SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I
SENTENZA 5 settembre 2014, n. 37204
Ritenuto in fatto
- Con sentenza del 14 luglio 2011 il G.u.p. del Tribunale di Benevento, all’esito del giudizio abbreviato condizionato all’espletamento di perizia psichiatrica, ha dichiarato B.G. colpevole del reato di omicidio in danno della madre M.M.L. , strangolata con un filo di nylon, commesso il (omissis) , e, concesse le attenuanti generiche, giudicate equivalenti alle contestate aggravanti di avere commesso il fatto in danno di ascendente per motivi abietti o futili, e operata la riduzione per il rito, l’ha condannato alla pena di anni dieci di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e la confisca e la distruzione di quanto in sequestro.
- La Corte di assise di appello di Napoli, con sentenza del 26 giugno 2012, in parziale riforma della sentenza di primo grado, appellata dall’imputato, che ha confermato nel resto, ha escluso l’aggravante dei motivi abietti, ha ritenuto le concesse attenuanti generiche e la diminuente del vizio parziale di mente prevalenti sulle residue contestate aggravanti e ha rideterminato la pena in anni nove e mesi quattro di reclusione.
- Secondo la ricostruzione dei fatti operata dal primo Giudice sulla base degli elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini, richiamata dalla sentenza di secondo grado e non contestata dalla difesa, la morte della vittima andava ricollegata sotto il profilo materiale e psichico alla condotta dell’imputato, la cui confessione di avere strangolato la madre con un filo di nylon, resa ai Carabinieri intervenuti presso l’abitazione della donna a seguito di una sua telefonata, confermata dinanzi al P.M. e al G.i.p., aveva trovato riscontro nel verbale di sopralluogo e di arresto, negli esiti dell’esame autoptico, nelle dichiarazioni della vicina di casa V.M.G. , che aveva riferito in merito all’arrivo dell’imputato presso l’abitazione della madre e alla discussione animata subito insorta tra essi per questioni di proprietà, e in quelle della moglie dell’imputato, Mo.Ca. , che aveva ricevuto dallo stesso telefonicamente la prima comunicazione del commesso omicidio.
Il G.u.p., che aveva disposto la perizia psichiatrica sull’imputato, ne condivideva le conclusioni e riconosceva al medesimo un vizio parziale di mente, riducendo ex art. 89 cod. pen. ad anni quindici la pena di anni ventuno di reclusione, determinata previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla contestate aggravanti, e applicando la successiva riduzione per il rito.
- La Corte di assise di appello, che condivideva con il Giudice di primo grado il rilievo della pacifica materialità dei fatti, a ragione della decisione:
– riteneva infondato il motivo di appello concernente la contestata configurabilità dell’aggravante dei futili motivi, poiché la valutazione globale delle risultanze processuali acquisite, che ripercorreva ed esaminava alla luce dei principi di diritto in materia, consentiva di ritenere certa la commissione dell’omicidio a seguito dell’animata discussione avvenuta tra l’imputato e l’anziana madre con riguardo al possesso degli immobili ubicati in località (omissis) e al rifiuto deciso della donna di rilasciare il terreno e la casa, in cui abitava da sola nel periodo estivo, dopo la morte del coniuge; la questione ereditaria relativa ai detti immobili era insorta da tempo e l’imputato, risentito verso la madre con la quale non aveva rapporti da mesi, era andato a trovarla il giorno dell’omicidio per una sua risoluzione; nel corso del diverbio verbale, l’imputato aveva aggredito la madre che aveva strangolato da dietro, mentre stava tentando di salire al piano superiore, con un filo di nylon del tipo usato per legare le fascine, provocandone la morte per asfissia; lo stimolo esterno evidenziato non era idoneo a giustificare il fatto delittuoso, era del tutto inadeguato alla entità del fatto ed era privo di alcun collegamento logico con l’azione commessa;
– escludeva la configurabilità dell’attenuante della provocazione, avuto riguardo alla sua incompatibilità con l’aggravante dei futili motivi per la impossibile coesistenza, nel compimento della stessa azione, di stati d’animo contrastanti, e tenuto anche conto dei presupposti per il suo riconoscimento, dovendo il fatto provocatorio essere eziologicamente collegato con la reazione iraconda del soggetto provocato, in modo che sussistesse un rapporto di causalità psichica tra la condotta criminosa e l’offesa e la prima fosse realizzata in una incontrollata reazione iraconda determinata dalla seconda, mentre, nella specie, l’aggressione era riconducibile al persistente diniego della madre alla rivendicazione del possesso dei beni, e non alla condizione psicologica dell’imputato per il comportamento anaffettivo della stessa;
– riteneva insussistente alcuna incompatibilità tra il riscontrato vizio parziale di mente e la ravvisata aggravante del motivo futile, avuto riguardo alle conclusioni del perito e alla emersa idoneità dell’imputato a comprendere il disvalore delle sue azioni e ad autodeterminarsi;
– escludeva la fondatezza del motivo di appello concernente l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 577 n. 1 cod. pen., poiché la dedotta e presunta indegnità della madre non influiva sulla sua configurabilità, mentre difettavano i presupposti dell’aggravante dei motivi abietti;
– estendeva il giudizio di comparazione previsto dall’art. 69 cod. pen. alla diminuente del vizio parziale di mente e, nella valutazione globale che svolgeva, reputava le attenuanti prevalenti sulle aggravanti ritenute sussistenti.
- Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore di fiducia, B.G. , che ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia violazione della legge penale e manifesta illogicità e mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen. e alla conseguente ritenuta esclusione dell’attenuante della provocazione.
Secondo il ricorrente, è stata erroneamente ritenuta sussistente l’aggravante dei futili motivi, poiché la sentenza, valorizzando il pretesto della discussione su questioni di proprietà, ha disatteso la circostanza della maturazione del delitto nell’ambito di un rapporto madre-figlio svoltosi durante l’intero corso della vita in termini fortemente conflittuali per i reiterati comportamenti ingiusti della madre, peraltro riformando in peius la motivazione della sentenza di primo grado, che aveva, implicitamente, ritenuto il carattere conflittuale e anaffettivo del rapporto filiale prevalente rispetto al pretesto dell’abitazione e aveva, evidentemente, già escluso l’indicata aggravante nella motivazione e nelle conclusioni sanzionatorio, potendo l’equivalenza con le attenuanti essere ritenuta riferita all’aggravante del matricidio.
In ogni caso, ad avviso del ricorrente, il motivo dell’omicidio è stato il rapporto conflittuale anaffettivo con la madre, riferito da sua sorella B.A. e indicato dal perito come causa dei disturbi della sua personalità, mentre l’abitazione è stata solo un pretesto scatenante e un’azione d’impeto, che affondava le sue origini in cause psicologiche e psicopatologiche profonde e non era preventivabile.
Esclusa l’aggravante dei futili motivi, è possibile valutare la sussistenza della provocazione per accumulo, in dipendenza della presenza di circostanze ripetute nel tempo e che hanno potenziato per accumulo la carica afflittiva collegata a un fatto ingiusto dell’offeso, rappresentato dal rapporto contrassegnato da forte connotazione violenta, prevaricatrice, anaffettiva e denigratoria della madre, che si è scaricata dopo l’ultimo fatto provocatorio nella reazione inadeguata allo stimolo reattivo.
- Nell’interesse del ricorrente è pervenuta memoria del 15 ottobre 2013 con motivi nuovi e aggiunti, vertenti sul già invocato riconoscimento dell’attenuante della provocazione per accumulo.
Richiamate le osservazioni già svolte e ribadito il comportamento della madre, contrassegnato da una forte conflittualità e intollerabile verso il ricorrente, tanto da determinargli forti problematiche affettive, si ripete la deduzione della sussistenza dei presupposti per la configurabilità della invocata attenuante.
- All’udienza odierna, all’esito della requisitoria del Procuratore Generale e della esposizione da parte del difensore intervenuto delle sue conclusioni, nei termini riportati in epigrafe, si è data lettura, dopo la deliberazione, del dispositivo riportato in calce alla presente sentenza.
Considerato in diritto
- È fondata la censura con la quale il ricorrente si duole, sotto il profilo della incorsa violazione di legge e del vizio della motivazione della sentenza, della ritenuta sussistenza dell’aggravante dei futili motivi, che, non esclusa in primo grado, non è stata valutata nel giudizio di appello nella eccepita violazione del divieto della reformatio in peius.
- A proposito della natura e dei caratteri distintivi di tale aggravante, la giurisprudenza consolidata di questa Corte ha chiarito che per motivo deve intendersi l’antecedente psichico della condotta, ossia l’impulso che ha indotto il soggetto a delinquere, e che il motivo deve qualificarsi futile quando la determinazione delittuosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un pretesto o una scusa per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale.
