La detenzione domiciliare per madre di fanciullo infradecenne è, a differenza delle altre, misura umanitaria e assistenziale e che la stessa può essere negata, in presenza dei presupposti oggettivi per la sua applicazione, solo in situazione in cui risulti una condizione soggettiva di reale pericolo (attuale e basato su fatti concreti) di recidiva specifica.
Sentenza 6 febbraio 2018, n. 5500
Data udienza 5 luglio 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SANDRINI Enrico Giusepp – Presidente
Dott. SARACENO Rosa Anna – rel. Consigliere
Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Consigliere
Dott. CAIRO Antonio – Consigliere
Dott. BARONE Luigi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 1280/2015 TRIB. SORVEGLIANZA di SALERNO, del 30/03/2016;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA ANNA SARACENO;
Lette le conclusioni del P.G., dott. Marilia Di Nardo, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe indicata il Tribunale di sorveglianza di Salerno respingeva le richieste formulate da (OMISSIS) di affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, di detenzione domiciliare ai sensi dell’articolo 47 ter, comma 1, lettera a), ord. pen., quale madre di prole di eta’ inferiore ad anni dieci.
Il Tribunale argomentava il rigetto dalla personalita’ della condannata, gravata da precedenti penali, destinataria di avviso orale, rilevando che la stessa aveva continuato a delinquere anche dopo aver fruito in passato delle misure alternative dell’affidamento in prova e della detenzione domiciliare e, che, da ultimo, in data 5.2.2015 era stata denunziata per aver partecipato ad una rissa.
2. Avverso tale ordinanza la (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, denunciando violazione di legge in relazione all’articolo 47 ter, comma 1, lettera a), ord. pen. e difetto di motivazione.
Si duole che il Tribunale abbia rigettato l’istanza sulla base di un’erronea interpretazione delle norme disciplinanti la detenzione domiciliare, limitando il proprio vaglio alla sola pericolosita’ dell’istante, ma di fatto ignorando la documentata condizione personale e familiare della (OMISSIS), madre di nove figli, di cui gli ultimi due minori di anni dieci, uno dei quali con problemi di salute. Si evidenzia, altresi’, che nella formulazione della prognosi di pericolosita’ non era stata considerata l’epoca dell’ultimo reato, risalente all’anno 2012, ne’ era stata apprezzata l’assenza di condanne e carichi pendenti per il reato di evasione tali da giustificare un giudizio di inadeguatezza della misura al contenimento e alla prevenzione del rischio di recidiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ fondato.
1. La detenzione domiciliare di cui all’articolo 47 ter, comma 1, lettera a) ord. pen. e’ istituto teso alla tutela di interessi costituzionalmente garantiti, quali la protezione della maternita’, dell’infanzia e del rapporto tra figlio-genitore in una fase delicata dello sviluppo psico-fisico del minore. Molteplici sono stati nel corso degli anni gli interventi in materia della Corte costituzionale che ha ribadito la preminenza della tutela del minore e della salvaguardia dei rapporti familiari sull’interesse dello Stato all’esecuzione in forma carceraria della sanzione penale (da Corte cost. n. 215 del 1990 che ha eliminato la preclusione per il figlio di ricevere assistenza dal padre detenuto quando la madre si trovi nell’assoluta impossibilita’ di provvedervi, sino a Corte cost. n. 239 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 4 bis, comma 1, ord. pen. nella parte in cui esclude dal divieto di concessione dei benefici l’articolo 47 ter, comma 1, lettera a), ord. pen.). Il diniego del beneficio fondato sulla pericolosita’ sociale e’ senza dubbio consentito nella misura in cui, nella tutela degli interessi cui mira tale istituto, deve comunque essere rispettata la condizione della sussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori reati; va, dunque, operato un bilanciamento tra il diritto all’affettivita’ del minore e le istanze di difesa sociale e spetta al giudice il compito di contemperare le opposte esigenze.
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