Corte di Cassazione, sezione I civile, ordinanza 16 maggio 2016, n. 9978.

Ordinanza interlocutoria di assegnazione alle Sezioni Unite sul tema della riconoscibilita’ delle sentenze straniere comminatorie di danni punitivi

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

ordinanza 16 maggio 2016, n. 9978

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13310-2014 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura speciale per Notaio (OMISSIS) dello STATO della FLORIDA del 17.6.14, con Apostille del 18.6.2014;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/02/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
uditi, per la controricorrente, gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno chiesto l’inammissibilita’ o il rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La societa’ (OMISSIS), con sede in (OMISSIS), ha chiesto che fossero dichiarate efficaci ed esecutive, nell’ordinamento italiano, tre sentenze pronunciate negli Stati Uniti d’America, passate in giudicato: la sentenza del 23 settembre 2008, esecutiva, della Circuit Court of the 17th Judicial Circuit for Broward Count (Florida), confermata in appello dal District Court of Appeal of the State of Florida, dell’11 agosto 2010, che aveva condannato la societa’ italiana (OMISSIS) a pagare la complessiva somma di dollari USA 1.436.136,87, oltre interessi al tasso annuo dell’11%, a seguito di procedimento giudiziario svoltosi davanti a quell’autorita’; la sentenza del 14 gennaio 2009, con cui il medesimo giudice aveva liquidato dollari USA 106.500,00, a titolo di rifusione dei costi, delle spese legali e degli interessi al tasso annuo dell’8%; la sentenza del 13 ottobre 2010 che aveva liquidato, in relazione al giudizio di appello, l’ulteriore somma di dollari USA 9.000,00, a titolo di rifusione dei costi, delle spese legali e degli interessi al tasso annuo del 6%. Con le suddette pronunce, il giudice americano ha accolto la domanda di reintegrazione patrimoniale di (OMISSIS), in relazione ad un indennizzo corrisposto ad un motociclista ( (OMISSIS)) che aveva subito danni alla persona in un incidente avvenuto in una gara motociclistica, per un vizio del casco prodotto da (OMISSIS) e rivenduto da (OMISSIS); nel giudizio promosso dal danneggiato, anche nei confronti della importatrice del casco (societa’ (OMISSIS)), (OMISSIS) aveva accettato la proposta transattiva del motociclista (Offer of Judgment), anche per danni punitivi, e il giudice americano ha ritenuto che dovesse essere manlevata da (OMISSIS).
2.- Ad avviso di (OMISSIS), sussistevano i presupposti per il riconoscimento delle suddette sentenze, a norma della L. 31 maggio 1995, n. 218, articolo 64, avendo la (OMISSIS) accettato la giurisdizione straniera e partecipato a quel giudizio.
Per quanto ancora interessa, la convenuta (OMISSIS) ha dedotto la contrarieta’ delle sentenze americane all’ordine pubblico, per le seguenti ragioni: violazione dell’articolo 1304 c.c., poiche’ la transazione conclusa tra il creditore e uno dei debitori solidali (nella specie, tra il danneggiato e (OMISSIS)) non puo’ produrre effetti nei confronti degli altri debitori (cioe’ di (OMISSIS)), a meno che questi non abbiano dichiarato di volerne profittare; mancato accertamento della propria effettiva responsabilita’ nella causazione del danno al motociclista, erroneamente desunta dal giudizio sommario e probabilistico (cd. potential liability test) di ragionevolezza del pagamento effettuato da (OMISSIS) in sede transattiva, per il rischio di soccombenza nella causa risarcitoria intentata dal danneggiato; contrarieta’ all’ordine pubblico della comminatoria di danni punitivi (punitive damages), in ragione della loro inammissibile funzione sanzionatoria della condotta del danneggiante, anziche’ risarcitoria dei danni subiti dal danneggiato.
