Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 2 maggio 2018, n. 18788.
In tema di associazione per delinquere, il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la configurabilita’ del reato deve essere valutato in senso oggettivo, ossia come componente effettiva ed esistente del sodalizio e non con riferimento al numero degli imputati presenti nel processo. Ne consegue che vale ad integrare il reato anche la partecipazione degli individui rimasti ignoti o giudicati a parte o deceduti, e che e’ possibile dedurre l’esistenza della realta’ associativa, anche sotto il profilo numerico, dalle attivita’ svolte, dalle quali puo’ risultare in concreto una distribuzione di compiti necessariamente estesa a piu’ di due persone.
Necessaria consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio criminale e di partecipare con il proprio contributo causale alla realizzazione di un programma criminale duraturo, per la realizzazione del quale e’ stata predisposta la struttura con i mezzi necessari al raggiungimento degli scopi illeciti. All’uopo l’articolo 416 c.p. non richiede una puntuale definizione delle identita’ dei singoli partecipanti, ma unicamente la delineazione dell’effettiva e consapevole partecipazione di piu’ soggetti, coordinatamente volta alla commissione dei reati.
Sentenza 2 maggio 2018, n. 18788
Data udienza 25 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere
Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere
Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere
Dott. MOROSINI Elisabetta – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/10/2016 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROSA PEZZULLO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FIMIANI PASQUALE;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto;
Udito il difensore (OMISSIS) dopo aver richiamato i motivi di ricorso ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10.10.2016 la Corte d’appello di Torino ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per intervenuta prescrizione, quanto ai reati di cui ai capi b) e c) (Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 166 e articolo 640 c.p.) – reati fine rispetto il reato associativo di cui al capo a) – per il quale e’ stata confermata la responsabilita’ del predetto imputato e rideterminata la pena in anni quattro e mesi sei di reclusione.
1.1. Il (OMISSIS), in particolare, e’ stato riconosciuto promotore di un’associazione per delinquere, dedita a truffe in danno di risparmiatori e ad abusivismo finanziario, associandosi con il defunto (OMISSIS) e con altre persone non identificate, operando attraverso lo schermo della (OMISSIS), banca inesistente, ma con asserita sede legale alle isole Cayman e filiale Europea in (OMISSIS), quest’ultima dotata di uffici, personale e attrezzature messi a disposizioni dall’ (OMISSIS) attraverso la societa’ (OMISSIS).
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, affidato a due motivi, con i quali lamenta:
-con il primo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per carenza e vizio logico di motivazione, non avendo la Corte territoriale argomentato in relazione al mancato accoglimento delle doglianze presenti nell’atto di appello; in particolare, sono state completamente disattese le richieste di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, senza alcuna motivazione; prive di risposta, inoltre, risultano le doglianze in merito alla carenza dell’elemento soggettivo ed oggettivo del reato di cui all’articolo 416 c.p. e, comunque, dei presupposti per la configurabilita’ del delitto in questione, essendo due gli associati ed il riferimento ad altre persone non identificate non appare sufficiente a dar conto di tali presupposti; la Corte territoriale, poi, non ha considerato neppure le indicazioni dell’imputato circa il suo ruolo nella Banca: dipendente e al piu’ collaboratore, in uno al fatto che dopo le sue dimissioni, avvenute nel dicembre 2003, la Banca ha continuato a lavorare anche senza di lui, da cio’ deducendosi la prova circa la sua posizione di mero dipendente nell’ambito della Banca stessa; il preteso contratto di domiciliazione, reca una firma ictu oculi falsa dell’imputato e la circostanza che l’ (OMISSIS) avrebbe versato una somma pari a Euro 500.000,00 al ricorrente (OMISSIS) in contarti appare inverosimile in relazione alla mancata pretesa da parte di costui di una quietanza o di una ricevuta; inoltre, il deducente non ha mai raccolto denaro direttamente, provvedendo a cio’ una terza persona; anche in ordine alla determinazione della pena, la Corte d’Appello si e’ limitata esclusivamente a sottrarre la pena relativa alle truffe prescritte, mantenendo la pena prevista ex articolo 416 c.p., senza riconsiderare, ne’ motivare la decisione in tal senso;
-con il secondo motivo, l’erronea mancata applicazione della prescrizione ex articolo 157 c.p., in quanto, trattandosi di reato commesso nel 2004 andava dichiarata appunto la prescrizione del reato.
