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Le deduzioni degli appellanti non possono essere condivise.
Va osservato, in primo luogo, che esse si basano su considerazioni di ordine sistematico attinenti alla struttura del procedimento elettorale ed alla ratio ispiratrice della relativa disciplina per i Comuni di maggiori dimensioni, che tuttavia, per quanto condivisibili in linea generale, non possono essere invocate per conculcare (o, comunque, restringere entro limiti operativi più angusti di quelli evincibili dal tenore testuale delle pertinenti disposizioni) i pur residui spazi applicativi del principio di rappresentatività, che la clausola de qua (ostativa all’attribuzione del premio di maggioranza nelle ipotesi da essa contemplate) è intesa a preservare.
Tali spazi sono delineati, in modo sufficientemente chiaro, dall’art. 73, comma 10, d.lvo n. 267/2000, in termini di rapporto tra la regola (attribuzione del premio di maggioranza alla lista o coalizione di liste collegate al sindaco eletto) e l’eccezione (superamento al primo turno, da parte di altra lista o gruppo di liste, del 50% dei suffragi), differenziandosi le due ipotesi normative – quella relativa all’elezione del sindaco al primo e quella di elezione dello stesso al turno di ballottaggio – esclusivamente per la condizione ulteriore, posta nella prima ipotesi ai fini dell’ottenimento del premio di maggioranza, del conseguimento da parte della lista o gruppo di liste collegate al sindaco eletto di almeno il 40% dei voti validi.
Ebbene, se è vero che la vicenda elettiva del sindaco cd. debole (eletto al secondo turno) si caratterizza, rispetto a quella del sindaco cd. forte (eletto al primo turno), per una più marcata frammentazione del corpo elettorale, va osservato che la differenziazione normativa delle due ipotesi — nel segno della esigenza di salvaguardia del principio di governabilità, più impellente ed acuta nel primo caso – è già insita nella eliminazione, con riferimento all’ipotesi di elezione del sindaco al turbo di ballottaggio, della menzionata ulteriore condizione limitativa, ai fini della attribuzione del premio di maggioranza, del conseguimento da parte della lista o coalizione di liste ad esso collegata, al primo turno, di almeno il 40% dei voti validi.
Proprio tale elemento di differenziazione normativa delle due ipotesi di elezione del sindaco è indice della consapevolezza del legislatore in ordine alla necessità di bilanciare diversamente i due valori concorrenti – quello di governabilità, promanazione del principio di buon andamento ex art. 97 Cost., e quello di rappresentatività, corollario del principio di democraticità ex art. 1 Cost. – a seconda delle due fattispecie elettorali, spostando la linea di demarcazione tra i due principi a favore del primo quando, in considerazione del carattere maggiormente frammentato del consenso (tale da imporre, ai fini della elezione del sindaco, un secondo turno elettorale), sarebbe risultato meno agevole, vigendo quella condizione, procedere all’attribuzione del premio di maggioranza.
In tale contesto, sarebbe la previsione (ove mai fosse ricavabile dal testo normativo) di un aggravamento delle condizioni da rispettare per l’affermazione del principio di rappresentatività, quale dovrebbe essere rappresentato dalla necessità di rapportare la percentuale del 50% al numero complessivo (recte, espresso al primo ed al secondo turno) di “voti validi”, ad apparire incoerente con il principio di ragionevolezza che deve ispirare l’interpretazione della legge, specialmente nei suoi profili logico-sistematici, in quanto realizzerebbe una sorta di super-tutela del principio di governabilità, già valorizzato, come si è detto, dalla eliminazione della condizione del conseguimento del 40% dei voti validi da parte della compagine politica collegata al sindaco eletto al turno di ballottaggio.