3.- La Corte d’appello di Venezia, con sentenza 3 gennaio 2014, ha accolto la domanda di (OMISSIS) e ha compensato le spese di lite. La Corte ha escluso la violazione del principio di ordine pubblico italiano, per le seguenti ragioni: la condanna di (OMISSIS) non trovava titolo nel risarcimento del danno in favore del motociclista danneggiato, ma nel suo obbligo di manleva nei confronti di (OMISSIS); ad (OMISSIS) era stata data la possibilita’ di costituirsi nell’interesse di (OMISSIS) e di difendersi nel giudizio contro il danneggiato, anche contestando la propria responsabilita’, ma non lo aveva fatto e mai aveva sollevato obiezioni alla proposta transattiva del danneggiato che le era stata comunicata ed era stata giudicata seria dal giudice americano, tenuto conto del rischio della soccombenza nel giudizio, che avrebbe esposto (OMISSIS) (e, indirettamente, (OMISSIS)) a corrispondere un risarcimento piu’ elevato; quindi, (OMISSIS) si era posta deliberatamente nella condizione di subire gli effetti della transazione stipulata da (OMISSIS) con il danneggiato e ne aveva profittato, avendo tacitato in via transattiva le pretese del danneggiato nei suoi confronti, corrispondendogli l’esiguo importo di dollari 50000,00 ed evitando l’accertamento della sua responsabilita’ nel merito; non risultava che fossero stati risarciti danni punitivi, poiche’ la sentenza americana si era limitata a riconoscere che (OMISSIS) era tenuta a pagare a (OMISSIS) l’importo della transazione, senza specificare di quali danni si trattasse.
4.- La (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui si e’ opposta la (OMISSIS). Le parti hanno presentato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso e’ denunciata la violazione della L. 31 maggio 1995, n. 218, articolo 64, lettera b) e g), nonche’ vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata escluso la contrarieta’ all’ordine pubblico della sentenza straniera che aveva condannato (OMISSIS) a pagare a (OMISSIS) l’importo corrispondente alla transazione stipulata da quest’ultima con il danneggiato, ancorche’ tale condanna fosse stata emessa in applicazione dell’istituto del potential liability test, cioe’ sulla base della mera constatazione che (OMISSIS) avesse rifiutato di assumere la difesa di (OMISSIS) nei confronti del danneggiato e che la transazione apparisse equa, in considerazione della possibilita’ di successo della domanda del danneggiato contro (OMISSIS) per un importo superiore, ma senza alcuna verifica circa il plausibile fondamento della domanda di garanzia proposta da (OMISSIS) verso (OMISSIS).
Con il secondo motivo e’ denunciata la violazione della L. n. 218 del 1995, articolo 64, lettera b) e g), nonche’ vizio di motivazione, per avere ritenuto che (OMISSIS) avesse profittato ex articolo 1304 c.c. dell’accordo stipulato da (OMISSIS) con il danneggiato; l’istituto del potential liability test violerebbe il principio di ordine pubblico, in base al quale il garantito ((OMISSIS)), per essere rimborsato dell’importo corrisposto in forza di una transazione stipulata con il danneggiato, dovrebbe risultare vittorioso in un giudizio avente ad oggetto l’accertamento in concreto (che non v’era stato) della responsabilita’ del garante ( (OMISSIS)).
Con il terzo motivo e’ denunciata la violazione della L. n. 218 del 1995, articolo 64, lettera g), nonche’ vizio di motivazione, per avere la Corte veneziana trascurato che la sentenza americana aveva condannato (OMISSIS) a reintegrare (OMISSIS) per un indennizzo corrisposto al danneggiato a titolo di danni punitivi, come risultava dal fatto che la somma posta a carico di (OMISSIS) corrispondeva a quella indicata nella proposta transattiva del danneggiato, a composizione integrale della pretesa risarcitoria, compresi i punitive damages; per non avere valutato la totale omissione di motivazione della sentenza americana, quanto ai criteri seguiti per la determinazione del danno: cio’ non consentiva (e, quindi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, impediva) di riconoscerla nell’ordinamento italiano, in quanto contraria al principio di ordine pubblico circa la natura esclusivamente compensatoria del rimedio risarcitorio, in presenza di un quantum abnorme rispetto ai parametri italiani, che ne evidenziava la natura punitiva e sanzionatoria; tanto piu’ che l’importo si aggiungeva a quello corrisposto al danneggiato dall’importatrice del casco (la (OMISSIS)) e che si trattava di un transazione (settlement) necessariamente inclusiva della componente punitiva, incorporando un aliquid datum e un aliquid retentum che rivelava una stima del danno ancora maggiore.
