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Chiedevano, infine, l’annullamento del verbale di proclamazione degli eletti del 24.7.2017, nella parte in cui assegnava il premio di maggioranza al sindaco eletto al turno di ballottaggio Ca. Ma. Sa., in vista della correzione del risultato elettorale conformemente alla disposizione di cui all’art. 73, comma 10, del d.lvo n. 267/2000.
Più specificamente, inoltre, i ricorrenti sig.ri An. To., At. Mo., ed altri impugnavano il suddetto verbale anche nella parte in cui, per effetto dell’attribuzione del premio di maggioranza, assegnava la carica di consigliere ai sig.ri Pi. Pa., ed altri, che aveva assunto la suddetta carica per effetto di surroga in conseguenza della nomina quale assessore del sig. Ca. Mi. (atto di surroga di cui ugualmente chiedevano l’annullamento), ai fini della sostituzione nella carica dei controinteressati da parte loro; la ricorrente sig.ra Pa. Gi. chiedeva, unitamente all’annullamento del suddetto verbale, la correzione del risultato delle operazioni elettorali con l’assegnazione alla medesima del seggio di consigliere comunale; i ricorrenti sig.ri Ma. Gi., on. Ro. Ma. e Pa. Pe. si limitavano a chiedere, in conseguenza dell’annullamento del predetto verbale, la correzione del risultato elettorale; la ricorrente sig.ra Fr. Ma., in via gradata, anche l’annullamento della proclamazione a sindaco del candidato Sa..
Il T.A.R., con i dispositivi (citati, al pari delle relative sentenze, seguendo l’ordine degli appelli) n. 1590 dell’11.10.2017, n. 1598 del 12.10.2017, n. 1591 dell’11.10.2017 e n. 1589 dell’11.10.2017, cui facevano rispettivamente seguito le sentenze n. 1626 del 17.10.2017, n. 1628 del 17.10.2017, n. 1627 del 17.10.2017 e n. 1625 del 17.10.2017, ha accolto i ricorsi suindicati, concludendo, sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili, nel senso che l’impugnato verbale dell’Ufficio Centrale Elettorale si fonda sull’erroneo presupposto che l’espressione “voti validi” debba ricomprendere anche tutti i voti espressi in favore dei candidati alla carica di sindaco nell’ambito del turno di ballottaggio.
Il giudice di primo grado ha in particolare rilevato che l’interpretazione sposata dall’Ufficio Centrale Elettorale confligge con “il chiaro tenore letterale della norma (art. 73, comma 10, d.lvo n. 267/2010), evidenziato dalle espressioni “primo turno” e “turno medesimo”“, il quale “non lascia adito a dubbi interpretativi di sorta, nel senso che il riferimento ai voti validi non possa che essere riferito al solo primo turno (in claris non fit interpretatio)” e sottolineando che siffatta interpretazione “ben si coniuga peraltro con la ratio legis e con i principi espressi dalla Carta Costituzionale”, atteso che “il principio di governabilità, del quale è espressione il premio di maggioranza, potrebbe costituire astrattamente una negazione del principio democratico di rappresentatività del voto e del principio di uguaglianza della espressione del voto da parte dei cittadini elettori” (cfr., in particolare, la sentenza n. 1626/2017).
Ha osservato altresì il giudice leccese che “può senz’altro affermarsi che l’interpretazione letterale della succitata condizione negativa (da ritenersi verificata nel caso in cui “… nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi”) si sposa senz’altro con quella teleologica, avendo il legislatore ritenuto – nella sua legittima discrezionalità – di privilegiare con l’attribuzione del premio di maggioranza unicamente i sindaci “forti”, tali dovendosi intendere quelli non solo dotati di prestigio e autorevolezza personali, ma collegati altresì a liste che esprimano la maggioranza delle preferenze espresse dal corpo elettorale. Le due interpretazioni (letterale e teleologica) si sposano infine con quella sistematica, essendo il descritto meccanismo elettorale del tutto coerente con un sistema che si prefigge un certo equilibrio (ancorché non paritario) tra le contrapposte esigenze costituzionali di governabilità e di rappresentanza popolare, e che ritiene di privilegiare il principio di rappresentatività a scapito di quello di governabilità in tutti i casi di sindaci “forti”, ma con liste collegate “deboli”, in quanto minoritarie nelle preferenze insindacabilmente espresse dal corpo elettorale” (così, in particolare, la sentenza n. 1628/2017).
