Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 20 ottobre 2017, n. 4850. La disciplina delle distanze dagli allevamenti rispetto agli altri edifici,

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Pertanto, ad avviso dell’appellante, l’unica e logica conclusione è che il rispetto della (maggiore) distanza prevista dall’art. 17.18 cit. graverebbe soltanto su colui il quale volesse edificare in zona agricola rispetto agli edifici siti nella limitrofa zona residenziale, non gravando, di converso e all’opposto, detto obbligo, su colui che intendesse invece edificare un manufatto residenziale rispetto agli edifici siti nella limitrofa zona agricola.

L’assunto non può essere condiviso.

Va premesso, per un migliore inquadramento giuridico della fattispecie all’esame, che l’art. 1 del regolamento edilizio del comune di (omissis), rubricato “Natura e contenuto del Regolamento Edilizio”, precisa che “Le norme contenute nel presente Regolamento concorrono a disciplinare le iniziative edilizie al fine di promuovere: a) un ordinato sviluppo edilizio dell’abitato riguardo alla funzionalità, all’igiene, all’estetica; b) il contemperamento degli interessi privati mediante la regolamentazione dei rapporti di vicinato”.

Di seguito, l’art. 2 dispone che “Alla osservanza del presente Regolamento è soggetta, senza alcuna possibilità di deroga, ogni iniziativa edilizia di interesse privato”.

L’art. 17.18 del medesimo regolamento, introducendo “Norme particolari per gli edifici rurali”, stabilisce che, salve le specifiche previsioni ivi contenute, per gli stessi nonché per le case, le pertinenze e le stalle valgono le disposizioni contenute nel capitolo 10 del titolo III del regolamento comunale d’igiene approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 63 del 22.12.1993.

L’art. 28 delle Norme Tecniche di Attuazione del p.r.g. del comune di (omissis) dettano, invece, prescrizioni specifiche per gli immobili siti nelle zone residenziali esistenti e di completamento.

In via generale, può osservarsi che la disciplina delle distanze dagli allevamenti rispetto agli altri edifici, soprattutto di natura residenziale, ha natura igienico-sanitaria e risponde ad una ratio legis diversa da quella cui è preordinata la regolamentazione delle distanze tra edifici residenziali.

Contrariamente a quanto prospettato dalla parte appellante, non è dato ravvisare un contrasto tra la disciplina posta dalle norme tecniche d’attuazione al p.r.g. e quella dettata dal regolamento edilizio comunale, giacché trattasi di normativa avvinta da un nesso di complementarietà nella realizzazione di un ordinato sviluppo edilizio dell’abitato riguardo alla funzionalità, all’igiene, all’estetica.

Del resto, è lo stesso art. 1 del regolamento edilizio a dichiarare che questo è il fine cui devono concorrere le iniziative edilizie, le quali dunque rinvengono nella limitazione funzionale (reciproca) il contemperamento degli contrapposti interessi privati, mediante la regolamentazione dei rapporti di vicinato.

Come esattamente rilevato dal giudice di prime cure, con ragionamento esente da vizi logico-giuridici e che si condivide, la regolamentazione delle distanze tra fabbricati ad uso residenziale e fabbricati ad uso rurale non potrebbe, nel caso di specie, non essere governata dal principio di reciprocità, giacché è la stessa ratio legis sottesa alla disciplina posta dall’art. 17.18 del regolamento edilizio (l’ordinato sviluppo edilizio dell’abitato riguardo alla funzionalità, all’igiene, all’estetica) e dichiarata in via di principio dall’art. 1 dello stesso regolamento, a informare i rapporti tra l’edilizia residenziale e quella rurale.

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