Il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno.
Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 24 aprile 2017, n. 1907
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4835 del 2012, proposto da:
CE. IM. SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Fo. e An. Ma. Si., con domicilio eletto presso l’avvocato Sa. in Roma, via (…);
contro
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI – DIREZIONE REGIONALE PER I BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI DELL’UMBRIA – SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PAESAGGISTICI DELL’UMBRIA-PERUGIA, in persona del ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliato in Roma, via (…);
nei confronti di
COMUNE DI (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fu. Ru., con domicilio eletto presso l’avvocato Ma. Ca. in Roma, viale (…);
per la riforma:
della sentenza del T.A.R. UMBRIA – PERUGIA – SEZ. I n. 388/2011;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali e del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2017 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti l’avvocato Ru. e l’avvocato dello Stato Ro.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con il ricorso proposto in primo grado, il CE. IM. SPA ha impugnato i pareri parzialmente negativi di compatibilità paesaggistica adottati (in data 23 settembre 2010) dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Umbria-Perugia, nell’ambito del procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica per lavori eseguiti in difformità dai titoli edilizi, finalizzati alla realizzazione di quattro edifici per civile abitazione plurifamiliare e negozi, in (omissis), viale (omissis), zona dichiarata di notevole interesse paesaggistico ai sensi della legge n. 1497 del 1939. La società ricorrente, premesso che i suddetti pareri negativi si riferiscono esclusivamente alle opere realizzate a livello della copertura degli edifici, deduceva: – che, contrariamente a quanto ritenuto dall’amministrazione, gli interventi edilizi, consistiti nella creazione di meri volumi tecnici, non erano preclusi dall’art. 167, comma 4, lettera a), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, oltre ad essere consentiti dalla circolare del Ministero per i beni e le Attività Culturali n. 33 del 26 giugno 2009; – che i provvedimenti gravati non avevano adeguatamente ponderato l’interesse pubblico con quello privato alla sanatoria, in quanto l’intervento edilizio in questione non avrebbe compromesso il paesaggio “anche nella proiezione più significativa della veduta del Ca. de. Ca. di Ma. e della To. de. La.”.
2.- Il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, con la sentenza n. 388 del 2011, ha respinto la domanda di annullamento unitamente all’annessa istanza risarcitoria, sulla base dei seguenti argomenti.
La nozione di “volume” ed, ancora di più, quella di “superficie utile” non appartengono alla tutela paesaggistica, che fa perno, piuttosto, sulla “percettibilità visiva”. Si impone, dunque, un’interpretazione restrittiva dell’art. 167, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 42 del 2004, il cui fondamento di razionalità è quello di consentire, in deroga al divieto generale, l’autorizzazione paesaggistica ex post solamente per i c.d. “abusi minori”, tra i quali non può essere contemplata alcuna opera comportante un aumento di volumetria. Quanto all’asserito contrasto con la circolare n. 33 in data 26 giugno 2009 del Segretario Generale del Mi.B.A.C., si afferma che detto atto è espressione di un potere di mero indirizzo, ma non certo normativo (si tratta di atto interno, privo di efficacia precettiva autonoma) o di ordine, per cui va applicata nei limiti in cui sia conforme alla legge od al regolamento.
Sotto altro profilo, i gravati pareri negativi di compatibilità paesaggistica sono sufficientemente motivati nella considerazione che le opere realizzate a livello della copertura “modificano la percezione del complesso naturale paesaggistico tutelato ed è evidente l’alterazione delle masse che costituiscono l’immobile, causate dalla realizzazione di nuovi volumi e sopraelevazione dei timpani”.
3.- Ce. Im. SPA ha proposto appello avverso la predetta sentenza, chiedendo, in riforma della stessa, l’accoglimento del ricorso di primo grado, e per l’effetto, che venga disposto l’annullamento dei pareri negativi di compatibilità paesaggistica con conseguente condanna dell’Amministrazione appellata al risarcimento dei danni quantificati in € 3.500.000,00.