2.- Il terzo motivo implica l’esame di una questione, di massima di particolare importanza, che va rimessa all’esame del Primo Presidente della Corte di Cassazione, perche’ valuti l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, ai sensi dell’articolo 374 c.p.c., comma 2, per le ragioni di seguito esposte.
3.- L’orientamento contrario alla riconoscibilita’ delle sentenze straniere di condanna al pagamento di somme a titolo di danni punitivi (espresso da Cass. n. 1183 del 2007) e’ rinforzato dall’affermazione secondo cui a giustificare il diniego di riconoscimento e’ sufficiente, in sostanza, anche solo il dubbio dell’esistenza di una condanna ai punitive damages, non essendo “sintomatica l’assenza nella pronuncia straniera di esplicito rinvio all’istituto” in esame (in tal senso Cass. n. 1781 del 2012). Secondo quest’ultima sentenza, “la mancanza di motivazione nella sentenza straniera, che in linea di principio non integra in se’ una violazione dell’ordine pubblico (cfr. Cass. n. 9247 del 2002, n. 3365 del 2000), non puo’ mantenere un significato neutro ai fini del riconoscimento in Italia”, nel caso in cui manchi “qualsiasi indicazione positiva circa la causa giustificativa della statuita attribuzione patrimoniale e sia Li omesso il richiamo in essa e nella impugnata sentenza a regole legali e/o criteri esteri propri della liquidazione del danno in questione e nella specie applicabili”. Al giudice della delibazione, ai fini della verifica di compatibilita’ con l’ordine pubblico (inteso come) interno, si chiede di “conoscere i criteri legali in concreto applicati dal giudice straniero nell’adozione della pronuncia, e segnatamente, con riferimento al tema controverso, quelli seguiti per qualificare la responsabilita’ e le conseguenti voci di danno ristorabili, onde evincere la causa giustificatrice dell’attribuzione” e, in sostanza, di controllare la “ragionevolezza e proporzionalita’ del liquidato in sede estera in rapporto non solo alle specificita’ dell’illecito ed alle patite conseguenze, ma anche ai criteri risarcitori interni”.
A questa metodologia decisoria si e’ sottratta la Corte veneziana, la quale ha escluso che la sentenza straniera contenesse una statuizione di danni punitivi, senza verificare la causa dell’attribuzione patrimoniale, le regole legali e/o i criteri applicati dal giudice americano nella liquidazione delle diverse voci di danno (neppure esplicitate) e, in definitiva, la ragionevolezza e proporzionalita’ del risarcimento. E cio’, nonostante che l’importo liquidato fosse elevato, si aggiungesse ad un altro dovuto dall’importatrice del casco e fosse il risultato di una proposta transattiva del danneggiato che conteneva i danni punitivi.
La Corte, in tal modo, non ha fatto applicazione di un principio – della non delibabilita’, per contrasto con l’ordine pubblico, della sentenza straniera che riconosca danni punitivi – la cui attuale vigenza nell’ordinamento suscita, in effetti, perplessita’.
4.- E’ necessaria una premessa sull’ambito applicativo del principio di ordine pubblico, a norma della L. n. 218 del 1995, articoli 16, 64 e 65.
La giurisprudenza di legittimita’ ha compiuto una progressiva evoluzione nell’interpretazione del principio di ordine pubblico (cui si aggiungeva, nell’abrogato articolo 31 disp. gen., il richiamo al buon costume), inteso originariamente come espressione di un limite riferibile all’ordinamento giuridico nazionale, costituito dal complesso dei principi che, tradotti in norme inderogabili o da queste desumibili, informano l’ordinamento giuridico e concorrono a caratterizzare la struttura etico-sociale della societa’ nazionale in un determinato momento storico (vd. Cass. n. 3881 del 1969 e n. 818 del 1962, quest’ultima escludeva che il principio andasse inteso in senso internazionale, astratto o universale); successivamente, si e’ ritenuto che l’indagine sulla conformita’ all’ordine pubblico andasse riferita all’ordine pubblico interno se la sentenza da riconoscere riguardava cittadini italiani e all’ordine pubblico internazionale se riguardava (soltanto) cittadini stranieri (vd. Cass. n. 228 del 1982); nella giurisprudenza piu’ recente prevale il riferimento all’ordine pubblico internazionale, da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzi tutto, dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria (vd., tra le tante, Cass. n. 1302 e 19405 del 2013, n. 27592 del 2006, n. 22332 del 2004, n. 17349 del 2002, n. 2788 del 1995).
