Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2400. L’esimente putativa del consenso

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9. I giudici di appello si preoccupano, poi (cosi’ affrontando questa Corte le doglianze sviluppate anche nel residui motivi di ricorso, che per l’intima connessione delle censure svolte meritano congiunto esame), di approfondire la genesi ed i tempi delle denunce, traendo da tali argomenti un motivo di conferma dell’attendibilita’, individuando quali elementi di riscontro anche le dichiarazioni della teste (OMISSIS) (responsabile del Centro antiviolenza) che aveva descritto lo stato di timore della p.o., confermato anche dalle dichiarazioni della figlia (OMISSIS), che, per tranquillizzarla, aveva dovuto predisporre un sistema di difesa passiva al proprio appartamento, rinforzando la struttura della porta di ingresso, e ricavando altresi’ dei bastoni dalle gambe di una sedia quale strumento di difesa attiva. Significativo, poi, il richiamo alla richiesta di aiuto rivolta dalla p.o. proprio alla sorella (OMISSIS) (pag. 4), cio’ che contrasta con la tesi sostenuta dal ricorrente. Analoga attenzione, inoltre, e’ dedicata dalla Corte d’appello al tema delle percosse e delle lesioni di cui sarebbe rimasta vittima la p.o., le quali risultano corroborate anche da elementi esterni di riscontro, come, allo stesso modo, puntuale e’ l’attenzione che i giudici territoriali dedicano alla deposizione dell’infermiere (OMISSIS) circa l’episodio avvenuto in data (OMISSIS), la cui deposizione viene considerata dalla Corte d’appello non determinante con una motivazione certamente non attinta dal vizio di illogicita’ “manifesta” (pag. 5, osservando in particolare i giudici di appello che poiche’ l’infermiere stava assistendo la madre moribonda di (OMISSIS), trovandosi in una stanza diversa da quella in cui si svolgeva l’azione ed essendo intento a prestare la sua attivita’ in un momento particolarmente delicato, non era stato nelle condizioni di riferire con precisione quanto accaduto). La sentenza, poi, si sofferma sia sull’episodio del sequestro di persona avvenuto in data (OMISSIS), i cui riscontri sono rappresentati dalle dichiarazioni dei figli della p.o. (pag. 5), sia con riferimento al reato di atti persecutori, valorizzando con attenzione non solo gli elementi di riscontro (pag. 5, testi (OMISSIS) ed (OMISSIS)) confermativi dei plurimi appostamenti e pedinamenti oltre che dei messaggi diretti a segnalarle la presenza dell’ex coniuge ed il suo costante controllo, ma anche delle conseguenze derivanti da tale condotta, in quanto – come si legge in sentenza (pag. 59, il grave stato di paura della p.o. risultava palesemente dimostrato dalle misure di difesa (sbarra di sicurezza alla porta d’ingresso e bastoni) predisposte presso l’abitazione della figlia (OMISSIS), dove la donna si era rifugiata dopo l’allontanamento dalla casa coniugale. I giudici di appello individuano, inoltre, gli elementi che confortano anche il rivolgersi degli atti persecutori nei confronti dei figli, sia verso (OMISSIS) che nei confronti di (OMISSIS), avendo in particolare quest’ultima subito simili atteggiamenti persecutori per mano del padre anche sul posto di lavoro, come confermato dalla deposizione di un collega di lavoro della ragazza ( (OMISSIS)), da un’amica della stessa ( (OMISSIS)) e da un teste qualificato, appartenente alla polizia giudiziaria ( (OMISSIS)). Infine, con riferimento al reato di violenza sessuale, la Corte d’appello confuta la tesi difensiva della riconoscibilita’ del dissenso della p.o. sottolineando come anche le aggressioni fisiche e verbali, proseguite anche successivamente al ritorno della p.o. nella casa coniugale, avrebbero dovuto rendere evidente in capo all’imputato la consapevolezza del dissenso, posto che dalla donna tali violente “attenzioni” sessuali venivano sostanzialmente subite in un contesto di sopraffazione ed umiliazione esteso ad ogni aspetto della vita matrimoniale.
10. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze dell’imputato espresse nel motivo in esame (che, peraltro, come detto, riguardano anche tutti i successivi motivi con cui si deducono asserite violazioni della legge penale e presunti vizi motivazionali di mancanza ed illogicita’ della motivazione i quali, – attesa l’omogeneita’ dei profili di doglianza ad essi sottesa meritano congiunta trattazione), si risolvono in evidenti tentativi di “rilettura” del materiale probatorio oltre che nelle consuete espressioni di “dissenso” rispetto alla ricostruzione dei fatti ed alla valutazione delle prove operate dai giudici di merito.
Deve, a tal proposito, essere ricordato che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimita’ e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorieta’ della motivazione solo perche’ contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilita’ dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruita’ e logicita’ della motivazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989 – dep. 11/01/1990, Bianchesi, Rv. 182961). Il controllo di legittimita’ sulla motivazione e’, infatti, diretto ad accertare se a base della pronuncia del giudice di merito esista un concreto apprezzamento del materiale probatorio e/o indiziario e se la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi logici. Restano escluse da tale controllo sia l’interpretazione e la consistenza degli indizi e delle prove sia le eventuali incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato: ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimita’ i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti ne’ su altre spiegazioni, per quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal ricorrente (Sez. 6, n. 1762 del 15/05/1998 – dep. 01/06/1998, Albano L, Rv. 210923).

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