[….segue pagina antecedente]
Le parti hanno depositato memorie conclusionali in vista della pubblica udienza del 5.12.2017.
Mentre il Comune ha ribadito le proprie difese, gli appellati hanno sviluppato le proprie argomentazioni difensive significando, in primo luogo, che nell’arco del biennio prottatosi a partire dalla proposizione del ricorso in primo grado, fino alla formulazione dei due atti di motivi aggiunti e alla fissazione dell’udienza camerale per la discussione dell’istanza di sospensione dell’ordinanza di demolizione, il Comune aveva avuto tutto il tempo di produrre documentazione ovvero di promuovere eventuali istanze istruttorie, laddove invece, all’epoca, si era limitato a depositare una memoria difensiva, senza, peraltro, formulare alcuna osservazione in merito all’avviso dato dal giudice di prime cure circa la possibilità di emettere, come poi effettivamente avvenuto, una sentenza in forma semplificata.
Eccepiscono, altresì, l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 104, comma 2, c.p.a., sia con riferimento alla perizia dell’arch. Ca. sia con riferimento all’accertamento tecnico del 18 luglio 2003, in quanto documenti depositati dal Comune solo in appello, laddove invece esso avrebbe potuto, e dovuto, depositarli nel giudizio di primo grado.
Né l’amministrazione potrebbe, anche alla luce della condotta processuale tenuta nel giudizio di primo grado, dedurre in fase di appello la presunta violazione da parte del TAR dell’art. 2697 c.c. al solo fine di ovviare all’omessa produzione di documenti che erano nella sua effettiva disponibilità.
Ad ogni buon conto, non vi sarebbe alcuna espressa contestazione, nell’atto di appello, della rilevanza dei verbali di ispezione che il TAR ha richiamato a sostegno della pronuncia.
Sostengono ancora gli appellati che il vizio di travisamento dei fatti, sostanzialmente ascritto al giudice di primo grado, sarebbe proprio e tipico del solo giudizio di revocazione, ex art. 395 c.p.c. e non sarebbe invece prospettabile nell’ordinario giudizio di appello innanzi al Consiglio di Stato (richiamano, al riguardo, la sentenza della Cass. civ. n. 10749/2015).
Nel merito, ricordano infine che, secondo giurisprudenza consolidata e le circolari ministeriali in materia, a mente di quanto previsto dall’art. 31, comma 2, della l. n. 47/85, debbono ritenersi ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura.
In forza delle stesse ammissioni avversarie, ne discenderebbe che, avendo essi ampliato la struttura preesistente e, cambiandone la destinazione d’uso, realizzato due abitazioni in luogo di una, originariamente assentita su superficie inferiore, l’osservanza del termine prescritto dalla legge non potrebbe essere revocata in dubbio.
L’appello è stato infine trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 5.12.2017.
2. L’appello in esame concerne una sentenza resa in forma semplificata con cui è stata accolta l’impugnativa avverso due provvedimenti di diniego di condono, e la conseguenziale ordinanza di demolizione.
In tale evenienza, se è vero che la mancata opposizione delle parti costituite in giudizio circa la possibilità di definire immediatamente il ricorso con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., inibisce alle stesse parti di censurare in appello tale scelta del collegio giudicante, e che la valutazione circa la manifesta fondatezza (o infondatezza del ricorso di primo grado) che ha giustificato l’emissione della sentenza in forma semplificata costituisce apprezzamento insindacabile dal giudice d’appello, tuttavia quest’ultimo è comunque chiamato a riesaminare il giudizio del Tar sulla base delle specifiche deduzioni contenute nei motivi d’appello, garantendo in questo modo il principio del doppio grado di giudizio (Cons. St., sez. V^, 24.3.2014, n. 1436).
In altre parole, l’effetto devolutivo dell’appello opera nel senso di trasferire al giudice di secondo grado la cognizione piena della questione, indipendentemente dalla forma semplificata o meno della sentenza impugnata.
E, sia pure nei limiti del devoluto, è consentito al giudice d’appello anche di riesaminare le stesse questioni (e gli stessi fatti) già apprezzati dal giudice di primo grado.
Al riguardo, è appena il caso di rilevare che i limiti relativi al sindacato dei vizio di travisamento del fatto (o della prova) invocati dalla parte appellata, riguardano il giudizio di legittimità che si svolge dinanzi alla Corte di Cassazione e non il Consiglio di Stato.
2.1. Ciò posto, in via preliminare, deve essere respinta l’eccezione intesa a stralciare dal materiale documentale del processo i documenti prodotti dal Comune in allegato al ricorso in appello, ovvero copia della DIA in data 1.7.2003 – unitamente alla relazione tecnica asseverata e alla perizia giurata a firma dell’arch. Ca. – nonché della relazione di sopralluogo dell’Ufficio Tecnico in data 18.7.2003.
In disparte il fatto che, nel giudizio amministrativo, l’art. 104, comma 2 c.p.a. tempera il divieto di produzione di documenti nuovi in appello con la condizione che “il collegio li ritenga indispensabili alla decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile” (cfr., Cons. St., Sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5509), nella fattispecie, a ben vedere, gli atti in questione non sono una documentazione “nuova” in quanto vengono specificamente richiamati nei provvedimenti di diniego di condono impugnati in primo grado.
[…segue pagina successiva]
Leave a Reply