può essere supplita dalla produzione in giudizio del documento stesso da parte del contraente non firmatario che se ne intende avvalere (Cass. 5 giugno 2014, n. 12711 ove si precisa che, per il perfezionamento dell’accordo è necessario non solo che la produzione in giudizio del contratto avvenga su iniziativa del contraente che non l’ha sottoscritto, ma anche che l’atto sia prodotto per invocare l’adempimento delle obbligazioni da esso scaturenti; Cass. 17 ottobre 2006, n. 22223; Cass. 5 giugno 2003, n. 8983; Cass. 1 luglio 2002, n. 9543; Cass. 11 marzo 2000, n. 2826; Cass. 19 febbraio 1999, n. 1414; Cass. 15 maggio 1998, n. 4905; Cass. 7 maggio 1997, n. 3970; Cass. 23 gennaio 1995, n. 738; Cass. 24 aprile 1994, n. 5868, ove si precisa che il principio non trova applicazione allorchè il giudizio sia instaurato non nei confronti del sottoscrittore, bensì dei suoi eredi; Cass. 28 novembre 1992, n. 12781; Cass. 7 agosto 1992, n. 9374; Cass. 24 aprile 1990, n. 3440; Cass. 7 luglio 1988, n. 4471; Cass. 11 settembre 1986, n. 5552, che ammette il principio solo quando il contraente invochi in proprio favore il contratto ed intenda farne propri gli effetti, e non quando la produzione in giudizio del documento esprima essa stessa la volontà contraria ad alcuni suoi contenuti, come quando sia effettuata al fine di dimostrare con la mancata sottoscrizione del documento la non avvenuta conclusione del contratto contenutovi; Cass. 18 gennaio 1983, n. 469; Cass. 8 novembre 1982, n. 5869; Cass. 23 aprile 1981, n. 2415, ivi, 1981, 2415; Cass. 8 gennaio 1979, n. 78).
La produzione in giudizio da parte del contraente che non ha sottoscritto la scrittura realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto, perfezionamento che non può verificarsi se non ex nunc, e non ex tunc, tant’è che il congegno non opera se l’altra parte abbia medio tempore revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l’atto incompleto non è più in vita nel momento della produzione, perchè la morte determina di regola l’estinzione automatica della proposta (v. art. 1329 c.c.) rendendola non più impegnativa per gli eredi (in senso diverso sembra rinvenirsi soltanto Cass. 29 aprile 1982, n. 2707, secondo cui la produzione in giudizio del documento sottoscritto da una sola parte non determina la costituzione del rapporto ex nunc, ma supplisce alla mancanza di sottoscrizione con effetti retroagenti al momento della stipulazione).
Ne consegue che nel caso di specie la produzione in giudizio del contratto da parte della banca, la cui sottoscrizione difetta, avrebbe determinato il perfezionamento del contratto solo dal momento della produzione, la quale, perciò, non può che rimanere senza effetti, per i fini della validità del successivo ordine di acquisto delle obbligazioni argentine, tale da richiedere a monte (e non ex post) un valido contratto quadro.
D’altro canto, far discendere la validità dell’ordine di acquisto dal perfezionamento soltanto successivo del “contratto quadro”, non è pensabile, stante il principio dell’inammissibilità della convalida del contratto nullo ex art. 1423 c.c..
Il che esime dal soffermarsi sull’ulteriore questione se la produzione da parte della banca possa determinare il perfezionamento del contratto, sia pure ex nunc, in presenza di una domanda volta ad ottenere la dichiarazione di nullità dell’ordine di acquisto in mancanza di un valido “contratto quadro”, avuto riguardo al rilievo che tale domanda è di mero accertamento e, a differenza di quelle costitutive, quali quelle di annullamento o di risoluzione e non presuppone l’avvenuta conclusione del contratto.
Per tale ragione, dunque, il “contratto quadro” non può dirsi utilmente perfezionato (sì da sorreggere il successivo ordine di acquisto) per effetto della sua produzione in giudizio da parte della banca.
Il problema dell’anteriorità del perfezionamento del “contratto quadro” non si porrebbe, invece, se potesse attribuirsi rilievo alla volontà della banca di avvalersi del contratto desumibile dalle contabili, attestati di seguito e dall’esecuzione del contratto medesimo.
Ma così non è. In generale, nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla stipulazione del contratto stesso, non può evidenziare una formazione del consenso al di fuori dello scritto medesimo (Cass. 7 giugno 2011, n. 12297).