La circostanza aggravante ha, quindi, natura prettamente soggettiva, dovendosi individuare la sua ragione giustificatrice nel fatto che la futilità del motivo a delinquere è indice univoco di un istinto criminale più spiccato e della più grave pericolosità del soggetto che legittima l’applicazione di un più severo trattamento punitivo (tra le altre, Sez. 1, n. 17309 del 19/03/2008., dep. 24/04/2008, Calisti e altri, Rv. 240001; Sez. 1, n. 24683 del 22/05/2008, dep. 18/06/2008, Iaria, Rv. 240905; Sez. 1, n. 29377 del 08/05/2009, dep. 16/07/2009, Albanese e altri, Rv. 244645; Sez. 1, n. 39261 del 13/10/2010, dep. 05/11/2010, Mele, Rv. 248832).
Si è anche osservato che il giudizio sulla futilità del motivo non può essere astrattamente riferito a un comportamento medio di una persona, attesa l’estrema difficoltà di definire i contorni di un simile astratto modello di agire, e che è, pertanto, richiesto che il giudizio sulla futilità del motivo sia ancorato agli elementi concreti della fattispecie, tenendo conto delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, del contesto sociale e del particolare momento in cui il fatto si è verificato, nonché dei fattori ambientali che possano avere condizionato la condotta criminosa (tra le altre, Sez. 1, n. 26013 del 14/06/2007, dep. 05/07/2007, Vallelunga e altri, Rv. 237336; Sez. 1, n. 42846 del 18/11/2010, dep. 02/12/2010, P.G. in proc. Muzaka, Rv. 249010).
- Posti tali condivisi principi, la sentenza impugnata non si sottrae alle censure mosse dal ricorrente e condivise dal Procuratore Generale presso questa Corte, che ha chiesto sul punto l’annullamento con rinvio della sentenza, presentando lacune e incoerenze argomentative che ne rendono deboli le affermazioni.
3.1. La Corte di secondo grado, procedendo dal rilievo che l’appello concerneva innanzitutto la questione relativa alla contestata configurabilità dell’aggravante dei futili motivi, ha ritenuto di individuare con certezza l’antefatto del delitto – in applicazione dei richiamati arresti di legittimità, e in particolare del necessario ancoraggio del giudizio relativo alla futilità del motivo agli elementi concreti della fattispecie e della necessaria certa identificazione del movente del reato – nelle ‘ragioni del contrasto insorto tra le parti, ravvisabili nella reiterata richiesta del B. di ottenere il rilascio del terreno e del casolare e del persistente rifiuto opposto dalla madre, che nel periodo estivo soggiornava da sola nella abitazione in cui fu commesso il delitto’.
Tali circostanze sono state indicate nei successivi passaggi motivi come emergenti con evidenza dalle dichiarazioni rese dall’imputato, dapprima spontaneamente nella immediatezza del fatto ai Carabinieri intervenuti e poi negli interrogatori resi al P.M. e, nella udienza di convalida, al G.i.p., dalle dichiarazioni rese dalle testi V. e Mo. , parzialmente confermative delle prime, e dalle dichiarazioni della sorella dell’imputato, che, a sua volta, confermando che i rapporti familiari non erano stati mai buoni per la mancanza di amore nei loro confronti della madre, con la quale aveva interrotto ogni relazione da circa venticinque anni, aveva rappresentato che il fratello era proprietario della casa rurale abitata dalla sola madre e che tra gli stessi intercorrevano frequenti litigi.
Il percorso argomentativo si è, quindi, sviluppato con il rilievo che, alla luce delle acquisite risultanze processuali valutate globalmente, posto l’indicato antefatto del delitto correlato a una risalente e non definita questione ereditaria, l’omicidio aveva fatto seguito ad animata discussione intercorsa tra la vittima e l’imputato riguardante il possesso degli indicati immobili e il loro rilascio, avendo l’imputato deciso di recarsi presso l’abitazione in cui alloggiava la madre, risentito verso la stessa, con la quale non aveva rapporti da mesi, e che aveva aggredito, nel corso del diverbio verbale, provocandone poi il decesso per strangolamento.
Lo stimolo esterno in tal modo individuato è stato, conclusivamente, stimato come assolutamente inidoneo a giustificare l’uccisione dell’anziana madre e macroscopicamente inadeguato rispetto alla entità dell’azione commessa, tanto da poter essere ritenuto mero pretesto senza un collegamento accettabile sul piano logico con la stessa, come reclamato dalla coscienza collettiva.