Il ricorso e’ inammissibile, siccome manifestamente infondato.
1. Con il primo motivo, contenente plurime censure, risulta innanzitutto dedotta dall’imputato la carenza di motivazione della sentenza impugnata in relazione alle richieste di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. La Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha compiutamente dato conto delle richieste di integrazione probatoria avanzate dall’imputato (acquisizione di lettere anonime, accertamenti sul nominativo del dipendente della (OMISSIS) addetto. alla raccolta del denaro contante, perizia calligrafica per il contratto relativo alla (OMISSIS)), evidenziando come nessuna di esse fosse necessaria ai fini della decisione ed, in particolare, le lettere anonime, oltre ad essere del tutto inconferenti, in base a quanto prospettato dal difensore, non avrebbero potuto essere acquisite od utilizzate, a norma dell’articolo 240 c.p.p.. Sul punto, e’ sufficiente evidenziare come alla rinnovazione dell’istruzione nel giudizio di appello, di cui all’articolo 603 c.p.p., comma 1, possa ricorrersi solo quando il giudice ritenga “di non poter decidere allo stato degli atti”, sussistendo tale impossibilita’ unicamente quando i dati probatori gia’ acquisiti siano incerti, nonche’ quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che o possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per se’ oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013). Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, puo’ essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicita’, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014).
2.1 Generica e, comunque, manifestamente infondata si presenta la deduzione circa la insussistenza del reato associativo per carenza del numero minimo di membri. Sul punto, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi di legittimita’, secondo cui, in tema di associazione per delinquere, il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la configurabilita’ del reato deve essere valutato in senso oggettivo, ossia come componente effettiva ed esistente del sodalizio e non con riferimento al numero degli imputati presenti nel processo. Ne consegue che vale ad integrare il reato anche la partecipazione degli individui rimasti ignoti o giudicati a parte o deceduti, e che e’ possibile dedurre l’esistenza della realta’ associativa, anche sotto il profilo numerico, dalle attivita’ svolte, dalle quali puo’ risultare in concreto una distribuzione di compiti necessariamente estesa a piu’ di due persone (Sez. 5, n. 39223 del 23/09/2010; Sez. 6, n. 12845 del 24/02/2005).
2.1.1. In linea con i suddetti principi i giudici d’appello hanno ritenuto che l’integrazione del reato associativo in questione non poteva essere esclusa dal fatto che il compartecipe al sodalizio, (OMISSIS), era deceduto durante il processo, ovvero che gli altri partecipanti dell’associazione non erano stati identificati. Cio’ in considerazione del fatto che cio’ che conta e’ l’effettiva ed oggettiva partecipazione di piu’ soggetti – almeno tre – all’associazione al precipuo e congiunto scopo di realizzare i reati fine. In proposito, la Corte territoriale con motivazione congrua immune da censure, ha evidenziato come la complessa macchina organizzativa architettata dall’imputato e dagli altri partecipanti all’associazione per realizzare le truffe – creando dal nulla una apparente banca d’affari (OMISSIS), con una sede di prestigio, beni strumentali, personale, un sito web, software gestionali, nonche’ un complesso simulacro di operazioni finanziarie, pagamenti, report e fatture, idoneo a trarre in inganno anche professionisti qualificati (avvocati, commercialisti ecc.) che si sono affidati alla finta banca e hanno investito ingenti somme – non poteva che essere attuata mediante piu’ persone, oltre all’imputato e al defunto (OMISSIS), aventi ruoli specifici come chiaramente riferito dalle persone che si erano recate presso la (OMISSIS) a (OMISSIS). Basti considerare tal (OMISSIS), il (OMISSIS), il (OMISSIS), il (OMISSIS) e il (OMISSIS) che con l’imputato si comportavano come funzionari che parlavano in diverse lingue e si occupavano di mercati diversi, oltre