Ha diritto alla cittadinanza italiana al raggiungimento della maggiore età la ragazza nata in Italia, paese nel quale ha risieduto stabilmente e legalmente.
Suprema Corte di Cassazione
sezione I civile
sentenza 17 maggio 2017, n. 12380
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25271/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di Bologna, P.M. presso la Corte di Appello di Bologna;
– intimati –
e contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n.12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 666/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 04/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2017 dal cons. ACIERNO MARIA;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
(OMISSIS) ha chiesto il riconoscimento della cittadinanza italiana L. n. 91 del 1992, ex articolo 4 per essere nata e residente in Italia dalla nascita e fino al compimento della maggiore eta’ in modo continuativo.
Il giudice di primo grado ha respinto la domanda. La Corte d’Appello ha confermato la pronuncia del tribunale sulla base delle seguenti considerazioni:
in fatto la richiedente e’ nata in Italia il (OMISSIS) da genitori immigrati dall’ex Yugoslavia; il padre risulta regolarmente soggiornante dalla nascita della figlia con permesso fino al (OMISSIS); la madre ha richiesto il permesso di soggiorno il (OMISSIS) e la richiesta d’iscrizione della figlia all’anagrafe e’ datata (OMISSIS). Al fine di provare anche la precedente continuativa residenza di (OMISSIS) in Italia viene prodotta certificazione delle vaccinazioni svolte in precedenza presso i presidi sanitari di Bologna (dal 91 al 2009); il libretto di lavoro del padre (attestante iscrizioni ancorche’ con limitate soluzioni di continuita’ dal 1990 al 2000) e le dichiarazioni degli assistenti sociali che avevano in carico il nucleo familiare. Dalla dichiarazione INPS risulta che la minore e’ inclusa nel nucleo familiare del padre che ne ha percepito gli assegni familiari con decorrenza (OMISSIS), in base alla rinnovazione di una precedente autorizzazione del 13/4/91.
In diritto, nonostante tale documentazione non sia ritenuta non veritiera, anche perche’, come osserva la Corte d’Appello il soggiorno degli stranieri e’ sottoposto istituzionalmente a controlli pubblici che si deve presumere siano stati effettuati anche nella specie, la indicazione da parte dei genitori nell’atto di nascita della loro residenza estera in (OMISSIS) prevale in quanto atto consapevole e partecipato. Ne risulta inequivocamente che l’emigrazione dalla Yugoslavia e’ avvenuta nel gennaio del 1995. Non risulta comprensibile, alla Corte d’Appello, perche’ il padre della minore abbia sottoscritto la residenza all’estero se tale condizione non corrispondeva alla realta’, perche’ non si e’ provveduto ad una tempestiva iscrizione, perche’ non si e’ mai opposto alla certificazione del gennaio 1995.
In mancanza di valide giustificazioni anche sul proprio atto di nascita da parte della richiedente, e’ da condividersi lo specifico rilievo dato dal Tribunale alla dichiarazione paterna che smentisce la residenza in Italia.
Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la cittadina straniera con un unico motivo accompagnato da memoria.
Nel motivo viene dedotta la violazione della L. n. 91 del 1992, articolo 4 per non avere la Corte d’appello provveduto ad accertare la residenza effettiva della ricorrente dalla nascita secondo i criteri indicati secondo la definizione codicistica generale di residenza e nella giurisprudenza.
Il motivo e’ manifestamente fondato. La L. n. 91 del 1992, articolo 4 stabilisce al comma 2: “Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore eta’, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data”.
La condizione dettata dalla norma relativa alla residenza in Italia fino al raggiungimento del diciottesimo anno di eta’, deve essere interpretata, coerentemente con quanto ritenuto dalla dottrina pressoche’ unanime, con specifico riferimento all’avverbio “legalmente” come permanenza in Italia non clandestina ovvero in violazione delle norme che regolano l’ingresso, la circolazione e il soggiorno dei cittadini stranieri. L’affacciarsi del fenomeno della migrazione al momento dell’entrata in vigore della legge sulla cittadinanza ha dettato l’esigenza di qualificare come “legale” la condizione costituita dall’ininterrotta residenza, utilizzando un termine del tutto eterogeneo rispetto alla qualificazione normativa della residenza desumibile dall’articolo 43 c.c. o dalle norme processuali sulle notificazioni degli atti. Secondo l’articolo 43 la residenza e’ il luogo della dimora abituale. Ugualmente, la definizione giuridica di residenza, mutuabile dalle disposizioni processuali sulla notificazione degli atti giudiziari, (articoli 138 e ss. codice di rito) si fonda sul criterio dell’effettivita’, da ritenersi prevalente ove provata, sulla residenza anagrafica. (Cass.2814 del 2000; 5726 del 2002). Peraltro, come esattamente sottolineato nel ricorso, nelle circolari esplicative, dettate dal Ministero dell’Interno, ed in particolare nella circolare n. 22 del 2007, ratione temporis applicabile, viene espressamente precisato che l’eventuale iscrizione anagrafica tardiva del minore non puo’ pregiudicare l’acquisto della cittadinanza italiana quando vi sia in concreto la residenza effettiva.
