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Avverso gli atti di gara indicati in epigrafe (tra cui il provvedimento di aggiudicazione definitiva e gli atti del subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta) insorgeva Impresa Fa. mediante proposizione di ricorso con cui deduceva tre ordini di censure: le prime due attinenti alla valutazione di congruità dell’offerta; l’altra volta a evidenziare l’asserita violazione dell’art. 10 del capitolato speciale poiché l’offerta dell’aggiudicataria Al. Se. non avrebbe garantito la prescritta separazione tra la gestione dei servizi cimiteriali e quella dei servizi di attività funebri.
Con ordinanza 1394 del 27 ottobre 2016, il Collegio di prime cure respingeva la domanda cautelare formulata dalla ricorrente ritenendo, da un lato, che la valutazione di anomalia (da intendersi comunque attinente all’offerta complessiva e non a singole voci della stessa) svolta dalla Stazione appaltante, di cui dava conto la relazione elaborata da quest’ultima a seguito dell’istruttoria disposta dal Tribunale (con ordinanza 1662 del 12 settembre 2016), pareva fondarsi su valori di costo del personale coerenti con la forma giuridica rivestita dall’aggiudicataria; dall’altro, che appariva ragionevole la valutazione delle economie di scala e dei meccanismi di rotazione, risultando pure documentata l’esistenza di condizioni favorevoli per l’acquisizione dei materiali.
Con la sentenza segnata in epigrafe, il Tribunale adito, in accoglimento dell’eccezione formulata in via preliminare dalla difesa del Comune, dichiarava il ricorso dell’Impresa Fa. inammissibile per carenza di interesse, non avendo la ricorrente provato- in corso di causa -l’effettiva insussistenza della causa di esclusione invocata dalla Stazione appaltante, attesa la mancanza delle dichiarazioni di cui all’art. 38 comma 1, lettere b), c), mter) del D.Lgs. 163 del 2006 attinenti al possesso dei requisiti morali, necessarie con riferimento al socio di maggioranza (ovvero la sig.ra Na. Fa.) trattandosi di piccola impresa con meno di quattro soci.
Impresa Fa. impugnava la sentenza deducendo che essa sarebbe erronea e meritevole di annullamento e/o riforma per i seguenti motivi: error in iudicando: erronea declataroria di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse; errata applicazione degli artt. 38, 46 e 48 del d.lgs. 163 del 2006, 13 legge 180 del 2011, 2697 cod. civ. e 112 cod. proc. civ.
L’appellante ha, altresì, integralmente riproposto i tre motivi del ricorso principale, non esaminati nel merito dal giudice di prime cure e dichiarati assorbiti, domandandone l’accoglimento.
Si costituiva in giudizio il Comune di (omissis) per resistere all’appello, domandando in via principale di respingere il ricorso in quanto inammissibile, con conferma della sentenza di primo grado e, in subordine, di respingere i motivi di impugnazione riproposti in appello in quanto inammissibili e infondati.
All’udienza dell’11 gennaio 2018, la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di appello Impresa Fa. ha dedotto che la sentenza impugnata sarebbe inficiata da error in iudicando, stante l’erroneità della declaratoria di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.
In particolare, l’appellante sostiene che avrebbe errato il giudice di prime cure nel ritenere, in accoglimento dell’eccezione sollevata dal Comune resistente, che la società ricorrente non aveva rispettato le prescrizioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. b), c) ed m ter) e che tale omissione non avrebbe potuto essere sanata mediante soccorso istruttorio, ricavandone così l’impossibilità per la ricorrente di conseguire l’auspicata aggiudicazione.
L’appellante torna qui a dolersi che dalla mancata produzione dell’indicata dichiarazione non poteva certo derivare l’esclusione dalla gara, sussistendo, al contrario, l’obbligo per la Stazione appaltante di ammettere l’impresa alla regolarizzazione e all’integrazione documentale, intimandole il pagamento della relativa sanzione.
Avrebbe dunque errato il T.a.r. nel ritenere che il Comune avesse dimostrato che il socio di maggioranza della società ricorrente non avesse reso le dichiarazioni previste dalla norma su indicata, che tali dichiarazioni fossero richieste a pena di esclusione dalla lettera di invito e che non sarebbe stato più ammissibile il ricorso al soccorso istruttorio, stante la dimostrazione nel corso del giudizio del mancato possesso dei requisiti soggettivi di partecipazione. Né sarebbe condivisibile l’assunto della impugnata sentenza in base al quale la ricorrente non avrebbe preso posizione sull’eccezione sollevata dalla difesa comunale, esponendosi così in pieno alla dedotta inammissibilità per difetto di interesse.
In conclusione, dal fatto provato della mancata dichiarazione non sarebbe potuta conseguire l’esclusione della ricorrente dalla procedura, come prospettato dalla Stazione appaltante, né poteva ritenersi provata la mancanza sostanziale del requisito, fatto mai allegato dal Comune (il quale si era limitato ad eccepire la mancanza delle dichiarazioni, non già la mancata dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione): sicché la statuizione giudiziale sul punto sarebbe pure viziata da ultrapetizione avendo il giudice pronunziato ben oltre i limiti della domanda, in aperta violazione dell’art. 112 c.p.c.
Il motivo di doglianza è infondato e non merita accoglimento.
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