Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 3 novembre 2017, n. 5084.  L’occupazione di un bene del privato da parte della P.A., illegittima perché mantenuta sulla base di un decreto di occupazione d’urgenza scaduto nella sua efficacia e non seguito nei termini da un provvedimento di esproprio, costituisca un illecito permanente

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14.5. Da un tale quadro giurisprudenziale, che pare ormai consolidatosi (come è attestato dalle successive ordinanze delle Sezioni unite civili 12 giugno 2015, n. 1278; 18 gennaio 2017, n. 1092) deriva che, a tutto concedere, il Comune appellante potrebbe eccepire il difetto di giurisdizione del G.A. solo nel caso di radicale inesistenza della dichiarazione di pubblica utilità – presupposto di legittimità del procedimento di espropriazione e del connesso provvedimento di occupazione d’urgenza – (cfr. Cass. civ., sez. un., ord. 18 novembre 2016, n. 23462), dal che discenderebbero la natura di comportamento puramente materiale dell’occupazione d’urgenza e il radicamento della giurisdizione del G.O. (cfr. Cass. civ., sez. un., ord. 16 dicembre 2016 n. 25978). Poiché il Comune conviene che una dichiarazione di pubblica utilità preesisteva (v. le pagg. 9 e 10 dell’appello, anche in relazione al non contestato § 10 della sentenza di primo grado), il preteso difetto di giurisdizione del G.A. non sussiste e il motivo va respinto.

15. Quanto al secondo motivo dell’appello (asserita prescrizione, almeno parziale, del diritto al risarcimento fatto valere dall’originario ricorrente), sia il Comune appellante che il privato resistente richiamano a sostegno delle rispettive tesi precedenti di questo Consiglio di Stato.

15.1. E’ indiscusso che l’occupazione di un bene del privato da parte della P.A., illegittima perché mantenuta sulla base di un decreto di occupazione d’urgenza scaduto nella sua efficacia e non seguito nei termini da un provvedimento di esproprio, costituisca un illecito permanente, in quanto la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo l’acquisizione dell’area da parte dell’Amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni (cfr. la fondamentale Cass. civ., sez. un., 19 gennaio 2015, n. 735; in termini Cons. Stato, Ad. plen., 9 febbraio 2016, n. 2; sez. IV, 7 novembre 2016, n. 4636).

15.2. Tanto premesso, secondo alcune decisioni l’illegittima occupazione del bene senza che vi sia un eventuale titolo idoneo a determinare il trasferimento della proprietà in capo alla P.A. fa sì che – in ragione appunto del carattere permanente del comportamento illecito dell’Amministrazione – in costanza di questo non possa decorrere alcun termine di prescrizione, la cui operatività presuppone invece l’avvenuta cessazione dell’illecito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 marzo 2014, n. 1105; sez. I, 28 aprile 2015, n. 3059; sez. IV, 2 febbraio 2016, n. 389; sez. IV, 30 agosto 2017, n. 4106).

15.3. Altre pronunzie sostengono che la natura permanente dell’illecito commesso non comporta che la pretesa possa essere azionata sine die per la sua totalità, escludendo del tutto l’applicabilità dell’istituto della prescrizione, e reputano che la parte possa pretendere il pagamento dei ratei del danno subito fino al limite dell’avvenuta prescrizione dei singoli importi dovuti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 agosto 2011, n. 4590; sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4193; Cass. civ., sez. I,7 marzo 2011, n. 5381).

15.4. Il Collegio rileva che quello appena esposto rappresenta un contrasto di giurisprudenza solo apparente. La sintesi equilibrata dell’orientamento del Consiglio di Stato sul punto di specie si rinviene nella menzionata sentenza dell’Adunanza plenaria 9 febbraio 2016, n. 2, la quale ha definitivamente chiarito che “la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c. – con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull’occupazione contra ius, ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene”.

15.5. Il riportato principio ripete, nella sostanza, quello elaborato dalle ricordate Sezioni unite della Corte di cassazione secondo cui “la prescrizione quinquennale per la richiesta di risarcimento del danno da occupazione illegittima decorre, quanto alla reintegrazione per equivalente, dalla data della domanda e, per il pregiudizio da mancato godimento, dalle singole annualità” (sentenza 19 gennaio 2015, n. 735, cit.; indi sez. I, 5 aprile 2016, n. 6563).

15.6. Pertanto, limitatamente alla ipotesi in cui il Comune debba procedere alla restituzione dell’area ed al risarcimento del danno da mancato godimento, la prescrizione ha estinto il diritto al risarcimento in relazione al mancato godimento del bene per gli anni precedenti al quinquennio antecedente la messa in mora (da identificarsi nella specie con la notificazione del ricorso di primo grado in data 12 marzo 2009). Risulta dunque prescritto il diritto al risarcimento del danno relativo agli anni che vanno dalla data della occupazione del fondo e fino al 12 marzo 2004.

15.7. Sotto tale limitato profilo, pertanto, il motivo appare fondato e va accolto.

16. Con la terza censura dell’appello il Comune sostiene la responsabilità o almeno la corresponsabilità del Consorzio Co. Sp. nella produzione del danno da risarcire.

16.1. La censura è infondata perché, come ha messo in rilievo il Tribunale territoriale, il Consorzio non è concessionario di un’opera pubblica né, a partire dalla convenzione del 1998 e nel corso di tutta la procedura ablatoria, è stato mai investito di poteri amministrativi in via di delega, sicché va escluso che esso possa essere legittimato passivo rispetto alla domanda proposta dal privato (cfr. Cass. civ., sez. I, 4 giugno 2010, n. 13615; Cons. Stato, 14 maggio 2007, n. 2389; Id., sez. IV, 10 dicembre 2009, n. 7444; id., sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 676. Cass. civ., sez. un., 23 novembre 2007, n. 24397, citata dal Comune, ribadisce l’orientamento consolidato della responsabilità del concessionario di un’opera pubblica solo quando questi sia “facultato a svolgere in nome proprio – nella sequenza, con le modalità e nei tempi previsti dalle leggi sulle espropriazioni per p.u. – quella medesima serie di compiti, adempimenti ed attività procedimentali devoluti dal legislatore all’espropriante”).

16.2. Per completezza si evidenzia che l’addebito mosso al Consorzio di essere corresponsabile per il ritardo nell’esecuzione delle opere e dunque per il rallentamento della procedura, da un lato, è un argomento scarsamente comprensibile, perché la circostanza non avrebbe di certo potuto impedire al Comune di adottare nei termini di legge il decreto di esproprio, dall’altro, potrebbe semmai operare sul piano dei rapporti interni con l’Amministrazione, mentre non può essere opposto all’originario ricorrente.

17. Con il quarto motivo il Comune denuncia la violazione, da parte del T.A.R., dell’art. 112 c.p.c. (la domanda principale del privato avrebbe chiesto il risarcimento del danno e in subordine la restituzione del terreno; la sentenza avrebbe imposto al Comune – in termini di facoltà alternative, rimesse al mero volere dell’Amministrazione – di procedere a norma dell’art. 42 bis t.u., acquisendo coattivamente l’area o, in mancanza di intervento sanante, restituendola previa remissione in pristino); denuncia poi pure ulteriori violazioni di legge.

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