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Relativamente alla specifica materia edilizia, questa Sezione – con recenti precedenti specifici in argomento – ha ribadito il principio secondo cui “Il termine per l’impugnazione di un titolo edilizio emesso a favore di terzi comincia a decorrere solo dall’ultimazione dei lavori o, quanto meno, dal momento in cui il relativo avanzamento disvela univocamente le specifiche caratteristiche strutturali e dimensionali dell’erigendo manufatto” (Consiglio di Stato, sez. IV, 25 maggio 2017, n. 2453). Ciò in quanto il terzo, non essendo destinatario di alcuna forma di comunicazione personale diretta, potrebbe non avere esatta contezza dell’incidenza effettiva, nella propria posizione giuridica, dell’eventuale non conformità dell’intervento autorizzato rispetto alla disciplina urbanistica (Consiglio di Stato, sez. IV, 5 maggio 2017 n. 2063).
L’anzidetto principio appare, inoltre, avvalorato da quella giurisprudenza secondo cui la richiesta di accesso ai documenti non è idonea, ex se, a far differire i termini di proposizione del ricorso quando la potenzialità lesiva dell’intervento è immediatamente percepibile, sicché il compimento di un atto formale non varrebbe a rimettere in termini e salvare da sicura decadenza colui il quale è stato posto in grado di conoscere l’esatta entità dell’intervento da realizzarsi (Consiglio di Stato sez. IV 21 marzo 2016 n. 113).
Ciò, tuttavia, non esclude che detto accadimento (l’accesso agli atti) non possa, invece, al contrario, esso stesso rappresentare il momento di esatta percezione della potenzialità lesiva dell’intervento.
È quanto accaduto nel caso di specie, ove i ricorrenti, determinatisi a richiedere copia di tutti gli elaborati progettuali con nota del 5 febbraio 2003, hanno chiaramente percepito la portata lesiva dell’intervento e, immediatamente dopo, hanno proposto il ricorso (la notificazione è stata compiuta il 2 aprile 2003).
Nell’individuare, in concreto, l’esatto momento in cui si sarebbe compiuta la necessaria conoscenza da parte dei ricorrenti, il primo giudice, pertanto, ha dato il giusto rilievo ad un fatto certo, documentato, storicamente accaduto, ovvero l’accesso agli atti presso l’amministrazione comunale. Nel contempo, invece, lo stesso giudice ha motivatamente escluso che analoga conoscenza potesse essere derivata, in capo ai ricorrenti, dalla mera presentazione, in data 11 gennaio 2003, di una richiesta di partecipazione al procedimento di rilascio del titolo edilizio.
In disparte la considerazione che la d.i.a., per definizione, consiste in una mera dichiarazione di parte alla quale non fa seguito alcun provvedimento amministrativo di rilascio, salvi i poteri inibitori e di controllo in capo all’amministrazione, nel caso di specie va escluso in punto di fatto (o almeno di ciò non risulta essere stata fornita alcuna prova in giudizio) che i ricorrenti si fossero determinati a presentare l’anzidetta istanza perché già consapevoli dell’esatta entità e lesività dell’intervento edilizio da realizzarsi.
Pertanto, del tutto correttamente il primo giudice ha ravvisato, come maturata, la detta consapevolezza, solo nel momento dell’effettivo accesso e consultazione del progetto e degli elaborati tecnici.
7.3. Violazione di legge (art. 17.18 del regolamento edilizio del comune di (omissis) e art. 28 delle NTA del piano regolatore del comune di (omissis)). Eccesso di potere sotto il profilo dell’omessa pronuncia sulla eccezione di illegittimità dell’applicazione dell’art. 17.18 reg. ed. (norma riservata alla zona (omissis)) alla zona (omissis).
L’appellante censura l’interpretazione, sostenuta dai ricorrenti e ritenuta fondata dal primo giudice, secondo cui, in forza dell’applicazione (a suo diretta scorretta) del principio di reciprocità in materia di computo delle distanze tra costruzioni, sarebbero state estese ad una zona classificata nel p.r.g. come residenziale (omissis) le disposizioni regolamentari espressamente previste per le zone (omissis).
L’appellante sostiene, in particolare, che l’art. 17.18 del regolamento edilizio comunale, rubricato “Norme particolari per gli edifici rurali”, impone solo a questi ultimi il rispetto di precise distanze rispetto agli edifici residenziali siti nelle aree limitrofe, non introducendo alcun profilo di reciprocità. Né tale previsione, di reciprocità, sarebbe contenuta nell’art. 28 delle NTA del p.r.g., il quale si limita a dettare prescrizioni relative agli edifici residenziali (distanza di metri dieci tra i fabbricati e di metri cinque dai confini o di metà della loro altezza).
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