Questa evoluzione del concetto di ordine pubblico segna un progressivo e condivisibile allentamento del livello di guardia tradizionalmente opposto dall’ordinamento nazionale all’ingresso di istituti giuridici e valori estranei, purche’ compatibili con i principi fondamentali desumibili, in primo luogo, dalla Costituzione, ma anche dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e, indirettamente, dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (si e’ osservato, in dottrina, che il nostro ordinamento si propone, in tal modo, di salvaguardare la stessa comunita’ internazionale che trova la sua difesa anche negli ordinamenti interni dei vari Stati).
Se ne ha conferma nella normativa comunitaria, che esclude il riconoscimento (ora previsto come automatico) nei soli casi di “manifesta” contrarieta’ all’ordine pubblico (vd., ad es., l’articolo 34 del regol. CE 22 dicembre 2001 n. 44, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; l’articolo 26 del regol. CE 11 luglio 2007 n. 864, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali; l’articolo 22 e 23 del regol. CE 27 novembre 2003, n. 2201, in tema di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e della responsabilita’ genitoriale; l’articolo 24 del regol. CE 18 dicembre 2008, n. 4/2009, in materia di obbligazioni alimentari); nella giurisprudenza comunitaria, dove il ricorso alla nozione di ordine pubblico presuppone l’esistenza di una minaccia reale, attuale e grave nei confronti di un interesse fondamentale della societa’ (vd. Corte giust. VE, 4 ottobre 2012, C-249/11, per giustificare le deroghe alla libera circolazione delle persone invocabili dagli Stati membri) e nella giurisprudenza di legittimita’.
Quest’ultima ha evidenziato come il rispetto dell’ordine pubblico debba essere garantito, in sede di controllo della legittimita’ dei provvedimenti giudiziari e degli atti stranieri, avendo riguardo non gia’ all’astratta formulazione della disposizione straniera o alla correttezza della soluzione adottata alla luce dell’ordinamento straniero o di quello italiano, bensi’ “ai suoi effetti” (come ribadito da Cass. n. 9483 del 2013), in termini di compatibilita’ con il nucleo essenziale dei valori del nostro ordinamento (nel senso che le norme espressive dell’ordine pubblico sono quelle fondamentali e non coincidono con quelle, di genere piu’ ampio, imperative o inderogabili, vd. Cass. n. 4040 del 2006, n. 13928 del 1999, n. 2215 del 1984, sicche’ il contrasto con queste ultime non costituisce, di per se’ solo, impedimento all’ingresso del provvedimento straniero).
In altri termini, l’ordine pubblico non si identifica con quello esclusivamente interno, poiche’, altrimenti, le norme di conflitto sarebbero operanti solo ove conducessero all’applicazione di norme materiali aventi contenuto simile a quelle italiane, cancellando la diversita’ tra i sistemi giuridici e rendendo inutili le regole del diritto internazionale privato (e’ chiara in tal senso Cass. n. 10215 del 2007).
Se e’ acquisito che l’ordine pubblico e’ costituito non dalle singole norme del nostro ordinamento, ma dai principi fondamentali di esso (vd., in linea di principio, gia’ Cass. n. 543 del 1980), non e’ chiaro come individuare l’esistenza di tali principi e, in particolare, se sia possibile individuarli immediatamente nelle norme di legge ordinarie (come sembra ricavarsi da Cass. n. 2215 del 1984), ipotizzando, ad esempio, un collegamento funzionale con disposizioni costituzionali.
