Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 31 ottobre 2017, n. 5022. Nel procedimento inteso all’acquisizione gratuita di opere edilizie abusive al patrimonio indisponibile del comune

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2. Il primo giudice riteneva fondati il primo ed il quarto motivo dell’originario ricorso con i quali si contestava il nucleo centrale della motivazione dell’impugnato provvedimento di diniego, secondo cui l’immobile in questione sarebbe stato destinato a fini pubblici entro la data del 1° dicembre 1994 e non sarebbe quindi condonabile ai sensi dell’articolo 39, comma 19, della legge 23 dicembre 1994, n. 724.

Lo stesso TAR valutava, invece, come infondate le altre doglianze.

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’amministrazione comunale, lamentando che: I) Il TAR avrebbe innanzi tutto dovuto dichiarare il ricorso inammissibile per carenza di interesse. Infatti, poiché sarebbe già stato pronunciato un diniego di condono, mai impugnato, l’accoglimento del ricorso di primo grado non consentirebbe comunque agli interessati di acquisire l’immobile di cui trattasi; II) già nel 1983, subito dopo la formale acquisizione con ordinanza sindacale n. 576 del 27.4.1983, emessa nei confronti degli stessi Sigg.ri Pi. Ge. e altri, il Comune avrebbe comunicato agli inquilini del precedente proprietario quanto avvenuto, preannunciando l’invito alla stipula del contratto e, quindi, prendendo in sostanziale gestione (la quale implica la destinazione a fini pubblici) il fabbricato.

Le vicende successive, tra cui quelle relative alla staticità del fabbricato, sarebbero del tutto ultronee rispetto alla destinazione a fini pubblici dello stesso, in quanto atterrebbero all’esame del merito tecnico e ai successivi rapporti giuridici connessi alla gestione concreta. Del resto già la sentenza del TAR Campania, n. 307/1989, nel respingere il ricorso avverso l’ordinanza sindacale citata, avrebbe dato atto della destinazione a fini pubblici, escludendo la presenza di alcun eccesso di potere nella utilizzazione come edilizia residenziale pubblica. La risalente volontà dell’Amministrazione di destinare a fini pubblici l’immobile acquisito, pertanto, sarebbe stata sempre ribadita ed assicurata agli occupanti e comunicata anche agli ex proprietari. Né rileverebbe il mancato raccordo degli uffici circa la data di effettiva destinazione a fini pubblici degli immobili di via Vicinale Paradiso, trattandosi in ogni caso di data antecedente al 1° dicembre 1994.

4. Costituitosi in giudizio l’originario ricorrente, eccepisce l’inammissibilità del primo motivo di appello avanzato dall’Amministrazione comunale, poiché sarebbe essenzialmente diverso dalla eccezione di inammissibilità sollevata in primo grado e respinta dalla sentenza gravata, che non avrebbe avuto ad oggetto l’istanza di condono sulla quale si sarebbe formato un diniego non impugnato, ma l’incensurabilità della destinazione a fini pubblici dell’immobile, coperta dal giudicato della sentenza n. 307/1989.

In ogni caso il motivo sarebbe infondato anche nel merito dal momento che il diniego ex l. 47/1985, non precluderebbe la presentazione di una nuova istanza ex l. 724/1994. Né il secondo diniego poggerebbe come motivazione su di una simile circostanza.

Quanto al secondo motivo di appello il procedimento di acquisizione dell’immobile al patrimonio indisponibile del Comune di Napoli e di destinazione a fini pubblici non si sarebbe mai perfezionato. Il provvedimento del 1983 di acquisizione del bene al patrimonio comunale non sarebbe stato seguito dai successivi atti relativi all’effettiva destinazione dell’immobile a scopi di interesse pubblico. Collaudo e declaratoria di agibilità – abitabilità sarebbero elementi indispensabili preordinati alla destinazione ad attività di pubblica utilità, in quanto non sarebbe ipotizzabile l’utilizzazione pubblica di un appartamento (ad edilizia residenziale o meno), in mancanza del previo collaudo dell’opera; ragione per cui l’Ufficio Patrimonio del Comune di Napoli si sarebbe sempre rifiutato di “regolarizzare” le occupazioni. L’interpretazione dell’art. 39, comma 19, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, secondo la quale il detto articolo non si applicherebbe al caso di specie per il sol fatto che l’acquisizione degli immobili è avvenuta in base alla legge n. 10 del 1977 che prevedeva come effetto automatico, in alternativa alla demolizione, “l’acquisizione gratuita delle predette opere, con l’area su cui insistevano, al patrimonio indisponibile del Comune”, non sarebbe condivisibile.

Infatti, sarebbe in palese contrasto con la ratio della norma e determina un’inconcepibile disparità di trattamento tra i titolari delle opere acquisite ex art. 15 della legge n. 10/77.

In definitiva, l’appellante non riuscirebbe a dimostrare l’effettiva destinazione degli immobili in questione ad uso pubblico.

Da ultimo, l’originario ricorrente propone appello incidentale, dal momento che il TAR avrebbe dovuto rilevare che occorrerebbe una specifica delibera del Consiglio Comunale per la declaratoria dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici, che impongono la conservazione dell’immobile abusivo acquisito e, unitamente alla manifestazione di volontà di conservare l’immobile, che il Consiglio Comunale esprima o dichiari di voler destinare l’immobile acquisito ad uno specifico fine pubblico.

Ancora il primo giudice avrebbe errato nel non rilevare la contraddittorietà tra la nota del 3 marzo 2006 della Direzione Centrale VI, che avrebbe attestato la destinazione dell’immobile entro il 1 dicembre 1994, e la nota n. 4932 del 9 novembre 2004 con la quale il Servizio patrimonio assumeva che la destinazione dell’immobile sarebbe avvenuta prima del 31 dicembre 1993.

Inoltre, il Tar avrebbe dovuto rilevare la necessità di acquisire il parere della commissione edilizia.

5. Nelle successive difese entrambe le parti insistono nelle proprie argomentazioni.

6. L’appello principale è fondato e deve essere accolto.

Impregiudicata, infatti, la questione relativa all’omessa impugnazione del diniego di condono edilizio adottato all’indomani dell’entrata in vigore della l. 47/1985, deve rilevarsi che non può essere condivisa la lettura del primo giudice secondo la quale la pronuncia dello stesso TAR n. 307/1989 non aveva già all’epoca rilevato l’utilizzazione per fini pubblici del bene acquisito dall’amministrazione.

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