Il gravame è affidato alle seguenti censure.
Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, le opere edilizie realizzate dall’odierna appellante non rientrerebbero tra quelle insuscettibili di sanatoria. Il lievissimo incremento di altezza rientrerebbe nei parametri normativi anche paesaggistici di cui agli artt. 4 e 5 delle N.T.A. del Piano Particolareggiato Esecutivo del Comune di (omissis). Le opere, infatti, sarebbero consistite in lievi modifiche delle bucature esterne degli edifici ed in modesta sopraelevazione dell’elemento “timpano” di finiture dei tetti posti al di sopra del corpo terrazze di ciascun lato degli edifici. Il vero scopo dell’art. 167, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 42 del 2004, sarebbe quello di non consentire la sanatoria per i veri volumi computabili in edilizia, mentre non potrebbe considerarsi volume la soffitta praticabile realizzata concretamente dall’odierna appellante che la disciplina urbanistico-edilizia definisce volume tecnico e non computa ai fini dell’altezza. I sottotetti realizzati sarebbero opere edili completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate esclusivamente a contenere impianti serventi della costruzione principale.
Quanto al capo della sentenza appellata che ha ritenuto priva di rilievo la circolare del MiBAC, si replica che, ancorché si tratti di atto che esplica effetti solo all’interno dell’Amministrazione da cui promana, gli organi destinatari della circolare potrebbero disattenderne il contenuto solo motivandone le ragioni.
Gli immobili realizzati dalla società appellante ? situati in una area classificata dal vigente PRG parte strutturale “Tessuto esistente di formazione prevalentemente residenziale e a servizi” – zona (omissis) prevalentemente residenziale di espansione”? non avrebbero procurato alcun danno estetico al paesaggio. Difatti, l’altezza ed i volumi degli edifici non altererebbero il rapporto volumetrico con le altre costruzioni esistenti nell’immediato intorno, inserendosi in modo idoneo nel contesto panoramico- ambientale.
Lamenta, da ultimo, di essere venuta a conoscenza del fatto che la Società Si. Co., che ha realizzato altri fabbricati confinanti con quelli della odierna appellante all’interno della lottizzazione (omissis), avrebbe ottenuto l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria nonché l’agibilità dei sottotetti da parte del Comune di (omissis).
4.? Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), chiedendo, in parziale adesione alle richieste della Ce. Im. SPA, la riforma della sentenza appellata. Chiede invece che l’appello sia respinto con riguardo alla richiesta risarcitoria.
5.? All’udienza del 16 febbraio 2017, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1.? L’intervento edilizio per cui è causa consiste nella “sopraelevazione delle quote assolute dei colmi delle rispettive coperture di ml. 1,40 e del timpano”. La Soprintendenza ha espresso “parere negativo di compatibilità paesaggistica per le opere realizzate a livello della copertura per il punto 4 [piano sottotetto], in quanto modificano la percezione del complesso naturale paesaggistico tutelato ed è evidente l’alterazione delle masse che costituiscono l’immobile, causate dalla realizzazione dei nuovi volumi e sopraelevazione dei timpani”. I sottotetti realizzati ? secondo quanto affermato dall’appellante, senza specifica contestazione di controparte? presentano una stretta connessione con la funzionalità degli impianti tecnici indispensabili (installazione di impianti di energia rinnovabile, pannelli solari) per assicurare la fruizione degli edifici
2.- La tesi sostenuta con il primo ordine di motivi – secondo cui l’intervento oggetto di accertamento di compatibilità paesistica, in quanto costituisce un volume tecnico sarebbe indifferente (non solo ai fini urbanistico-edilizi, ma anche) ai fini dell’autorizzazione paesaggistica ? è priva di fondamento.
2.1.- L’art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), recante la disciplina delle sanzioni amministrative previste per la violazione delle prescrizioni poste a tutela dei beni paesaggistici, contiene (nella sua attuale formulazione) la regola della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali. Il trasgressore, infatti, è “sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese”, “fatto salvo quanto previsto al comma 4”.