Deve aggiungersi, sempre sul piano logico-sistematico, che se la condizione (non obliterabile nella sua essenza, perché normativamente prevista) impeditiva dell’attribuzione del premio di maggioranza rinviene la sua ratio nella salvaguardia del principio di rappresentatività, nei casi in cui la particolare frammentazione delle orientamenti del corpo elettorale renderebbe l’assegnazione del premio alla compagine che ha sostenuto il candidato sindaco vincente marcatamente artificiosa e palesemente inidonea a rappresentare la reale struttura del consenso elettorale, è evidente che essa deve essere accertata secondo modalità il più possibili coerenti con quella finalità, ovvero determinando il rapporto di forza tra coalizione vincente e coalizione perdente ad un dato momento ed in una determinata fase del procedimento elettorale: laddove la commistione di fasi procedimentali distinte, pur (per altri fini) avvinte entro un unitario schema procedimentale, al fine di determinare l’assetto degli orientamenti elettorali, insita nella limitazione al primo turno del computo dei voti ottenuti dalla coalizione perdente e, per contro, nella inclusione nell’ambito dei “voti validi”, cui rapportare i primi, anche di quelli espressi dagli elettori in occasione del turno di ballottaggio, falserebbe la conseguente rappresentazione, per i fini de quibus, degli schieramenti elettorali e minerebbe, in ultima analisi, la fedeltà del risultato elettorale alla volontà degli elettori, costituente lo scopo finale del procedimento elettorale.
Inoltre, con specifico riguardo alla rimarcata unitarietà del procedimento elettorale, che imporrebbe, dal punto di vista degli appellanti, di intendere la formula “voti validi” come comprensiva anche di quelli espressi dall’elettorato al secondo turno, va rilevato che il postulato fondamentale della competizione elettorale, garanzia della necessaria rispondenza del risultato elettorale alla volontà degli elettori, rappresentato dal fatto che tutti gli attori del procedimento elettorale abbiano avuto la possibilità di confrontarsi tra loro a parità di condizioni, non sarebbe rispettato, aderendo alla suddetta prospettazione, nell’ipotesi, ad esempio, in cui una lista o coalizione di liste non partecipasse al secondo turno (perché non collegata ad un candidato sindaco ammesso al ballottaggio né optante per il cd. apparentamento) e, ciononostante, al fine di affermare la sua rappresentatività (in chiave comparativa con quella della lista o coalizione di liste che ha appoggiato il candidato sindaco eletto), dovesse misurare i risultati da essa ottenuti al primo turno con il complesso dei voti validi, comprensivi di quelli espressi in una fase elettorale (il turno di ballottaggio) cui non ha (per scelta o necessità) partecipato.
Non si intende, con i rilievi che precedono, obliterare la sostanziale unitarietà del procedimento elettorale, tale che solo all’esito del suo svolgimento, con la consumazione delle diverse fasi che lo compongono, è possibile determinare la volontà degli elettori e tradurla nella individuazione del sindaco eletto così come nella composizione dell’organo consiliare quali derivano dall’applicazione delle regole elettorali: ciò che preme sottolineare, invece, è che la indubitabile “formazione progressiva” del risultato elettorale, quale discende dall’articolazione in più fasi del relativo procedimento, non elide l’esigenza di fare riferimento, a determinati fini, alla cristallizzazione che la volontà elettorale ha ricevuto in ciascuna fase del procedimento medesimo.
Ebbene, poiché nella specie si tratta appunto di determinare, per gli effetti attributivi del premio di maggioranza, il peso relativo di ciascuna forza politica, quale può genuinamente evincersi solo all’esito del primo turno (laddove, cioè, gli elettori sono chiamati a manifestare la loro opzione per la compagine politica e non solo per il candidato sindaco, con la possibilità di scissione, attraverso il cd. voto disgiunto, delle due manifestazioni di volontà elettorale), in assenza dei condizionamenti che sulla espressione di quella volontà esercita la diversa e successiva fase elettorale di ballottaggio (in cui prevalgono considerazioni attinenti alla scelta del sindaco), è del tutto coerente con il complessivo assetto normativo che l’art. 73, comma 10, d.lvo n. 267/2000 sia interpretato nel senso che i “voti validi” siano solo quelli espressi dagli elettori in occasione del primo turno.
