Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2400. L’esimente putativa del consenso

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La sentenza impugnata non merita dunque censura sotto tale profilo.
11. La manifesta infondatezza delle doglianze, invero, oltre a connotare le censure svolte a proposito dei maltrattamenti subiti (provati indiscutibilmente sulla scorta degli elementi richiamati nelle sentenze di merito), riguarda anche il presunto travisamento probatorio della deposizione del teste (OMISSIS).
Quest’ultimo e’, in realta’, inesistente. L’apprezzamento della prova e’ infatti affidato in via esclusiva al giudice di merito, il quale e’ libero di valutare le prove raccolte nella istruzione e nel dibattimento, organizzandole e dando a ciascuna di esse, come al loro complesso, il peso ed il significato che ritiene piu’ opportuno, mentre il controllo della Corte di Cassazione e’ limitato alla congruita’ della motivazione, nel senso che tale operazione intellettuale deve rispettare le regole della logica. Il giudice di merito non ha, peraltro, l’obbligo di analizzare singolarmente tutte le deposizioni testimoniali, tutte le risultanze in atti e tutte le deduzioni ed allegazioni difensive, essendo sufficiente che egli dimostri, con un giudizio sia pure complessivo, di averle tenute tutte presenti nella formazione del suo convincimento e, in caso di diverse contrastanti versioni del fatto, che dia congrua giustificazione delle tesi prescelte. In applicazione di tale principio non puo’ parlarsi di vizio della motivazione qualora il giudice prenda in esame soltanto le risultanze processuali che ritiene rilevanti ai fini del decidere e le valuti nel loro complesso in relazione agli elementi difensivi, indicando le ragioni del proprio convincimento. Ne’ e’ lecito censurare le scelte operate dai giudici di merito adducendo un preteso omesso esame di circostanze rilevanti perche’ la decisione non ha seguito la impostazione difensiva.
Il giudizio di manifesta infondatezza si estende, poi, anche al delitto di atti persecutori (provato indiscutibilmente sulla scorta degli elementi richiamati nelle sentenze di merito) nonche’ per il reato di sequestro di persona (rispetto al quale le censure difensive sono connotate da assoluta genericita’, in quanto aventi natura e tenore puramente contestativo) nonche’, infine, quanto al delitto di violenza sessuale (anch’esso provato indiscutibilmente sulla scorta degli elementi richiamati nelle sentenze di merito), in relazione al quale, al fine di evidenziare la infondatezza della tesi del consenso “presunto” all’atto sessuale desumibile dal comportamento della ex moglie, e’ sufficiente in questa sede ribadire che ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, e’ sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico. Ne consegue che e’ irrilevante l’eventuale errore sull’espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l’errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volonta’ promananti dalla parte offesa (Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016 – dep. 22/11/2016, S, Rv. 268186).
12. E, su tale ultimo aspetto – quand’anche non si voglia aderire alla tesi rigorosa sostenuta da questa stessa Sezione secondo cui l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non e’ configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia pertanto in un in errore inescusabile sulla legge penale (Sez. 3, n. 17210 del 10/03/2011 – dep. 03/05/2011, P.M. in proc. I., Rv. 250141) -, osserva comunque il Collegio come non potrebbe certo attribuirsi valenza “significativa” alla generica circostanza rappresentata dall’aver la ex moglie del ricorrente manifestato la volonta’ di fare ritorno nella casa coniugale, quale espressione della sua intenzione di riappacificarsi. L’esimente putativa (nella specie consenso dell’a-vente diritto) puo’ infatti trovare applicazione solo quando sussista un’obiettiva situazione – non creata dallo stesso soggetto attivo del reato – che possa ragionevolmente indurre in errore tale soggetto sull’esistenza delle condizioni fattuali corrispondenti alla configurazione della scriminante (v., tra le tante: Sez. 3, n. 7186 del 20/04/1990 – dep. 24/05/1990, Colantonio, Rv. 184366). Detta esimente putativa, in ogni caso, presuppone che il presunto consenso della vittima riguardi specificamente la condotta che, in assenza del consenso (sia esso o meno presunto), rivestirebbe carattere di illiceita’, non potendosi attribuire ad una condotta polisenso (quale e’, nel caso di specie, la volonta’ della ex moglie di far ritorno nella casa coniugale nel tentativo di riappacificarsi con l’imputato), non avente una sicura ed inequivoca diretta relazione causale rispetto al fatto potenzialmente illecito se posto in essere senza il consenso di quest’ultima (ossia al compimento di quello specifico atto sessuale), una valenza “giustificativa” di natura onnicomprensiva, ossia rivolta in generale a tutti i comportamenti invasivi della liberta’ sessuale del coniuge, il quale potrebbe opporsi ad uno o piu’ di essi e “consentire” volontariamente ad altri, non potendo certo il dubbio sull’esistenza del consenso tradursi nel riconoscimento, in ogni caso, dell’esimente putativa per le ragioni esplicitate.
Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:
“In tema di reati sessuali, l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto presuppone che il presunto consenso della vittima riguardi specificamente la condotta che, in assenza del consenso (sia esso o meno presunto), rivestirebbe carattere di illiceita’, non potendosi attribuire ad una condotta polisenso (nella specie, il comportamento del coniuge di far ritorno nella casa coniugale nel tentativo di riappacificarsi con l’altro coniuge), non avente una sicura ed inequivoca diretta relazione causale rispetto al fatto potenzialmente illecito se posto in essere senza il consenso di quest’ultima (ossia al compimento di quello specifico atto sessuale), una valenza giustificativa di natura onnicomprensiva, ossia rivolta in generale a tutti i comportamenti invasivi della liberta’ sessuale del coniuge, il quale potrebbe opporsi ad uno o piu’ di essi e consentire volontariamente ad altri, non potendo certo il dubbio sull’esistenza del consenso tradursi nel riconoscimento, in ogni caso, dell’esimente putativa”.
13. Alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Segue, infine, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese relative all’azione civile, liquidate come da richiesta in base ai criteri di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, nell’ammontare in dispositivo indicato, con distrazione in favore dell’Erario, trattandosi di parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
14. In applicazione del decreto del Primo Presidente della S.C. di Cassazione n. 178 del 2016, si provvede all’oscuramento dati, in ragione dei reati contestati.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS) che si liquidano in complessivi Euro 2.010,00, oltre accessori di legge, disponendone il pagamento in favore dello Stato.

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