Infine, il giudice di primo grado ha evidenziato che “il legislatore, con una scelta scrutinata favorevolmente dal giudice delle leggi, nel nostro sistema non ha optato per un’ipotesi di maggioritario puro, ritenendo invece – nell’ambito delle discrezionali valutazioni riservate ad esso legislatore – di pervenire ad un sistema maggioritario impuro e ibrido, ponendo un chiaro limite all’ipotesi del principio maggioritario proprio a tutela dei principi della rappresentanza democratica e della pari dignità dei voti” (così, in specie, la sentenza n. 1626/2017).
Gli appellanti sig.ri Si. Vi., Giovanni Castoro, Roberta De Donno, Maria Paola Leucci ed Ernesto Mola, con gli appelli depositati in data 13.10.2017, hanno impugnato i menzionati dispositivi di accoglimento, quindi, con i motivi aggiunti depositati il 7.11.2017, hanno articolato plurime censure intese a contestare le sentenze appellate, successivamente depositate dal T.A.R., nei loro singoli passaggi motivazionali.
Questi, in rapida sintesi, i motivi di appello: 1) su un piano interpretativo di carattere letterale, il riferimento ai “voti validi”, contenuto nella citata disposizione, riguarda anche il secondo turno: per “voti validi” deve infatti intendersi la somma dei voti validamente espressi in favore di tutte le liste e dei candidati alla carica di sindaco in entrambi i turni di scrutinio, ovvero nell’intero procedimento elettorale; il riferimento al primo turno elettorale (“turno medesimo”) ha quindi la funzione di impedire di sommare ai voti di lista conseguiti al primo turno anche quelli ottenuti dal candidato sindaco (collegato con la medesima lista) al ballottaggio: in mancanza, infatti, ogni voto raccolto dal candidato sindaco al ballottaggio, ai fini dell’attribuzione del premio, dovrebbe essere considerato come un voto alla lista o al gruppo di liste collegate; 2) su un piano interpretativo di carattere logico-sistematico, premesso che il sistema elettorale, così come plasmato dalla l. n. 81/1993, confluito nell’art. 73 d.lvo n. 267/2000, è incentrato sull’elezione diretta del sindaco da parte dell’intero corpo elettorale, contestuale a quella del consiglio comunale, e che il procedimento elettorale è unico, l’espressione “voti validi” designa la totalità dei voti espressi nell’intero ed unico procedimento elettorale che conduce all’elezione diretta del sindaco ed al rinnovo del consiglio comunale: poiché infatti il turno di ballottaggio incide, per una pluralità di profili, sull’attribuzione dei seggi alle liste o ai gruppi di liste, il procedimento di elezione ed assegnazione dei seggi per il consiglio comunale è unitario, e in esso l’elezione del consiglio è strettamente collegata a quella del sindaco, tanto che, ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.lvo n. 267/2000, solo all’esito del secondo turno vengono assegnati i seggi alle liste; 3) l’interpretazione sostenuta è coerente con la ratio del premio di maggioranza, che è quella di garantire un margine di governabilità degli enti locali, dovendo quindi considerarsi eccezionali le ipotesi di mancata attribuzione del premio; 4) a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., l’assetto del consiglio può essere definito solo all’esito del secondo turno, come dimostra la possibilità del cd. apparentamento, che può modificare radicalmente la composizione del consiglio comunale; 4) l’interpretazione sostenuta in appello è coerente con l’esigenza di interpretazione costituzionalmente orientata, sia alla luce della necessità di garantire al sindaco la maggioranza consiliare, sia perché caratteristica indefettibile della forma di governo comunale è un sistema per l’elezione del consiglio comunale che consenta al sindaco di svolgere adeguatamente le funzioni stabilite