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7. Manifestamente infondate sono, ancora, le censure sviluppate, in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze generiche, rispettivamente nel terzo motivo di ricorso di (OMISSIS) e nel quarto motivo di impugnazione della (OMISSIS).
In argomento, giova premettere che la valutazione circa la concessione o il diniego delle circostanze di cui all’articolo 62-bis cod. pen. si configura come un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalita’ del giudice, che deve motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita’ effettiva del reato e alla personalita’ del reo (v. tra le tante Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, dep. 23/11/2010, Straface, Rv. 248737; Sez. 1, n. 46954 del 4/11/2004, dep. 2/12/2004, P.G. in proc. Palmisani e altro, Rv. 230591). In questa prospettiva, il giudicante, se si determina per il diniego, non e’ tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo, avuto riguardo ai parametri di cui all’articolo 133 cod. pen., senza che, peraltro, sia necessario che il giudice li esamini tutti, essendo in realta’ sufficiente che egli specifichi a quali, tra essi, egli abbia inteso fare riferimento, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, dep. 3/07/2014, Lule, Rv. 259899).
Sempre in via di principio, va, inoltre, osservato che la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimita’ dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante e’ soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 9/03/2016, Piliero, Rv. 266460).
7.1. Orbene, nel caso di (OMISSIS), i giudici di merito hanno posto in luce, fin dalla sentenza di primo grado, l’assenza di concreti elementi suscettibili di positiva valutazione, che l’imputato non ha, invero, indicato, limitandosi a dedurre la mera condizione di incensuratezza, la quale, dopo la modifica dell’articolo 62-bis cod. pen. ad opera del Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge con modificazioni dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, non puo’ pero’ essere posta a fondamento della concessione delle invocate attenuanti.
7.2. Quanto, poi, alla (OMISSIS), le circostanze che sono state indicate nel ricorso introduttivo (quali il minimo contributo causale, l’esistenza di alcune delle prestazioni, la necessita’ di adeguare la pena al caso concreto), le quali non risultano, dal testo della sentenza, essere state dedotte in precedenza, sono state comunque escluse dai giudici di primo e secondo grado, essendo stato il contributo dell’imputata chiaramente essenziale alla realizzazione della complessiva opera ai danni del fisco ed essendo stata la congruita’ della pena oggetto di ponderata valutazione.
Pertanto, anche le questioni dedotte con riferimento alle attenuanti generiche si configurano come palesemente infondate.
8. Manifestamente infondato e’, infine, il quarto motivo di ricorso con il quale (OMISSIS) lamenta il vizio di motivazione in relazione alla estinzione per prescrizione del reato contestato al capo E).
Sul punto, osserva, in premessa, il Collegio, che “il mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, di un motivo di appello non comporta l’annullamento della sentenza quando la censura, se esaminata, non sarebbe stata in astratto suscettibile di accoglimento, in quanto l’omessa motivazione sul punto non arreca alcun pregiudizio alla parte” (cosi’ Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, dep. 21/05/2015, Dell’Utri, Rv. 263980; Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012, dep. 20/06/2013, Tannoia e altro, Rv. 256314, secondo cui nel giudizio di cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato).
Nel caso di specie, il motivo di appello era palesemente infondato, considerato che gia’ la sentenza di primo grado aveva escluso la responsabilita’ dell’imputato in relazione all’anno di imposta 2007, sicche’ residuavano le sole condotte illecite contestate in relazione agli anni successivi. Tra queste, le dichiarazioni piu’ risalenti erano riferite all’anno di imposta 2008, in relazione al quale il tempus commissi delicti e’ stato indicato, senza che la difesa dell’imputato lo abbia in alcun modo contestato, il 25/09/2009 (termine per la presentazione delle dichiarazioni relative all’anno in questione).
Conseguentemente, il termine prescrizionale, pari a sette anni e sei mesi (comprensivo, oltre che del termine ordinario, anche dell’ulteriore frazione di un quarto computata, ai sensi dell’articolo 161 c.p., comma 2, in conseguenza degli eventi interruttivi intercorsi), doveva essere individuato nel 25/03/2017 e non nel 25/03/2016 e, dunque, ben oltre la pronuncia della sentenza di secondo grado.
Pertanto, anche il motivo in esame si configura come manifestamente infondato.
9. Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 Euro ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno della somma di Euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle Ammende.
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