In realta’, non puo’ essere indicativo dell’esistenza di un principio di ordine pubblico il solo fatto che il legislatore ordinario abbia esercitato la propria discrezionalita’, in una determinata direzione, con riferimento a materie e istituti giuridici la cui regolamentazione non sia data direttamente dalla Costituzione, ma sia rimessa allo stesso legislatore (in presenza di una riserva di legge o, entro certi limiti, di norme costituzionali programmatiche). Come efficacemente rilevato in dottrina, se il legislatore e’ libero di atteggiarsi come meglio ritiene, allora potranno avere libero ingresso prodotti giudiziali stranieri applicativi di regole diverse, ma comunque non contrastanti con i valori costituzionali essenziali o non incidenti su materie disciplinate direttamente dalla Costituzione. Non e’ conforme a questa impostazione, ad esempio, l’orientamento che, in passato, negava ingresso alle sentenze straniere di divorzio, solo perche’ la legislazione ordinaria dell’epoca stabiliva l’indissolubilita’ del matrimonio (vd. Cass. n. 3444/1968), sebbene detta indissolubilita’ non esprimesse alcun principio o valore costituzionale essenziale.
La progressiva riduzione della portata del principio di ordine pubblico, tradizionalmente inteso come clausola di sbarramento alla circolazione dei valori giuridici – cui tende, invece, il sistema del diritto internazionale privato – e’ coerente con la storicita’ della nozione e trova un limite soltanto nella potenziale aggressione del prodotto giuridico straniero ai valori essenziali dell’ordinamento interno, da valutarsi in armonia con quelli della comunita’ internazionale.
Il giudice della delibazione, al quale e’ affidato il compito di verificare preventivamente la compatibilita’ della norma straniera con tali valori, desumibili direttamente da norme e principi sovraordinati (costituzionali e internazionali), dovra’ negare il contrasto in presenza di una mera incompatibilita’ (temporanea) della norma straniera con l’assetto normativo interno, quando questo rappresenti una delle diverse modalita’ di attuazione del programma costituzionale, quale risulti dall’esercizio della discrezionalita’ del legislatore ordinario in un determinato momento storico. Si tratta di un giudizio simile a quello di costituzionalita’, ma preventivo e virtuale, dovendosi ammettere il contrasto con l’ordine pubblico soltanto nel caso in cui al legislatore ordinario sia precluso di introdurre, nell’ordinamento interno, una ipotetica norma analoga a quella straniera, in quanto incompatibile con i valori costituzionali primari (gia’ secondo Corte cost. n. 214 del 1983, la verifica del rispetto dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale costituisce un “passaggio obbligato della tematica dell’ordine pubblico”).
5.- In questa prospettiva, non dovrebbe considerarsi pregiudizialmente contrario a valori essenziali della comunita’ internazionale (e, quindi, all’ordine pubblico internazionale) l’istituto di origine nordamericana dei danni non risarcitori, aventi carattere punitivo: una statuizione di tal genere potrebbe esserlo, in astratto, solo quando la liquidazione sia giudicata effettivamente abnorme, in conseguenza di una valutazione, in concreto, che tenga conto delle “circostanze del caso di specie e dell’ordinamento giuridico dello Stato membro del giudice adito” (e’ in tal senso il Considerando 32 del regol. CE 11 luglio 2007, n. 864, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali). Analoghe indicazioni provengono dal diritto comparato: la Corte costituzionale federale tedesca (24 gennaio 2007, in JZ, 2007, 1046) e il Tribunale Supremo spagnolo (13 novembre 2001, n. 2039/1999) hanno ritenuto che le pronunce contenenti statuizioni di condanna ai danni punitivi non siano automaticamente contrarie all’ordine pubblico; analogamente, la Corte di cassazione francese (7 novembre 2012, n. 11-23871, e 1 dicembre 2010 n. 90-13303) ha ritenuto i danni punitivi contrari all’ordine pubblico solo se liquidati in misura realmente eccessiva.