L’incidenza quantitativa del fenomeno dell’errore, a danno dei requisiti dell’acquisto della cittadinanza da parte del minore nato da genitori stranieri e residente in Italia dalla nascita, si e’ rivelata cosi’ frequente da richiedere l’intervento del legislatore. Il Decreto Legge n. 69 del 2013, articolo 33 conv. con modif. dalla L. n. 98 del 2013, rivolto proprio alla “semplificazione del procedimento per l’acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia” prevede espressamente che: Ai fini di cui all’articolo 4, comma 2, della L. 5 febbraio 1992, n. 91, all’interessato non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della Pubblica Amministrazione, ed egli puo’ dimostrare il possesso dei requisiti con ogni altra idonea documentazione.
2. Gli Ufficiali di Stato Civile sono tenuti al compimento del diciottesimo anno di eta’ a comunicare all’interessato, nella sede di residenza quale risulta all’ufficio, la possibilita’ di esercitare il diritto di cui alla L. n. 91 del 1992, articolo 4, comma 2 entro il compimento del diciannovesimo anno di eta’. In mancanza, il diritto puo’ essere esercitato anche oltre tale data.
L’esame svolto dalla Corte d’Appello di Bologna non ha assunto come parametro normativo dell’accertamento da svolgere la residenza effettiva della ricorrente, avendo dato rilievo assorbente, alla dichiarazione, del tutto contrastante con i molteplici riscontri probatori contrari, posti a base della domanda di cittadinanza, resa dai genitori all’atto di nascita della figlia. Una dichiarazione resa nella fase iniziale della permanenza in Italia dei predetti genitori la cui mancata confutazione successiva si giustifica inequivocamente con la loro condizione di cittadini stranieri certamente non tenuti a conoscere nel dettaglio i requisiti per l’acquisto della cittadinanza della propria figlia fin dal loro ingresso o anche dopo qualche anno, quando hanno assunto anche formalmente la cittadinanza in Italia. Tralasciando la documentazione prodotta in appello, peraltro del tutto ammissibile in considerazione della natura dell’accertamento e del potere dovere istruttorio officioso del giudice di approfondire l’indagine di fatto (Cass. 6205 del 2014; 22608 del 2015), deve rilevarsi che, alla luce della corretta qualificazione giuridica della residenza, univocamente fondata sull’accertamento della sua effettivita’, la corte d’Appello avrebbe dovuto rivolgere il suo esame alla verifica della continuita’, dalla nascita e fino all’integrazione della condizione temporale prevista dalla L. n. 91 del 1992, della residenza effettiva della ricorrente in Italia. Tale prova puo’ essere fornita mediante documentazione, peraltro di provenienza da autorita’ pubbliche, che certifichi anche indirettamente ma univocamente la permanenza continuativa in Italia della richiedente la cittadinanza. Nella specie vi e’ stato un ritardo nella regolarizzazione della residenza della ricorrente da parte dei genitori, avvenuta nel (OMISSIS), ma dalla nascita della ricorrente al (OMISSIS) sono state prodotte: la certificazione delle vaccinazioni eseguite a (OMISSIS) quando la minore non era ancora inclusa nel permesso di soggiorno della madre ed anche tutte le successive; i libretti di lavoro paterno che attestano una continuativa permanenza a Bologna per ragioni di lavoro ben oltre la data di attestazione della residenza anagrafica; la percezione degli assegni familiari da parte del padre dalla nascita che attestano l’inclusione della minore nel nucleo familiare anche in questo caso anche oltre la formalizzazione della residenza.
Ai fini della residenza effettiva l’esame di questa documentazione doveva essere effettuato in concreto in quanto relativo all’unico accertamento rilevante in causa. E’ stato, invece, ignorato il contenuto di questa documentazione e la sua incidenza sull’accertamento da svolgere sulla base della valorizzazione esclusiva della dichiarazione dei genitori alla nascita sulla residenza estera, non tanto per il peso probatorio in se’ quanto per la mancata attivazione e confutazione successiva.
Il ricorso deve essere, in conclusione, accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna perche’ esamini alla luce delle considerazioni svolte e della crucialita’ dell’accertamento relativo alla residenza effettiva la domanda proposta.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.
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