Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 3 gennaio 2019, n. 119.
La massime estrapolata:
Ai fini della contestazione della circostanza aggravante della premeditazione, non e’ indispensabile una formula specifica espressa con una particolare enunciazione letterale, ne’ l’indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, l’imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto che lo integrano.
Non viola il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che opera una diversa qualificazione giuridica di una circostanza aggravante gia’ ritenuta fattualmente sussistente dal giudice di primo grado
Sentenza 3 gennaio 2019, n. 119
Data udienza 11 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente
Dott. MONTAGNI Andrea – rel. Consigliere
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere
Dott. PICARDI Francesca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/02/2018 della CORTE APPELLO di TRIESTE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA MONTAGNI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MIGNOLO Olga, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Per (OMISSIS) e’ presente l’avv. (OMISSIS) del foro di Rimini che chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS), a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste indicata in epigrafe con la quale e’ stata confermata la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Pordenone il 10.10.2016, in riferimento al reato di furto ex articolo 624 c.p., articolo 625 c.p. n. 2, articolo 61 c.p., n. 5.
Il ricorso e’ affidato a quattro motivi.
Con il primo motivo la parte deduce l’insussistenza della circostanza aggravante, ex articolo 625 c.p., n. 2, della violenza sulle cose. A sostegno dell’assunto il ricorrente si sofferma sul compendio probatorio e ritiene plausibile che i soggetti agenti avessero avuto una copia delle chiavi del mezzo, di talche’ non risultava necessario effettuare la forzatura della portiera dell’autobus.
Con il secondo motivo il deducente contesta la sussistenza della circostanza aggravante della esposizione alla pubblica fede, ai sensi dell’articolo 625 c.p., n. 7. Osserva che il mezzo al momento del furto si trovava in un parcheggio privato, recintato e verosimilmente delimitato da una barriera o da un cancello.
Sotto altro aspetto, il ricorrente sottolinea che la Corte di Appello ha rigettato l’appello incidentale del Procuratore Generale e, non di meno, ha ritenuta la sussistenza della circostanza aggravante della esposizione alla pubblica fede, in quanto contestata in punto di fatto. Considera, inoltre, che il sistema di chiusura installato sull’autobus integrava un grave ostacolo all’azione furtiva.
Con il terzo motivo l’esponente rileva che la Corte territoriale e’ incorsa nella violazione del divieto di reformatio in peius. Al riguardo, la parte osserva: che l’appello incidentale del PG concerneva unicamente il trattamento sanzionatorio; che detto appello e’ stato rigettato; che erroneamente la Corte distrettuale ha ritenuto che la circostanza aggravante della esposizione alla pubblica fede fosse stata contestata in via di fatto; e che il Collegio, pure mantenendo ferma la pena irrogata dal primo giudice, ha parzialmente riformato la sentenza impugnata, riconoscendo a carico dall’imputato la circostanza aggravante di cui all’articolo 625 c.p., n. 7.
Con il quarto motivo la parte contesta l’affermazione di responsabilita’ di (OMISSIS), osservando che i giudici di merito hanno valorizzato meri elementi circostanziali. Sotto altro aspetto, si duole del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’impugnazione in esame impone le considerazioni che seguono.
2. I motivi inerenti all’affermazione di responsabilita’ sono inammissibili.
L’esponente, invero, omette di confrontarsi con il percorso motivazionale posto a fondamento della sentenza ricorsa, giacche’ si limita a riportare meri frammenti del ragionamento probatorio, assumendone l’incompletezza. In realta’, la Corte di Appello, nel confermare la valutazione del primo giudice, ha chiarito che la compartecipazione di (OMISSIS) a furto dell’autobus risultava dimostrata oltre che dalla fisica presenza dell’imputato nel momento e nel luogo del furto, dalla circostanza di avere assunto il ruolo di staffetta. Il Collegio ha infatti sottolineato che (OMISSIS), postosi alla guida della propria auto, teneva costanti contatti telefonici con i correi che lo seguivano a bordo del mezzo pesante, nelle fasi della fuga.
3. Il motivo con il quale viene contestata la sussistenza della circostanza aggravante della violenza sulle cose e’ manifestamente infondato.
La Corte di Appello, sviluppando un percorso argomentativo immune da aporie di ordine logico e saldamente ancorato all’acquisito compendio probatorio, ha insindacabilmente osservato che la circostanza aggravante della violenza sulle cose risultava sussistente sia in ragione della forzatura della portiera dell’autobus, sia per l’intervenuta manomissione del blocchetto di accensione del medesimo mezzo, atteso che i malviventi avevano avviato il motore, senza l’utilizzo delle chiavi in dotazione.
4. i motivi che involgono la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della esposizione alla pubblica fede non hanno pregio.