6.- Venendo alle ragioni che hanno indotto questa Corte a negare l’ingresso, nel nostro ordinamento, di sentenze straniere contenenti statuizioni di condanna ai danni punitivi, il leading case e’ la sentenza di questa Corte n. 1183 del 2007, che ha riguardato un caso, analogo a quello in esame, di responsabilita’ da prodotto difettoso per i vizi di un casco da motociclista. Ne e’ stata tratta la seguente massima: “Nel vigente ordinamento alla responsabilita’ civile e’ assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, anche mediante l’attribuzione al danneggiato di una somma di denaro che tenda a eliminare le conseguenze del danno subito mentre rimane estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed e’ indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta. E’ quindi incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto dei danni punitivi che, per altro verso, non e’ neanche riferibile alla risarcibilita’ dei danni non patrimoniali o morali. Tale risarcibilita’ e’ sempre condizionata all’accertamento della sofferenza o della lesione determinata dall’illecito e non puo’ considerarsi provata in re ipsa. E’ inoltre esclusa la possibilita’ di pervenire alla liquidazione dei danni in base alla considerazione dello stato di bisogno del danneggiato o della capacita’ patrimoniale dell’obbligato”. In senso analogo si e’ espressa la gia’ citata Cass. n. 1781 del 2012, la quale ha precisato che, altrimenti, vi sarebbe un arricchimento senza una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all’altro (anche secondo Cass. n. 15814/2008, in linea generale, “nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non e’ riconosciuto con caratteristiche e finalita’ punitive ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso ne’ il medesimo ordinamento consente l’arricchimento se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro”). Secondo Cass., sez. un., n. 15350 del 2015, in tema di risarcibilita’ del cd. danno tanatologico, “i danni risarcibili sono solo quelli che consistono nelle perdite che sono conseguenza della lesione della situazione giuridica soggettiva e non quelli consistenti nell’evento lesivo, in se’ considerato”; pertanto, “la progressiva autonomia della disciplina della responsabilita’ civile da quella penale ha comportato l’obliterazione della funzione sanzionatoria e di deterrenza (v., tra le tante, Cass. n. 1704 del 1997, n. 3592 del 1997, n. 491 del 1999, n. 12253 del 2007, n. 6754/2011) e l’affermarsi della funzione reintegratoria e riparatoria (oltre che consolatoria)”.
7.- E’ dubbio, tuttavia, se la funzione riparatoria-compensativa, seppur prevalente nel nostro ordinamento, sia davvero l’unica attribuibile al rimedio risarcitorio e se sia condivisibile la tesi che ne esclude, in radice, qualsiasi sfumatura punitiva-deterrente (una parte della dottrina, infatti, auspica un parziale recupero della categoria dell'”illecito civile”, cui si connette la funzione preventiva o deterrente del rimedio risarcitorio, quale strumento piu’ adeguato per la tutela dei diritti fondamentali della persona); e’ anche dubbio se al riconoscimento di statuizioni risarcitorie straniere, con funzione sanzionatoria, possa opporsi un principio di ordine pubblico desumibile da categorie e concetti di diritto interno, finendo, in tal modo, per trattare la sentenza straniera come se fosse una sentenza di merito emessa da un giudice italiano (come rilevato dalla dottrina, espressasi in senso prevalentemente critico rispetto ai precedenti di questa Corte del 2007 e del 2012). E soprattutto, si dovrebbe dimostrare che la funzione del rimedio risarcitorio, attualmente configurato in termini esclusivamente compensatori, assurga al rango di un valore costituzionale essenziale e imprescindibile del nostro ordinamento, rispetto al quale (secondo la proposta metodologica delineata sub p. 4) non sarebbe consentito neppure al legislatore ordinario di derogarvi, conclusione questa cui, pero’, non si spinge neppure la citata Cass., sez. un., n. 15350 del 2015.
In realta’, si deve tenere conto sia dello scopo del giudizio delibatorio – che e’ di dare ingresso nell’ordinamento interno non alla legge straniera, ma ad una sentenza o ad un atto, nell’ambito di uno specifico rapporto giuridico, con limitata incidenza sul piano del diritto interno – sia della “evoluzione della tecnica di tutela della responsabilita’ civile verso una funzione anche sanzionatoria e deterrente” (come rilevato da Cass. n. 7613 del 2015 – che, nonostante le differenze, ha evidenziato i “tratti comuni” tra i punitive damages e le astraintes, queste ultime non implicanti alcuna incompatibilita’ con l’ordine pubblico – e da una parte della dottrina, la quale ha osservato che la funzione anche afflittiva del risarcimento del danno non patrimoniale non era estranea ai lavori preparatori del codice civile, nei casi di particolare intensita’ dell’offesa all’ordine giuridico).
E’ il segno della dinamicita’ o polifunzionalita’ del sistema della responsabilita’ civile, nella prospettiva della globalizzazione degli ordinamenti giuridici in senso transnazionale, che invoca la circolazione delle regole giuridiche, non la loro frammentazione tra i diversi ordinamenti nazionali.
