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Ripercorrendo i principali arresti della giurisprudenza penale in tema di attribuzione della responsabilita’ ai componenti della equipe, il principio cardine, piu’ volte richiamato, e’ quello del controllo reciproco: “in tema di responsabilita’ medica, l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’ equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la sentenza di condanna per il reato di omicidio colposo nei confronti, oltre che del ginecologo, anche delle ostetriche, ritenendo che l’errore commesso dal ginecologo nel trascurare i segnali di sofferenza fetale non esonerava le ostetriche dal dovere di segnalare il peggioramento del tracciato cardiotocografico, in quanto tale attivita’ rientrava nelle competenze di entrambe le figure professionali operanti in equipe); (Cass. pen. n. 53315 del 2016), con la puntualizzazione che tale principio non si estende a fasi dell’operazione distinte: In tema di colpa professionale, in caso di intervento chirurgico in “equipe”, il principio per cui ogni sanitario e’ tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attivita’ altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell’affidamento per cui puo’ rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui” (Cass. n. 27314 del 2017).
In particolare poi in relazione alla posizione del componente sottordinato della equipe, la Cassazione penale ha recentemente affermato che: “In tema di colpa medica, il medico componente della equipe chirurgica in posizione di secondo operatore che non condivide le scelte del primario adottate nel corso dell’intervento operatorio, ha l’obbligo, per esimersi da responsabilita’, di manifestare espressamente il proprio dissenso, senza che tuttavia siano necessarie particolari forme di esternazione dello stesso. (In motivazione, la Corte ha sottolineato che la valutazione relativa alla idoneita’ della forma di dissenso impiegata ad escludere la responsabilita’ penale deve essere compiuta avendo riguardo al contesto in cui questa opinione e’ stata resa manifesta, dovendo necessariamente distinguersi tra la situazione in cui si procede a scelte puramente terapeutiche a quella di tipo operatorio)” (Cass. n.43828 del 2015, che innova rispetto a Cass. pen. n. 5864 del 2013: “In tema di colpa in ambito sanitario, non e’ configurabile una responsabilita’ professionale dell’aiuto e dell’assistente medico sulla base della sola partecipazione all’intervento chirurgico effettuato direttamente dal primario, non essendo essi obbligati a dissociarsi dall’attivita’ materialmente compiuta dal primo operatore o a manifestare il proprio dissenso “in tempo reale” abbandonando la sala operatoria. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato senza rinvio, in applicazione di quanto previsto dall’articolo 129 c.p.p., comma 2, la sentenza impugnata che aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato di lesioni personali colpose nei confronti di un medico la cui condotta era consistita nell’essere stato presente all’intervento direttamente eseguito dal primario)”.
Tali principi sono stati gia’ recepiti e condivisi dalle sezioni civili: di recente, Cass. n. 4387 del 2016, che ha richiamato la necessita’, ai fini dell’esenzione dalla concorrente responsabilita’ dei membri dell’equipe nell’inadempimento della prestazione sanitaria, in base all’effettivo apporto causale di ciascun sanitario, del dissenso manifestato dai componenti dell’equipe (in quel caso rispetto alla scelta di tecnica operatoria adottata dal primario e non condivisa) dissenso la cui esternazione non richiede forme particolari o vincolate (richiamando appunto il principio espresso da Cass. pen. n. 43828 del 2015).
In riferimento alla situazione in esame, si osserva quanto segue:
– la responsabilita’ dei due medici che hanno direttamente operato la paziente e’ stata affermata non in relazione ad una errata esecuzione dell’intervento chirurgico, ma in relazione ad un comportamento negligente, di non adeguatamente attenta verifica preliminare delle condizioni fisiche in cui versava la paziente, individuabile a mezzo degli esami del sangue, che aveva condotto ad una errata scelta clinica, la scelta appunto di intervenire chirurgicamente, benche’ non si trattasse di una operazione necessaria ne’ urgente, su una paziente in condizioni fisiche alterate, provocandole una perdita di chances di sopravvivenza a fronte della patologia dalla quale era gia’ affetta;
– il secondo aiuto in quanto tale non aveva il compito di operare direttamente, ma era incaricato di compiere alcune operazioni collaterali e preparatorie, atte a mettere i chirurghi in condizioni di operare agevolmente;
– nessun addebito gli e’ stato mosso in relazione al compimento delle operazioni di sua stretta competenza.