La Corte regolatrice ha affermato che sussiste la violazione irrimediabile del diritto di difesa nel caso in cui sia ritenuta in sentenza l’ipotesi aggravata del reato di falso in atto pubblico, ex articolo 476 c.p., comma 2, non adeguatamente e correttamente esplicitata nella contestazione, considerato che, anche alla luce dei vincoli posti dalla giurisprudenza della Corte EDU (sent. Drassich c. Italia, 11 dicembre 2007), e’ diritto dell’imputato essere informato tempestivamente e dettagliatamente tanto dei fatti materiali posti a suo carico, quanto della qualificazione giuridica ad essi attribuiti. Al riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che, pur non essendo indispensabile, ai fini della corretta contestazione, l’indicazione specifica della norma relativa all’aggravante, e’ comunque necessario l’uso di formule linguistiche chiaramente evocative della peculiare efficacia fidefaciente dell’atto ritenuto falso (Sez. 5, Sentenza n. 30435 del 18/04/2018, Rv. 273807).
Nell’alveo del richiamato insegnamento, si e’ pure considerato che ai fini della contestazione della circostanza aggravante della premeditazione, non e’ indispensabile una formula specifica espressa con una particolare enunciazione letterale, ne’ l’indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, l’imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto che lo integrano (Sez. 1, Sentenza n. 51260 del 08/02/2017, Rv. 271261).
Si e’ anche osservato che non viola il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che opera una diversa qualificazione giuridica di una circostanza aggravante gia’ ritenuta fattualmente sussistente dal giudice di primo grado (Sez. 5, n. 12612 del 09/12/2015, dep. 25/03/2016, Cesari, Rv. 26604401; nel caso citato, la Corte di appello aveva riqualificato quale furto con destrezza, ai sensi dell’articolo 625 c.p., comma 4, la condotta dell’imputato che aveva approfittato di un momentaneo allontanamento della persona offesa, condotta che il giudice di primo grado aveva ritenuto integrare l’aggravante del mezzo fraudolento, ai sensi dell’articolo 625 c.p., comma 2).
Giova altresi’ ricordare che le Sezioni Unite hanno affermato che l’attribuzione all’esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’articolo 521 c.p.p., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell’articolo 111 Cost., comma 2, e dell’articolo 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte Europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novita’ che da quel mutamento scaturiscono. Nell’affermare il principio indicato, il Supremo Consesso ha escluso la violazione dell’articolo 521 c.p.p., in una fattispecie in cui l’imputato era stato condannato in primo grado per il reato di concussione e in appello per quello di corruzione (Sez. U, Sentenza n. 31617 del 26/06/2015, Rv. 264438).
Nel caso di specie l’appello incidentale della parte pubblica attingeva unicamente la quantificazione della pena; e detto appello e’ stato rigettato dalla Corte territoriale.
Cio’ posto, deve osservarsi che la formulazione del capo d’imputazione contiene specifiche espressioni che, in punto di fatto, sono indicative della intervenuta contestazione della circostanza aggravante della esposizione alla pubblica fede. Invero, oltre alle aggravanti contestate anche mediante il riferimento alle relative disposizioni di legge – le circostanze aggravanti della violenza sulle cose ex articolo 625 c.p., n. 2, (ritenuta dai giudici di primo e di secondo grado) e della minorata difesa ai sensi dell’articolo 61 c.p., n. 5, che la Corte territoriale ha escluso – nel capo di imputazione viene specificato che l’Autobus oggetto del furto si trovava parcheggiato nel “piazzale sterrato della (OMISSIS)”.
Tanto chiarito, deve allora rilevarsi che del tutto legittimamente la Corte di Appello, dopo aver escluso la sussistenza della aggravante della minorata difesa, senza modificare l’entita’ della pena irrogata, ha ritenuto integrata la diversa circostanza aggravante della esposizione alla pubblica fede. Si tratta di un elemento circostanziale che risulta chiaramente contestato nel capo di imputazione, mediante lo specifico riferimento al contesto fattuale nel quale l’azione furtiva venne perpetrata; di talche’ deve escludersi sia la carenza di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, sia la violazione del divieto di reformatio in peius, ex articolo 597 c.p.p., comma 3. La Suprema Corte ha infatti anche da ultimo rilevato che il giudice di appello, pure in presenza della sola impugnazione dell’imputato, puo’ procedere ad una nuova e piu’ grave qualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall’articolo 6 CEDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e rimanga ferma la pena irrogata (Sez. 2, n. 39961 del 19/07/2018 – dep. 05/09/2018, Tuccillo, Rv. 27392201).
Si osserva, infine, che i rilievi del ricorrente, circa la pretesa insussistenza in punto di fatto degli elementi circostanziali che integrano l’aggravante della esposizione alla pubblica fede, risultano inammissibili, risolvendosi nella pretesa di una considerazione alternativa del quadro probatorio, in sede di legittimita’.
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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