Per finire, la soluzione interpretativa fatta propria dal giudice di primo grado è altresì maggiormente funzionale al corretto svolgimento del procedimento elettorale ed al raggiungimento delle sue finalità, in relazione alle distinte fasi in cui può articolarsi: ciò in quanto la ricognizione dell’assetto distributivo del voto, operata all’esito del primo turno, può fornire ai candidati sindaci ammessi al turno di ballottaggio le indicazioni necessarie a promuovere, in termini politicamente propositivi e costruttivi, le più opportune aggregazioni, in vista del conseguimento di un risultato maggioritario nel turno di ballottaggio, mentre la soluzione ermeneutica opposta restringerebbe la strategia elettorale del candidato sindaco, cui è collegata la lista o la coalizione di liste che non siano state premiate dagli elettori nel primo turno ma che faccia affidamento su una forte affermazione personale, ad una sterile “chiamata alle urne”, al fine di ampliare il bacino dei “voti validi” e quindi neutralizzare l’affermazione al primo turno della compagine avversaria.
Chiarito che dall’interpretazione logico-sistematica non sono ricavabili argomenti atti ad inficiare gli esiti di quella letterale, devono adesso esaminarsi le deduzioni con le quali gli appellanti intendono sottolineare l’esigenza di una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione de qua.
Premesso che anche siffatto criterio interpretativo dovrebbe fare i conti con la rigidità del testo legislativo, sì che potrebbe eventualmente fornire spunti utili ai fini della prospettazione di una questione di legittimità costituzionale, ritiene la Sezione che siffatta esigenza non possa farsi discendere tout court, come ritenuto dagli appellanti, dalle disposizioni costituzionali che improntano il sistema elettorale e la forma di governo regionali, ed in particolare dall’art. 122, comma 5, Cost., come sostituito dall’art. 2 l. cost. n. 1 del 22 novembre 1999, sia perché afferente, appunto, alle istituzioni regionali, sia perché la stessa norma costituzionale citata fa salve le diverse disposizioni statutarie, a rimarcare il carattere non costituzionalmente necessitato della previsione de qua.
Ma a non diversa conclusione deve pervenirsi facendo leva sul parametro della ragionevolezza, evidenziando gli appellanti che “caratteristica indefettibile della forma di governo comunale è – appunto – un sistema per l’elezione del consiglio comunale che consenta al sindaco di svolgere adeguatamente le funzioni stabilite dalla legge, garantendo che tra esecutivo e maggioranza consiliare vi sia “consonanza politica”, atteso che “un sistema elettorale che non assicurasse la maggioranza in consiglio all’eletto direttamente dai cittadini dovrebbe ritenersi probabilmente non conforme alla Costituzione”.
Deve premettersi che, in un contesto interpretativo connotato dalla presenza di valori e principi di segno diverso e tendenzialmente equiordinati, il parametro della ragionevolezza assume essenzialmente un significato (ed una funzione) di bilanciamento, al fine di individuare la soluzione ermeneutica meglio atta a contemperarli, senza determinare lo sproporzionato sacrificio di alcuno di essi a vantaggio dell’altro.
Ebbene, la soluzione interpretativa proposta dagli appellanti pecca appunto per l’eccessivo peso attribuito ai principi di governabilità e di primazia sindacale, i quali dovrebbero sopravanzare, nella scala dei valori avuta presente dal legislatore nella conformazione della disciplina elettorale, ogni altra esigenza, compresa quella, non meno rilevante in un assetto istituzionale ispirato, a tutti i livelli di governo, al principio della democrazia rappresentativa, di garantire la presenza nell’organo consiliare di indirizzo politico-amministrativo di una rappresentanza di tutte le forze politiche tendenzialmente conforme al peso che ciascuna di esse riveste all’interno del corpo elettorale.
Ai rilievi svolti deve aggiungersi quello per cui le critiche mosse dagli appellanti all’interpretazione qui condivisa dell’art. 73, comma 10, d.lvo n. 267/2000, sub specie della rappresentazione dei rischi di ingovernabilità ad essa connessi, non hanno tanto riguardo alla norma nella sua astratta formulazione, quanto al suo concreto operare nella variegata diversità delle situazioni elettorali che possono verificarsi in ciascuna realtà politico-territoriale: basti infatti osservare che la temuta mancata “consonanza politica” tra sindaco eletto ed organo consiliare non discende necessariamente, in presenza della clausola ostativa de qua, dalla mancata attribuzione del premio di maggioranza, ma dalla composizione che l’assise consiliare verrà concretamente ad assumere all’esito dell’assegnazione dei seggi alle liste, o alle coalizioni di liste, che hanno partecipato alla competizione elettorale, anche sulla scorta delle strategie politico-elettorali che i candidati sindaci sapranno attuare in vista della celebrazione del turno di ballottaggio, e dalle intese post-elettorali tra i gruppi consiliari.