8.- Tale evoluzione e’ testimoniata da numerosi indici normativi che segnalano la gia’ avvenuta introduzione, nel nostro ordinamento, di rimedi risarcitori con funzione non riparatoria, ma sostanzialmente sanzionatoria. Si possono segnalare, a titolo solo esemplificativo, i seguenti:
– la L. 8 febbraio 1948, n. 47, articolo 12, che, in materia di diffamazione a mezzo stampa, prevede il pagamento di una somma “in relazione alla gravita’ dell’offesa ed alla diffusione dello stampato”;
– l’articolo 96 c.p.c., comma 3 (aggiunto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, articolo 45), che prevede la condanna della parte soccombente al pagamento di una “somma equitativamente determinata”, in funzione sanzionatoria dell’abuso del processo (nel processo amministrativo vd. il Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104, articolo 26, comma 2,);
– l’articolo 709 ter c.p.c. (inserito dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 2), in base al quale, nelle controversie tra i genitori circa l’esercizio della responsabilita’ genitoriale o le modalita’ di affidamento della prole, il giudice ha il potere di emettere pronunce di condanna al risarcimento dei danni, la cui natura assume sembianze punitive;
– la L. 22 aprile 1941, n. 633, articolo 158 e, soprattutto, Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, articolo 125 (proprieta’ industriale), che riconoscono al danneggiato un risarcimento corrispondente ai profitti realizzati dall’autore del fatto, connotato da una funzione preventiva e deterrente, laddove l’agente abbia lucrato un profitto di maggiore entita’ rispetto alla perdita subita dal danneggiato, sebbene il cons. 26 della direttiva CE (cd. Enforcement) 29 aprile 2004, n. 48 (sul rispetto dei diritti di proprieta’ intellettuale), attuata dal Decreto Legislativo 16 marzo 2006, n. 140 (v. articolo 158), abbia precisato che “il fine non e’ quello di introdurre un obbligo di prevedere un risarcimento punitivo” (Cass. n. 8730 del 2011 ne ammette la “funzione parzialmente sanzionatoria, in quanto diretta anche ad impedire che l’autore dell’illecito possa farne propri i vantaggi”);
– il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187 undecies, comma 2, (in tema di intermediazione finanziaria), che prevede, nei procedimenti penali per i reati di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, che la Consob possa costituirsi parte civile e “richiedere, a titolo di riparazione dei danni cagionati dal reato all’integrita’ del mercato, una somma determinata dal giudice, anche in via equitativa, tenendo comunque conto dell’offensivita’ del fatto, delle qualita’ del colpevole e dell’entita’ del prodotto o del profitto conseguito dal reato”;
– il Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (articoli 3 – 5), che ha abrogato varie fattispecie di reato previste a tutela della fede pubblica, dell’onore e del patrimonio e, se i fatti sono dolosi, ha affiancato al risarcimento del danno, irrogato in favore della parte lesa, lo strumento afflittivo di sanzioni pecuniarie civili, con finalita’ sia preventiva che repressiva (il cui importo e’ determinato dal giudice sulla base dei seguenti criteri: gravita’ della violazione, reiterazione dell’illecito, arricchimento del soggetto responsabile, opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell’illecito, personalita’ dell’agente, condizioni economiche dell’agente).
Un’ultima notazione: quando l’illecito incide sui beni della persona, il confine tra compensazione e sanzione sbiadisce, in quanto la determinazione del quantum e’ rimessa a valori percentuali, indici tabellari e scelte giudiziali equitative, che non rispecchiano esattamente la lesione patita dal danneggiato. La recente Cass. n. 1126 del 2015 ha visto nella “gravita’ dell’offesa” un “requisito di indubbia rilevanza ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale”.
9.- Queste le ragioni che inducono il Collegio a giudicare opportuno un intervento delle Sezioni Unite sul tema della riconoscibilita’ delle sentenze straniere comminatorie di danni punitivi.

P.Q.M.

La Corte, visto l’articolo 374 c.p.c., comma 2, rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, in quanto implicante la soluzione di una questione di massima di particolare importanza.

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