Tutto cio’ premesso, deve ritenersi che il secondo aiuto di una equipe medica non possa andare esente da ogni responsabilita’ solo per aver compiuto correttamente le mansioni a lui direttamente affidate, proprio per il principio di controllo reciproco che esiste in relazione al lavoro in equipe, secondo il quale l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’ equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali.
Deve poi aggiungersi che rientra negli obblighi di diligenza che gravano su ciascun componente di una equipe chirurgica, sia esso in posizione sovra o sottordinata, quello di prendere visione, prima dell’operazione, della cartella clinica del paziente contenente tutti i dati atti a consentirgli di verificare, tra l’altro, se la scelta di intervenire chirurgicamente fosse corretta e fosse compatibile con le condizioni di salute del paziente.
Deve in conseguenza escludersi che la diligenza del componente dell’equipe medica in posizione sottordinata si limiti al mero svolgimento delle mansioni affidate senza che sia necessaria una preventiva acquisizione di consapevolezza delle condizioni del paziente nel momento in cui questo viene sottoposto ad operazione.
In particolare, dal professionista che faccia parte sia pure in posizione di minor rilievo di una equipe si pretende pur sempre una partecipazione all’intervento chirurgico non da mero spettatore ma consapevole e informata, in modo che egli possa dare il suo apporto professionale non solo in relazione alla materiale esecuzione della operazione, ma anche in riferimento al rispetto delle regole di diligenza e prudenza ed alla adozione delle particolari precauzioni imposte dalla condizione specifica del paziente che si sta per operare. Solo una presenza professionalmente informata puo’ consentire che egli possa in ogni momento segnalare, anche senza particolari formalita’, il suo motivato dissenso rispetto alle scelte chirurgiche effettuate, ed alla scelta stessa di procedere all’operazione. Per queste ragioni il sesto motivo di ricorso va accolto.
1.e. I motivi di ricorso da 7 a 11.
Con i motivi di ricorso dal 7 all’11, che possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi, i ricorrenti denunciano la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 2909 c.c. e articolo 324 c.p., ovvero invocano una contraddittorieta’ di giudicati rispetto all’altra causa civile, che si e’ svolta tra la madre della signora (OMISSIS) e i medici, e che si e’ conclusa piu’ favorevolmente per la danneggiata con l’affermazione della piena responsabilita’ dei medici nella morte della paziente e con la condanna degli stessi in solido a corrisponderle un cospicuo risarcimento del danno (444.000,00 Euro) sulla base delle tabelle milanesi.
I motivi sono complessivamente inammissibili, in quanto da un lato nessuna contraddittorieta’ di giudicati esiste, essendo i giudizi distinti e composti da parti non coincidenti, ed inoltre le diverse conclusioni cui giungono i giudici di merito nella quantificazione del danno sono supportate da diverse ricostruzioni in merito alla rilevanza causale da attribuire alla negligenza dei sanitari coinvolti, a seguito di una valutazione in fatto che deve rimanere esterna rispetto al giudizio di cassazione.
La corte d’appello afferma correttamente che il danno liquidato nel diverso giudizio e’ differente, in quanto nella causa tra la madre, sig. (OMISSIS), e i medici e’ stato riconosciuto ai medici un apporto causale nella stessa morte prematura della signora (OMISSIS), ed e’ stato liquidato il danno da morte, mentre nel caso in esame e’ stato riconosciuto e liquidato solo il danno da perdita di chances, quindi, pur dipartendosi dall’esame dello stesso fatto, si tratta di una liquidazione del danno che si fonda su presupposti diversi e che necessariamente ha spazi di risarcibilita’ diversi.
Con il decimo motivo, in particolare, i ricorrenti criticano la sentenza impugnata laddove ha negato loro il riconoscimento del danno patrimoniale, e limitano la loro critica ad evidenziare la eccessiva stringatezza della motivazione sul punto, adottata a loro avviso senza alcuna giustificazione e senza neppure un cenno in dispositivo al rigetto di questa domanda.
In effetti, la motivazione sul punto e’ sintetica ma tutt’altro che apodittica, mentre la censura dei ricorrenti e’ formulata in modo eccessivamente generico. I ricorrenti non segnalano con la dovuta precisione se la corte abbia omesso di considerare circostanze rilevanti e da loro allegate ai fatti di causa (precisando in quale punto dei numerosi atti di causa l’allegazione sia contenuta), quali l’essere ancora conviventi o meno con la madre al momento del fatto, l’essere stati al momento dei fatti percettori di una parte del reddito della madre, l’essere stati o meno autosufficienti economicamente al momento della sua morte. Si limitano ad asserire che, poiche’ la Signora (OMISSIS) avrebbe continuato a guadagnare il suo stipendio e a percepire gli emolumenti che traeva dai molti altri incarichi che ricopriva prima dell’operazione, e, dopo il collocamento a riposo, oltre al trattamento di quiescenza, avrebbe continuato a percepire i compensi per l’attivita’ svolta come giudice tributario e per varie consulenze, avrebbe avuto delle cospicue entrate la cui perdita rappresenta per loro un danno patrimoniale.
