Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|7 settembre 2021| n. 24124.
Contumace e gravame dopo la scadenza del termine di impugnazione.
In tema di impugnazioni, il contumace può interporre gravame avverso la sentenza che lo abbia visto soccombente, dopo la scadenza del termine di impugnazione, a condizione che egli dia la prova sia della nullità della citazione o della relativa notificazione (nonché della notificazione degli atti di cui all’articolo 292 cod. proc. civ.) sia della non conoscenza del processo a causa di detta nullità. Il medesimo contumace ha, quindi, l’onere di dimostrare l’esistenza di circostanze di fatto positive dalle quali si possa desumere il difetto di anteriore conoscenza o la presa di conoscenza del processo in una certa data e tale prova può essere fornita anche mediante presunzioni (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso non avendo parte ricorrente dimostrato che, nella circostanza, sussisteva la situazione disciplinata dall’articolo 327, comma 2, cod. proc. civ.; infatti, fronte della testuale affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui parte ricorrente “… benché ritualmente citata, non si è costituita in giudizio…”, la stessa si era limitata a riportare, in via di mera sintesi, il contenuto di alcuni verbali di udienza, non idonei tuttavia a sorreggere le censure ed a soddisfare l’onere predetto, e rispetto ai quali, parte controricorrente, indicando una serie di atti, aveva invece dimostrato l’esatto contrario di quanto dedotto in ricorso). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile II, sentenza 3 gennaio 2019, n. 8; Cassazione, sezione civile III, sentenza 16 gennaio 2007, n. 833; Cassazione, sezione civile I, sentenza 7 gennaio 1999, n. 31; Cassazione, sezione civile I, sentenza 23 dicembre 1997, n. 13012; Cassazione, sezione civile III, sentenza 2 maggio 1994, n. 4222).
Ordinanza|7 settembre 2021| n. 24124. Contumace e gravame dopo la scadenza del termine di impugnazione
Data udienza 24 marzo 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Lavoro – Riposo compensativo – Mancato godimento – Risarcimento del danno – Art. 327, comma 2, c.p.c. – Appello della parte contumace – Mancata conoscenza del processo – Nullità degli atti – Onere della prova – Presupposti di natura oggettiva e soggettiva
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22891-2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE DI (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1940/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.
RILEVATO
che:
la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, con sentenza n. 1940 del 2015, pubblicata il 9.7.2015, respingeva la domanda di (OMISSIS) di risarcimento del danno per mancato godimento del riposo compensativo in relazione al servizio di pronta disponibilita’ cd. passiva;
con ricorso notificato il 20.7.2019, (OMISSIS) ha chiesto la cassazione della decisione di appello, con due motivi;
L’ASL di (OMISSIS) ha opposto difese, con controricorso;
la proposta del relatore e’ stata ritualmente comunicata, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, parte ricorrente deduce la nullita’ della sentenza e del procedimento. Assume che l’atto di appello non le sarebbe stato notificato e tanto meno la sentenza della Corte territoriale; deduce di aver avuto conoscenza di quest’ultima solo a seguito della notifica di un decreto ingiuntivo;
con il secondo motivo – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – deduce la violazione dell’articolo 348 c.p.c., per non avere il Giudice di appello dichiarato l’improcedibilita’ del gravame, stante l’assenza di prova della notifica dell’atto di appello;
i motivi vanno congiuntamente esaminati per stretta connessione;
parte ricorrente assume – ma non dimostra – che sussiste la situazione disciplinata dall’articolo 327 c.p.c., comma 2;
soccorre il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui il contumace puo’ interporre gravame avverso la sentenza che lo abbia visto soccombente, dopo la scadenza del termine di impugnazione, a condizione che egli dia la prova sia della nullita’ della citazione o della relativa notificazione (nonche’ della notificazione degli atti di cui all’articolo 292 c.p.c.) sia della non conoscenza del processo a causa di detta nullita’. Il medesimo contumace ha, quindi, l’onere di dimostrare l’esistenza di circostanze di fatto positive dalle quali si possa desumere il difetto di anteriore conoscenza o la presa di conoscenza del processo in una certa data e tale prova puo’ essere fornita anche mediante presunzioni (Cass. n. 8 del 2019; Cass. n. 833 del 2007; Cass. n. 2134 del 2002; Cass. n. 31 del 1999; Cass. n. 13012 del 1997; Cass. n. 4222 del 1994);
in altri termini, la decadenza dell’impugnazione, per il decorso del termine, non si verifica solo qualora il contumace riesca a dimostrare la sussistenza di due concomitanti presupposti: uno, di carattere oggettivo, rappresentato dalla nullita’ degli atti; l’altro, di natura soggettiva, relativo alla mancata conoscenza del processo;
nel caso in esame, a fronte della testuale affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui ” (OMISSIS), benche’ ritualmente citata, non si e’ costituita in giudizio”, parte ricorrente si e’ limitata a riportare, in via di mera sintesi, il contenuto di alcuni verbali di udienza, non idonei a sorreggere le censure e a soddisfare l’onere indicato; dal canto suo, parte controricorrente indica una serie di atti (v. pag. 5 controricorso) a dimostrazione dell’esatto contrario di quanto dedotto in ricorso;
il ricorso va, quindi, rigettato;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, che si liquidano in Euro 2.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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