dalla legge, garantendo che tra esecutivo e maggioranza consiliare vi sia “consonanza politica”; da questo punto di vista, il sistema elettorale rappresenta una pre-condizione del buon funzionamento del sistema fondato sull’elezione diretta del sindaco; la possibilità che non vi sia consonanza tra sindaco e consiglio permane ancora oggi, ma è residuale e può trovare fondamento solo in una differenziazione particolarmente marcata delle scelte degli elettori quanto alle liste e al sindaco; 5) le sentenze appellate non indicano i candidati che perdono la carica per effetto del mancato riconoscimento del premio di maggioranza e quelli che devono sostituirli, mentre l’art. 130 c.p.a. prevede che il T.A.R. proceda direttamente alla correzione del risultato elettorale; 6) il T.A.R. non solo non ha riunito i distinti giudizi concernenti la vicenda de qua, disattendendo l’art. 70 c.p.a., ma ha pronunciato quattro sentenze diverse per impostazione e per ampiezza, siccome redatte da quattro diversi giudici estensori, con il conseguente pregiudizio per il diritto di difesa, attesa la necessità di predisporre quattro distinti appelli, in funzione delle diverse argomentazioni contenute nelle suddette sentenze: la riunione è invece doverosa in materia elettorale, attesa la necessità di correggere il risultato elettorale con “un” provvedimento, anche al fine di prevenire il rischio di conflitto di giudicati; 7) infine, viene chiesto di sollevare questione di illegittimità costituzionale, in quanto, aderendo alla tesi interpretativa avversata, sarebbe violato l’art. 3 della Costituzione, unitamente all’art. 48, essendovi disparità di trattamento tra i voti espressi nel primo turno di elezione e quelli espressi nel secondo, che non conterebbero al fine della determinazione del totale dei voti validi; anche sotto il profilo dell’art. 3 Cost., ovvero del parametro della ragionevolezza, l’interpretazione proposta dai giudici di prime cure minerebbe alle fondamenta la forma di governo comunale, in quanto ne farebbe venire meno uno dei pilastri; sarebbe infine violato l’art. 97 Cost., essendo evidente che un sindaco cui non è assicurata (tranne casi davvero eccezionali e residuali) la maggioranza consiliare non può amministrare con efficacia ed efficienza il Comune, in quanto sottoposto permanentemente agli indirizzi contrari della maggioranza consiliare; il buon andamento della P.A. sarebbe pregiudicato anche in considerazione del fatto che l’esito prospettato dai ricorrenti esporrebbe il Comune all’eventualità del commissariamento già subito dopo l’insediamento del consiglio comunale: la maggioranza dei consiglieri, infatti, ove non in sintonia con il sindaco, potrebbe dimettersi in blocco già subito dopo la prima adunanza del consiglio comunale, causando la decadenza del sindaco e lo scioglimento del consiglio stesso.
Con i decreti monocratici nn. 4492 del 13.10.2017, n. 4493 del 13 ottobre 2017, n. 4509 del 16.10.2017 e n. 4508 del 16.10.2017 è stata sospesa l’efficacia dei dispositivi di sentenza impugnati, quindi, con le ordinanze n. 4779, n. 4780, n. 4781 e n. 4782 del 9 novembre 2017, è stata inibita l’esecutività delle sentenze di primo grado, fissando l’udienza odierna per la trattazione nel merito degli appelli.
Le posizioni delle parti sono state ulteriormente precisate ed arricchite sul piano argomentativo con le memorie successivamente depositate, anche in vista dell’udienza di discussione, all’esito della quale gli appelli sono stati trattenuti dal collegio per la decisione di merito.
DIRITTO
Deve preliminarmente disporsi la riunione degli appelli indicati in epigrafe, attesa la sussistenza tra essi di evidenti profili di connessione soggettiva ed oggettiva.
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