Non senza evidenziare che, da questo punto di vista, il legislatore ha introdotto ulteriori forme di salvaguardia del principio di governabilità, atte a meglio contemperare le esigenze che vengono in rilievo in subiecta materia (perché non determinanti un eccessivo sacrificio a carico di alcuna di esse): basti pensare al meccanismo di cd. pre-deduzione di cui all’art. 73, comma 11, d.lvo n. 267/2000, applicabile alle sole liste (e coalizioni di liste) non collegate al sindaco eletto, che non può non rafforzare la posizione consiliare del sindaco eletto e della coalizione che lo sostiene.
Deve inoltre osservarsi che, se la possibilità che si verifichi un determinato evento indesiderato (sulla base delle opzioni, non sempre immuni da scelte di valore, dell’interprete) può legittimamente essere considerata ai fini della valutazione della ragionevolezza di due alternative soluzioni interpretative, non può non rilevarsi, nel contempo, che mentre, per quanto appena detto, l’applicazione della clausola ostativa all’attribuzione del premio di maggioranza, interpretata nel modo fatto proprio dal T.A.R., non produce quale effetto immediato e necessario una situazione di ingovernabilità dell’Ente comunale, a diverse conclusioni deve pervenirsi aderendo all’ipotesi interpretativa opposta, in quanto la significativa dilatazione del bacino di riferimento per la determinazione dei voti validi, conseguente alla considerazione a tal fine anche del turno di ballottaggio, determinerebbe pressoché certamente l’inconfigurabilità della fattispecie ostativa, con la connessa inevitabile compressione del principio di rappresentatività: non senza considerare che, in tal caso, l’applicazione della clausola suindicata, la cui ratio consiste nel verificare e dare rilievo al grado di “presenza” politica di una determinata compagine, sarebbe fatta dipendere da una variabile, relativa alla partecipazione degli elettori al turno di ballottaggio (in quanto influente sull’estensione numerica dei “voti validi”), del tutto eterogenea rispetto ad essa, da un punto di vista elettorale, in quanto dipendente da scelte degli elettori ispirate a tutt’altro ordine di valutazioni.
La disamina dell’appello, seguendo il relativo ordine espositivo, deve adesso proseguire con la valutazione dei profili di asserita incostituzionalità della disposizione de qua, ove interpretata nei sensi illustrati, atti ad avviso degli appellanti a giustificare la sollecitazione del sindacato sulla stessa del giudice costituzionale.
Ebbene, priva del carattere di non manifesta infondatezza è la questione di costituzionalità profilata nei termini del contrasto della norma censurata con l’art. 3 e con l’art. 48 della Costituzione, alla luce della predicata disparità di trattamento che essa determinerebbe tra i voti espressi nel primo turno di elezione e quelli espressi nel secondo, che non conterebbero al fine della determinazione del totale dei “voti validi”, per gli effetti applicativi dell’art. 73, comma 10, d.lvo n. 267/2000.
Basti osservare che l’irrilevanza, ai fini del computo dei “voti validi”, di quelli espressi dagli elettori in occasione del turno di ballottaggio è giustificata, sul piano della ragionevolezza e della parità di trattamento, dal fatto che, ai fini dell’applicazione della clausola impeditiva dell’attribuzione del premio di maggioranza, vengono in rilievo i soli voti di lista conseguiti al primo turno dalla lista o coalizione di liste non collegate al sindaco eletto, e dalla conseguente necessità di individuare, quale secondo termine dell’operazione matematica contemplata dalla disposizione, una grandezza il più possibile omogenea, quale può essere rappresentata, per le ragioni in precedenza esposte, dai soli voti validi registrati nel primo turno: ciò che consente di escludere qualsivoglia disparità di trattamento, attesa la diversa valenza ascrivibile, per i presenti fini, ai voti espressi nei due turni elettorali.
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