alle segretarie. Tali soggetti, poi, come messo in risalto dai giudici di merito, senza idonee smentite, risultavano essere ben consapevoli della mise en scene, anche perche’ il denaro raccolto dai clienti tratti in inganno non era investito nel mercato, ma indebitamente trattenuto; essi in concreto fingevano di compiere operazioni del tutto inesistenti e insieme al (OMISSIS) e all’ (OMISSIS) fornivano ai clienti l’apparente immagine di funzionalita’ di una SIM inesistente. Inoltre, il numero di truffe e’ stato ampio e verso investitori qualificati, per somme rilevanti e per diversi anni, senza che nessuna delle persone offese sospettasse del minimo inganno. In tale contesto, dunque, risulta adeguatamente dimostrata anche la necessaria consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio criminale e di partecipare con il proprio contributo causale alla realizzazione di un programma criminale duraturo, per la realizzazione del quale e’ stata predisposta la struttura con i mezzi necessari al raggiungimento degli scopi illeciti (ex multis Sez 1, sentenza del 22 settembre 2006, n. 34043, Rv. 234800 e Sez. 3, Sentenza n. 20921 del 14/03/2013, Rv. 255776). All’uopo l’articolo 416 c.p. non richiede una puntuale definizione delle identita’ dei singoli partecipanti, ma unicamente la delineazione dell’effettiva e consapevole partecipazione di piu’ soggetti, coordinatamente volta alla commissione dei reati (sul punto la giurisprudenza di questa Corte e’ granitica: Sez. 5, Sentenza n. 39223 del 23/09/2010, Rv. 248882; Sez. 6, Sentenza n. 12845 del 24/02/2005, Rv. 231237; Sez. 2, Sentenza n. 7437 del 30/04/1999, Rv. 21384). Pertanto, nella fattispecie in esame, la ricostruzione dei giudici di merito appare certamente sufficiente a configurare in capo al (OMISSIS) il reato di associazione per delinquere, anche se l’ (OMISSIS) e’ venuto meno e gli altri soggetti non sono stati identificati.
2.2. Del tutto generica si presenta, poi, la deduzione del ricorrente circa la mancata considerazione da parte della Corte territoriale del suo ruolo di mero dipendente “inconsapevole” della banca e di mero esecutore di ordini. Tale deduzione non si confronta con tutto quanto evidenziato dai giudici di merito circa il ruolo di “comparse” dei soggetti operanti nella sede della (OMISSIS) e con il fatto che le affermazioni del ricorrente sono rimaste sfornite di qualsivoglia elemento a conforto della sussistenza di rapporto di lavoro subordinato.
2.3. Le ulteriori deduzioni del ricorrente, circa il contratto di domiciliazione con una sottoscrizione falsa ed il pagamento di una somma di 500.000 Euro da parte dell’ (OMISSIS) nei confronti del ricorrente, si traducono in mere deduzioni in fatto, inammissibili in questa sede di legittimita’
2.4. Le doglianze in merito al trattamento sanzionatorio si presentano anch’esse del tutto generiche, avendo la Corte territoriale dato compiutamente conto delle ragioni per le quali fosse da ritenere del tutto congrua la pena base fissata dal primo giudice e da condividere la scelta di non concedere le circostanze attenuanti generiche, in mancanza di elementi di segno positivo.
3. Il secondo motivo di ricorso, attinente alla mancata dichiarazione dell’intervenuta prescrizione del reato, e’ manifestamente infondato, atteso che nei confronti dell’imputato risulta contestata e ritenuta la recidiva specifica infraquinquennale ex articolo 99 c.p., comma 4 e considerato il termine ex articolo 157 c.p., comma 2 (a decorrere dal 28.2.2004, di anni 11 e 8 mesi), nonche’ di cui all’articolo 161/2 c.p. (pari ad ulteriori 6 anni ex articolo 99 c.p., comma 6 in base al cumulo delle pene risultanti dal certificato penale), il termine massimo di prescrizione andra’ a cadere in data 21.11.2018.
4. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, nonche’, trattandosi di causa di inammissibilita’ riconducibile a colpa del ricorrente al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 2000,00, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p..
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ al versamento di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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