L’intenzione legislativa è chiara nel senso di precludere qualsiasi forma di legittimazione del “fatto compiuto”, in quanto l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell’intervento. Il rigore del precetto è ridimensionato soltanto da poche eccezioni tassative, tutte relative ad interventi privi di impatto sull’assetto del bene vincolato. Segnatamente, sono suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica: gli interventi realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; l’impiego di materiali diversi da quelli prescritti dall’autorizzazione paesaggistica; i lavori configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi della disciplina edilizia (art. 167, comma 4). L’accertamento di compatibilità, peraltro, è subordinato al positivo riscontro della Soprintendenza e al pagamento di una somma equivalente al minore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione.
2.2.? Secondo un orientamento dei Tribunali amministrativi regionali, al divieto di autorizzazione postuma farebbe eccezione l’ipotesi del “volume tecnico”, con tale espressione intendendosi il locale privo di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinato a contenere impianti serventi di un edificio principale per esigenze tecnico-funzionali dello stesso (ex plurimis: T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 16 febbraio 2009, n. 1309; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 03 novembre 2009, n. 6827).
2.3.- Sennonché, il Collegio ritiene di dover confermare l’orientamento più volte espresso dalla Sezione (sentenze n. 3579 e n. 5066 del 2012; n. 4079 del 2013; n. 3289 del 2015), secondo cui il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno.
Sul piano del metodo, va preliminarmente rimarcato che ciascun costrutto normativo deve essere osservato con la “lente” del suo specifico contesto disciplinare. Le qualificazioni giuridiche rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio non sono automaticamente trasferibili quando si tratti di qualificare le opere sotto il profilo paesaggistico. La regola che in materia urbanistica porta ad escludere i “volumi tecnici” dal calcolo della volumetria edificabile, trova fondamento nel bilanciamento rinvenuto tra i vari e confliggenti interessi connessi all’uso del territorio. Non può pertanto essere invocata al fine di ampliare le eccezioni al divieto di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, il quale tutela l’interesse alla percezione visiva dei volumi, del tutto a prescindere dalla loro destinazione d’uso.
La conclusione, del resto, è avvalorata dalla stessa lettera della norma in discorso che, nel consentire l’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, si riferisce esclusivamente ai “lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”. Non è consentito all’interprete ampliare la portata di tale norma, che costituisce eccezione al principio generale delle necessità del previo assenso, per ammettere fattispecie letteralmente, e senza distinzione alcune, escluse.
L’interpretazione qui propugnata è altresì quella più coerente con la volontà legislativa di adottare meccanismi decisionali idonei ad ancorare, per quanto possibile, le scelte relative agli interventi sul territorio a parametri di tollerabilità predeterminati ed oggettivi.
L’orientamento che ha ricondotto l’inciso “superfici utili o di volumi” ad un concetto unitario, per cui anche i volumi e non solo le superfici, soggiacciono al divieto di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria solo se sono utili, di talché quelli non utili, ossia i volumi tecnici, sfuggono dal divieto de quo ? oltre ad essere contraria alla lettera della legge e alla sua ratio ? non regge neppure alla prova logica. Non è affatto irragionevole,infatti, discriminare tra una superficie ed un volume ? e ritenere esclusa dal divieto dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria una superficie non utile, ed invece assoggettare al divieto in questione ogni volume, quantunque non utile ? in quanto si tratta di spazi fisici di natura del tutto diversa. È lo stesso senso comune a suggerire che un “volume tecnico” (impianti termici, idrici, l’ascensore), in dipendenza delle sue dimensioni e della sua collocazione, ben può pregiudicare il paesaggio tutelato dalla disciplina vincolistica.
2.4.? Su queste basi, è del tutto incongruente l’argomento per cui la disciplina edilizia (N.T.A. del P.P.E.) consentirebbe, nel comparto in esame (omissis), la realizzazione del volume tecnico necessario alla copertura degli immobili (ivi previsti come “muricci o sottotetto praticabile”).