3.2. La Corte – innestando, a questo punto, nell’iter motivazionale della decisione il riferimento al rigetto del motivo di appello attinente alla concessione dell’attenuante della provocazione, correlato alle argomentazioni esposte e già riferite all’aggravante dei futili motivi, in dipendenza della incompatibilità di quest’ultima, che presuppone ‘una evidente e oggettiva sproporzione tra l’azione delittuosa e il movente’, con la provocazione, che postula la sussistenza di un fatto provocatorio e obiettivamente ingiusto, connesso eziologicamente con la reazione iraconda del soggetto provocato – ha osservato che l’assunto dell’imputato che il fatto ingiusto collegato all’evento fosse costituito dalla condotta anaffettiva dalla madre era smentito dalle già evidenziate risultanze processuali che, al contrario, inducevano a escludere che la brutale aggressione fosse ‘assolutamente riconducibile alla condizione psicologica di frustrazione vissuta dall’imputato a causa del comportamento anaffettivo della madre’, la stessa ricollegando esclusivamente al ‘persistente diniego opposto dalla stessa (madre) alla rivendicazione del possesso dei beni’, e ha tratto dalle considerazioni svolte l’affermazione finale della sussistenza della contestata aggravante dei futili motivi.
- La disamina della vicenda svolta con la sentenza impugnata, che ha correttamente richiamato in via di principio le linee giuridiche imposte da costante orientamento interpretativo quanto ai caratteri della contestata ritenuta aggravante e quanto alla incompatibilità della stessa con la pure invocata, ed esclusa, attenuante della provocazione per la impossibile coesistenza di stati d’animo contrastanti, non è logicamente coordinata né esaustiva.
4.1. La Corte, infatti, che ha trovato ragioni di sostegno alla tenuta logica delle considerazioni svolte nell’apprezzamento dell’aggravante dei futili motivi in quelle relative al confermato diniego dell’attenuante della provocazione, ha disancorato la questione della proprietà degli immobili da quella relativa alla conflittualità dell’imputato con la madre e all’anaffettività di quest’ultima, che ha ritenuto smentite, nella valutazione della provocazione, dalle risultanze processuali che hanno fondato il rilievo della questione della proprietà quale antefatto del delitto, e ha collegato la commessa azione omicida all’intento dell’imputato di impossessarsi dei beni assegnatigli nella divisione estromettendone la madre, che ha giudicato quale stimolo esterno, in alcun modo idoneo, adeguato e consistente rispetto alla entità del fatto.
4.2. In tal modo, non si è reso logicamente conto delle risultanze processuali, dalle quali si è detto essere stato smentito l’assunto difensivo della condotta anaffettiva della vittima quale fatto ingiusto collegato all’evento, avuto riguardo alle pur richiamate dichiarazioni della teste B.A. e alla confermata valutazione del primo Giudice quanto al riconoscimento delle attenuanti generiche (la modifica ha, invece, riguardato il solo espresso giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti in quello di prevalenza per la non operata inclusione nel giudizio di comparazione della diminuente del pur riconosciuto vizio parziale di mente) in rapporto, oltre che al comportamento processuale dell’imputato, al contesto nel quale è maturato il fatto delittuoso, ritenuto innestato ‘su un rapporto con la genitrice perennemente contrassegnato da una forte conflittualità’.
Né, lasciandosi parziale il discorso giustificativo della decisione, si è proceduto a verificare la ritenuta inadeguatezza e inconsistenza del movente, anche nei termini in cui è stato ravvisato sulla base delle evidenziate emergenze delle prove dichiarative, con riguardo ai pur richiamati elementi concreti della fattispecie, che la giurisprudenza di questa Corte, rifuggendo dal riferimento astratto a un comportamento medio difficilmente definibile, ha esemplificamente indicato nelle connotazioni culturali del soggetto giudicato, nella sua condizione psicologica, nel contesto sociale o nel particolare momento in cui il fatto si è verificato, nei fattori ambientali che possono aver condizionato la condotta criminosa.
- I vuoti argomentativi del ragionamento svolto impongono, pertanto, l’annullamento della decisione impugnata per un nuovo giudizio riguardo alla configurabilità della circostanza dei futili motivi.
Tale annullamento investe anche il punto della decisione relativo alla configurabilità della circostanza della provocazione.
Avuto riguardo al condiviso e riaffermato principio, alla cui stregua la circostanza aggravante dei futili motivi è incompatibile con l’attenuante della provocazione (tra le altre, Sez. 1, n. 24683 del 22/05/2008, dep. 18/06/2008, Iaria, Rv. 240906; Sez. 5, n. 17686 del 26/01/2010, dep. 07/05/2010, Matei, Rv. 247222), spetterà, infatti, al giudice del rinvio, che si individua in diversa sezione della Corte di assise di appello di Napoli, a procedere a motivazione autonoma in ordine alla configurabilità di detta attenuante in relazione all’esito della ridiscussa sussistenza dell’aggravante dei futili motivi.
P.Q.M
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla configurabilità delle circostanze dei motivi futili e della provocazione e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Napoli.
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