E, fin da epoca remota, questa Corte ha affermato che il documento ha valore, per i fini del soddisfacimento del requisito formale, “in quanto sia estrinsecazione diretta della volontà contrattuale” (Cass. 7 giugno 1966, n. 1495). La forma scritta, quando è richiesta ad substantiam, insomma elemento costitutivo del contratto, nel senso che il documento deve essere l’estrinsecazione formale e diretta della volontà delle parti di concludere un determinato contratto avente una data causa, un dato oggetto e determinate pattuizioni, sicchè occorre che il documento sia stato creato al fine specifico di manifestare per iscritto la volontà delle parti diretta alla conclusione del contratto (Cass. 1 marzo 1967, n. 453; Cass. 22 maggio 1974, n. 1532; Cass. 7 maggio 1976, n. 1594; Cass. 9 marzo 1981, n. 1307; 30 marzo 1981, n. 1808; 18 febbraio 1985, n. 1374; Cass. 15 novembre 1986, n. 6738; Cass. 29 ottobre 1994, n. 8937; Cass. 15 dicembre 1997, n. 12673; Cass. 6 aprile 2009, n. 8234; Cass. 30 marzo 2012, n. 5158; da ultimo Cass. 12 novembre 2013, n. 25424, secondo cui non soddisfa l’esigenza di forma scritta ad substantiam l’attestazione di pagamento sottoscritta dall’accipiens e dal solvens).
Orbene, è di tutta evidenza che documentazione quale quella in questo caso depositata dalla banca, indipendentemente dalla verifica dello specifico contenuto e della sottoscrizione di dette scritture, non possiede i caratteri della “estrinsecazione diretta della volontà contrattuale”, tale da comportare il perfezionamento del contratto, trattandosi piuttosto di documentazione predisposta e consegnata in esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto il cui perfezionamento si intende dimostrare e, cioè, da comportamenti attuativi di esso e, in definitiva, di comportamenti concludenti che, per definizione, non possono validamente dar luogo alla stipulazione di un contratto formale”.
Rimane da esaminare il rilievo sollevato in controricorso relativo all’abusività e conseguente illegittimità dell’eccezione di nullità “selettiva” del contratto quadro, in quanto rivolta esclusivamente a produrre effetti nei confronti di alcuni acquisti di prodotti finanziari. Al riguardo la Corte d’Appello ha ritenuto che la nullità denunciata non può che investire l’intero rapporto. Non può essere consentito all’investitore, pena l’inammissibile esercizio strumentale ed abusivo del diritto, di limitare ad alcuni investimenti gli effetti della invocata invalidità del contratto quadro.
L’assunto non può essere condiviso dal momento che, nella specie, il requisito della forma scritta ad substantiam per il contratto quadro non determina una modificazione della qualificazione giuridica della nullità che consegue all’inosservanza dell’obbligo di forma. Anche tale nullità è rilevabile esclusivamente dall’investitore ed configurabile come nullità di protezione. L’applicazione del regime giuridico rigoroso della forma scritta ad substantiam, derivante dall’esame testuale dell’art. 23 T.U.E. nell’interpretazione conforme di questa Corte (S.U. n.26724 del 2007) non ne modifica nè la natura nè la funzione nè le modalità di rilievo. L’eccezione può, di conseguenza, essere prospettata dalla parte, coerentemente con l’interesse sostanziale dedotto in giudizio.
Al riguardo deve rilevarsi che l’investitore ex art. 99 e 100 c.p.c. può selezionare il rilievo della nullità e rivolgerlo agli acquisti (o più correttamente i contratti attuativi del contratto quadro) di prodotti finanziari dai quali si è ritenuto illegittimamente pregiudicato, essendo gli altri estranei al giudizio. La rilevabilità d’ufficio, peraltro non incondizionata, delle nullità di protezione, affermata di recente dalle S.U. nella sentenza n. 26242 del 2014, si limita a configurare la possibilità di estendere l’accertamento giudiziale anche a cause di nullità protettive non dedotte dalle parti senza tuttavia consentirne il rilievo anche ad atti diversi da quelli verso i quali la censura è rivolta.
L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dei rimanenti nonchè dei due motivi del ricorso incidentale.
Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito perchè si adegui ai seguente principio di diritto: “nel contratto d’intermediazione finanziaria, la produzione in giudizio del modulo negoziale relativo al contratto quadro sottoscritto soltanto dall’investitore, non soddisfa l’obbligo della forma scritta ad substantiam imposto a pena di nullità dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23. Tale nullità può essere eccepita anche limitatamente ad alcuni degli ordini di acquisto eseguiti in virtù del contratto viziato”.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso con assorbimento dei rimanenti motivi del ricorso principale e di quelli del ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2016
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