2.5. Sotto altro profilo, l’asserita contrasto con la circolare n. 33 del 29 giugno 2009 del MiBAC (secondo cui per “volumi si intende qualsiasi manufatto costituito da parti chiuse emergente dal terreno o della sagoma di un fabbricato preesistente indipendentemente dalla destinazione d’uso del manufatto, ad esclusione dei volumi tecnici”) ? in ragione della natura non precettiva di tale atto ? non può certo determinare l’annullamento di un parere della Soprintendenza del tutto conforme ai contenuti vincolati della legge.
2.6.? Quanto al fatto che la Società Si. Co., in relazione ad altri fabbricati confinanti con quelli della odierna appellante all’interno della medesima lottizzazione, avrebbe ottenuto l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria nonché l’agibilità dei sottotetti da parte del Comune di (omissis), è dirimente osservare che si tratta di un profilo di censura (eccesso di potere per discriminatorietà) che, oltre ad essere estremamente generico, è stato sollevato per la prima volta in grado di appello, con conseguente sua inammissibilità.
3.- Con il secondo ordine di censure, l’appellante afferma che i pareri paesaggistici negativi della Soprintendenza non sono adeguatamente motivati e in particolare sono caratterizzati da irragionevolezza e contraddittorietà.
3.1.? Va premesso che il parere della Soprintendenza, prescritto, dall’art. 167 comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, attesa la sua vincolatività, assume carattere sostanzialmente decisorio. Il parere negativo della Soprintendenza deve essere supportato dalla circostanziata dimostrazione della valutazione dei relativi elementi fattuali a sostegno, per cui la sanatoria dell’opera vincolata comprometterebbe irrimediabilmente, e in rilevante misura, gli interessi che il vincolo mira a tutelare, dovendo essere esplicitato per quale ragione, materiale e specifica, le opere per le quali si sta chiedendo la sanatoria siano incompatibili con il vincolo. Trattandosi di valutazioni che sono espressione di discrezionalità tecnica, soggetta comunque al sindacato del giudice amministrativo, seppur nei ristretti limiti del difetto di motivazione, illogicità manifesta ed errore di fatto.
3.2.? In applicazione dei principi sopra enucleati, il Collegio osserva che l’impugnato parere rileva che l’esplicitazione delle circostanze di fatto e delle ragioni giuridiche poste a fondamento della determinazione negativa. Inoltre, trattandosi di opere che risultavano diverse da quelle sanabili ai sensi dell’art. 167, comma 4, lettera a) ? in quanto, come si è visto, le opere realizzate avevano determinato la creazione di nuovi volumi, sia pure tecnici ? l’autorità preposta alla gestione del vincolo non poteva che emanare “un atto a contenuto vincolato”, esprimendosi nel senso della reiezione dell’istanza di sanatoria. Ciò induce a ritenere di per sé sufficiente, ai fini dell’obbligo di motivazione, la descrizione sintetica del vincolo e le ragioni ostative previste dalla legge.
4.- Per le ragioni che precedono, l’appello risulta infondato e va respinto, unitamente alla domanda risarcitoria (promossa per il presunto danno subito a causa del mancato accoglimento dell’istanza di sanatoria, in conseguenza dei pareri paesaggistici negativi emessi dalla Soprintendenza).
4.1.- Le spese di lite del presente grado seguono la soccombenza nei rapporti tra l’appellante e il MiBACT. Sussistono invece giusti motivi per compensare le spese di lite nei rapporti tra il MiBACT e il Comune di (omissis), atteso che quest’ultimo (pur essendosi costituita per sostenere le ragioni dell’appellante) non ha adottato alcun atto viziato da illegittimità, essendosi conformata al parere della Soprintendenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite (del presente grado di giudizio) in favore del MiBACT, che si liquidano in € 3000,00. Compensa le spese di lite nei rapporti tra il Comune di (omissis) e il MIBACT.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Carlo Deodato – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere, Estensore
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