Per contro la sentenza impugnata, a pag. 38, valuta queste stesse circostanze giungendo a conclusioni opposte, a seguito di una valutazione in fatto accurata quanto non rinnovabile in questa sede: in particolare, la sentenza reputa piu’ probabile che non che la (OMISSIS), se avesse appreso gia’ nel luglio 1994 di essere affetta da AIDS, non avrebbe svolto tutti gli incarichi aggiuntivi che fino a quel momento aveva sostenuto, ne’ presumibilmente avrebbe continuato a svolgere la stessa attivita’ lavorativa con l’intensita’ di prima, proprio per dedicarsi alle cure, invasive e debilitanti, di una malattia comunque in uno stadio avanzato.
2. I controricorsi.
Tutti gli intimati si sono costituiti e tutti hanno depositato controricorso, evidenziando, al di la’ delle distinte posizioni, l’inammissibilita’ del ricorso principale perche’ volto ad ottenere una diversa valutazione delle risultanze istruttorie.
In particolare, il controricorso congiunto (OMISSIS) e (OMISSIS) evidenzia anch’esso l’inammissibilita’ delle censure dei ricorrenti principali e, quanto alla posizione della E. H., la domanda nei cui confronti era stata rigettata dalla corte d’appello, aggiunge che le prescrizioni della L. n. 107 del 1990 e del Decreto Ministeriale 15 gennaio 1991 concernono le trasfusioni, e non le autotrasfusioni, in cui la possibilita’ del contagio di per se’ e’ esclusa, e quindi che in nessuna violazione e’ incorsa la predetta clinica in quanto, mentre la pratica della raccolta del sangue per le trasfusioni e’ soggetta a particolari controlli e puo’ essere legittimamente effettuata solo nei centri autorizzati, il prelievo per autotrasfusione puo’ essere eseguito all’interno di qualsiasi struttura, anche se non e’ un centro autorizzato per la raccolta del sangue.
3. Il ricorso incidentale di (OMISSIS).
Nel proprio controricorso, contenente anche ricorso incidentale, il dottor (OMISSIS) preliminarmente eccepisce l’inammissibilita’ del ricorso avversario, quindi evidenzia che i ricorrenti hanno ridotto il quantum della loro domanda, e che la sentenza di appello e’ passata in giudicato per l’eccedenza. Argomenta nel senso che la domanda volta al risarcimento dei danni da morte e’ stata abbandonata dai ricorrenti, che si sono limitati a chiedere un maggior risarcimento commisurato ad una maggior possibile sopravvivenza della (OMISSIS).
3.a. Con il primo motivo del ricorso incidentale, il (OMISSIS) lamenta la violazione e o falsa applicazione degli articoli 40 e 41 c.p. e degli articoli 2043 e 1176 c.c..
Sostiene che:
– giacche’ la signora (OMISSIS) non rientrava in nessuna delle categorie a rischio, anche a fronte di valori alterati come emergenti dagli esami del sangue precedenti all’operazione, non era esigibile dai medici che pensassero ad eseguire i controlli con i marker dell’HIV, ne’ essi erano in alcun modo a cio’ tenuti, perche’ non erano presenti elementi della fattispecie concreta che li spingessero a tanto. A cio’ aggiunge che i valori alterati risultanti dalle analisi preoperatorie erano compatibili con le affezioni di cui pativa la signora e con la necessita’ di prendere, prima dell’intervento programmato, elevate dosi di antidolorifici e antinfiammatori.
Il motivo, che si limita a chiedere una riconsiderazione in fatto delle risultanze istruttorie, che rilegge in una diversa chiave interpretativa, e’ inammissibile.
3.b. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, il (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. nonche’ dell’articolo 2955 c.c., commi 2 e 3. Critica il punto della sentenza impugnata in cui il giudice d’appello ha accolto l’eccezione di prescrizione della garanzia assicurativa, sollevata dalla compagnia (OMISSIS) s.p.a., e sostiene che il giudice d’appello non avrebbe potuto occuparsene in quanto la questione era ormai coperta da giudicato.
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